Gabriello Chiabrera

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Gli strali d'Amore Il Tesoro
Questo testo fa parte della raccolta Poemetti di Gabriello Chiabrera
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XV

IL DIASPRO

AL SIG. GIO. FRANCESCO BRIGNOLE.

MARCHESE DI GROPPOLI.

     Un dì sull’apparir dell’alma Aurora
Per la stagion d’april, che l’alme espone
Al bello ardor dell’Acidalia stella,
Amor disposto a guerreggiar ne i cori,
5L’armi provò di sua faretra: ei trasse
Ad una ad una fuor l’auree quadrella,
E mentre ei tocca coll’eburnee dita
La cruda punta di quei dardi, incauto
Un se ne punse, e leggiermente afflitto
10Dalla rosata man sangue cosparse:
Immantenente ei rinversò dagli occhi
Tepido rivo; e sbigottito in volto
Per l’insolita piaga, ei sciolse il volo
Inverso Febo, a ricercar conforto:
15Poco penò sulle volubil piume,
Che fu per entro il quarto cielo, e scorsa
Del biondo Apollo l’ammirabil stanza,
Ei trapassò della gemmata porta
La soglia d’oro, nè fermò le penne,
20Che fu da presso al luminoso Nume.
Erano al carro fiammeggiante, ardente
Di topazzi, d’elettri e di piropi
Legati i gran corsieri, Eto, Piroo,
Eoo, Flegonte; e dell’ambrosia eterna
25Dalle nari spandeano aure immortali;
E mal soffrendo del cammin l’indugio,
Calpestavan con unghia di diamante
Il chiaro smalto dell’etereo campo;
E de’ fulgidi freni il gran tesoro
30Avea già Febo nella manca, e pronto
Moveasi omai per l’infinito spazio
Delle strade stellanti allor, ch’ei scerse
Il tristo aspetto dell’Idalio arciero:
Subito allor l’infaticabil destra
35Egli ritenne, ed arrestò la sferza,
Che minacciava alle nettaree groppe:
E ver l’eccelso peregrin movendo
Con lietissima fronte, in bel sembiante,
Fece sentir queste parole alate:
40Onde oggi vieni? e qual cagion t’adduce
A questi alberghi? è già non picciol tempo,
Che non gli festi di tua vista degni,
Unico re dell’invincibile arco,
Che pur sovra ogni cor ti dona impero:
45Ma perchè gli occhi molli, e ’l bel tesoro
Veggio turbarsi dell’amabil fronte?
A cui di Citerea rispose il figlio,
Alzando il dito sanguinoso, e disse:
Mira, che forte piaga, e che ruscello
50Sgorga di sangue: io rivedendo il filo
Di mie quadrella, e colle proprie dita
Amando farmi del lor taglio esperto,
Mi son trafitto; e tuttavia trabocca
L’onda vermiglia della piaga acerba;
55Ma tu, Signor dell’arte, onde salute
Viene agl’infermi, al cui saper son conte
Di ciascun’erba le virtù segrete:
Nè chiusa valle, o solitario giogo
Nobil foglia produce, i cui licori
60Siano alla vista di tua mente ignoti,
Alcun conforto a’ miei dolor comparti,
E frena il sangue, e la ferita chiudi,
Onde io sono infelice, e de’ tuoi doni
Non pur meco sarà lunga memoria,
65Ma non giammai porragli in cieco obblio
La bella qui fra voi mia genitrice.
Così diceva, e sulle guance adorne
L’ostro per lo cordoglio impallidiva;
A cui rispose dell’eterea luce
70Il non mai stanco guidatore eterno:
Io non dirò per aggravar parlando
La doglia, onde vai carco; e con mie voci
Rinnovare al presente ingiurie antiche,

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Che non conviensi; ma tu piangi, ed alzi
75Le grida al ciel, perchè graffiata alquanto
Hanno la pelle tua le tue quadrella;
Ma quando tendi l’arco, e di gran forza
Tiri la corda, l’altrui petto impiaghi
Profondamente, apri la bocca al riso,
80Nè ti cal punto dell’altrui cordoglio;
Così nel dì che la leggiadra Dafne
Tu m’offeristi, e che negli occhi ardente
Tu soggiornando m’avventasti al core
Degli acuti tuoi dardi il più focoso,
85Ebbi contezza della tua pietate:
Arsi in quel punto, e nelle vene un foco
Mi corse acerbo, e non visibil fiamma
M’inceneriva le midolle interne;
E non avendo al miserabil duolo
90Altronde scampo, accompagnai col pianto
Umili note, e ripregai gemendo
Il sordo cor dell’indurata Ninfa;
Ed ella quasi avesse ali alle piante,
Rapida sen fuggiva, e dava al vento
95Il non usato ardor de’ miei sospiri:
Allora, o figlio di Ciprigna, e quante,
E quante volte fei sonare in terra
Il tuo gran nome, a mio favor chiamando
Gli strali alti e possenti? ah che schernendo
100L’alta mia pena, non scoccasti un dardo
Verso l’orgogliosissima bellezza:
Ed era pur tua gloria il menar presa
Anima sì ritrosa e rubellante:
Ma più non ti dirò, che di vendetta
105Questo rimproverare avria sembianza;
E la vendetta fra’ gentili spirti
Non deve usarsi: ora rinfranca il core,
E sbandisci la tema, e su i begli occhi
Rasciuga l’onda lagrimosa; io pronto
110Son per donar salute alle tue piaghe.
Così disse egli, e l’amorosa manca
Strinse colla man destra, ed in un punto
Quasi balen fra le cerulee nubi
Ei si condusse alle montagne Eoe:
115Quivi nel sen d’insuperabil alpe
Era una selce, a cui temprato acciaro
Mai sempre indarno tenterebbe oltraggio,
Indomita durezza: era a mirarsi
Verde come d’april morbida foglia
120Cresciuta al mormorar d’un fresco rivo:
Su lei fermò la tormentata mano
Del bel fanciullo, e ristagnossi il sangue
Immantenente, e prese fuga il duolo:
Quinci Amor baldanzoso alzò la fronte
125Sparsa di gaudio, e la faretra scosse,
E tese l’arco; e sulle varie piume
Andò dell’aria trascorrendo i regni;
Apollo poscia ad Esculapio nota
Fe’ la virtù della gran pietra, ed egli
130Non ne volle frodar gli egri mortali:
Ella sul verde di minute stille
Splende sanguigna; alta memoria al mondo
Dell’amorosa piaga; e fra la gente
Con proprio nome s’appellò Dïaspro:
135Sì fatto dir dall’Eliconia Ninfa
lo raccolsi di Legine sul colle
Infra lunghi pensier stanco e romito.
Mentre nel grembo al sì famoso Albaro,
Brignole, ne trapassi i dì gelati,
140Or che più rugge il gran leon Nemeo:
Ivi son folte de’ palagi altieri
Le regie moli, e d’odorate selve
Spargesi intorno dilettevole ombra,
Di Drïadi festose amato albergo;
145Ed indi scorgi ne i Nettunii campi
Mover leggiadramente i piè d’argento
Ninfe compagne dell’istabil Dori:
Oh per l’animo tuo sian fatte eterne
Sì care viste; e la terribil Cloto
150Unqua degli anni tuoi non si rammenti,
Se non ben oltre alla Nestorea etate.