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del chiabrera 237

Che non conviensi; ma tu piangi, ed alzi
75Le grida al ciel, perchè graffiata alquanto
Hanno la pelle tua le tue quadrella;
Ma quando tendi l’arco, e di gran forza
Tiri la corda, l’altrui petto impiaghi
Profondamente, apri la bocca al riso,
80Nè ti cal punto dell’altrui cordoglio;
Così nel dì che la leggiadra Dafne
Tu m’offeristi, e che negli occhi ardente
Tu soggiornando m’avventasti al core
Degli acuti tuoi dardi il più focoso,
85Ebbi contezza della tua pietate:
Arsi in quel punto, e nelle vene un foco
Mi corse acerbo, e non visibil fiamma
M’inceneriva le midolle interne;
E non avendo al miserabil duolo
90Altronde scampo, accompagnai col pianto
Umili note, e ripregai gemendo
Il sordo cor dell’indurata Ninfa;
Ed ella quasi avesse ali alle piante,
Rapida sen fuggiva, e dava al vento
95Il non usato ardor de’ miei sospiri:
Allora, o figlio di Ciprigna, e quante,
E quante volte fei sonare in terra
Il tuo gran nome, a mio favor chiamando
Gli strali alti e possenti? ah che schernendo
100L’alta mia pena, non scoccasti un dardo
Verso l’orgogliosissima bellezza:
Ed era pur tua gloria il menar presa
Anima sì ritrosa e rubellante:
Ma più non ti dirò, che di vendetta
105Questo rimproverare avria sembianza;
E la vendetta fra’ gentili spirti
Non deve usarsi: ora rinfranca il core,
E sbandisci la tema, e su i begli occhi
Rasciuga l’onda lagrimosa; io pronto
110Son per donar salute alle tue piaghe.
Così disse egli, e l’amorosa manca
Strinse colla man destra, ed in un punto
Quasi balen fra le cerulee nubi
Ei si condusse alle montagne Eoe:
115Quivi nel sen d’insuperabil alpe
Era una selce, a cui temprato acciaro
Mai sempre indarno tenterebbe oltraggio,
Indomita durezza: era a mirarsi
Verde come d’april morbida foglia
120Cresciuta al mormorar d’un fresco rivo:
Su lei fermò la tormentata mano
Del bel fanciullo, e ristagnossi il sangue
Immantenente, e prese fuga il duolo:
Quinci Amor baldanzoso alzò la fronte
125Sparsa di gaudio, e la faretra scosse,
E tese l’arco; e sulle varie piume
Andò dell’aria trascorrendo i regni;
Apollo poscia ad Esculapio nota
Fe’ la virtù della gran pietra, ed egli
130Non ne volle frodar gli egri mortali:
Ella sul verde di minute stille
Splende sanguigna; alta memoria al mondo
Dell’amorosa piaga; e fra la gente
Con proprio nome s’appellò Dïaspro:
135Sì fatto dir dall’Eliconia Ninfa
lo raccolsi di Legine sul colle
Infra lunghi pensier stanco e romito.
Mentre nel grembo al sì famoso Albaro,
Brignole, ne trapassi i dì gelati,
140Or che più rugge il gran leon Nemeo:
Ivi son folte de’ palagi altieri
Le regie moli, e d’odorate selve
Spargesi intorno dilettevole ombra,
Di Drïadi festose amato albergo;
145Ed indi scorgi ne i Nettunii campi
Mover leggiadramente i piè d’argento
Ninfe compagne dell’istabil Dori:
Oh per l’animo tuo sian fatte eterne
Sì care viste; e la terribil Cloto
150Unqua degli anni tuoi non si rammenti,
Se non ben oltre alla Nestorea etate.

XVI

IL TESORO

AL SIG. AMBROSIO POZZOBONELLO.

     Fra terribili mostri, onde assalita
Visse l’umana gente afflitta in terra,
Un già ne sorse oltra misura orrendo:
Chiamossi Inopia; insopportabil schiera
5D’altri avea seco abbominati mostri:
Ciò fu l’orrida Fame, il vil Dispregio,
Lo scolorito e taciturno Affanno,
E la temuta a gran ragion Vigilia.
Da queste fere soggiogati al cielo
10Lagrimavano gli uomini dolenti
Chiedendo aita: in sull’eccelso Olimpo
Allor Giove adunò l’eterea Corte,
E raggirando intorno il guardo eterno,
Sciolse l’immortal lingua in questi accenti:
15Ecco, Numi superni, a voi perviene
L’uman cordoglio; e colaggiù mirate
Gli uomini dati in preda a’ fieri mostri
Non aver pace: or se d’alcun soccorso
Esser volete larghi a lor salute,
20Nol mi tacete; io vi ritorno a mente,
Che solo in terra fra’ mortali è l’uomo
Conoscitor della possanza nostra;
Onde è ragion, che della loro angoscia
S’aggia pietà. Così disse egli; e crebbe
25L’almo seren delle celesti piagge
Con un sorriso. Intra i superni Numi
Tacquesi alquanto; indi levossi Apollo,
Che sferza della luce il carro eterno,
E così disse: a sbigottir quel mostro
30Ho giù nel basso mondo un figlio ignoto,
Che strali avventerà quasi possenti
Quanto i tuoi tuoni; io con Cibele antica
Già lo produssi; e nell’immenso grembo
Dell’immobile terra ei fa soggiorno:
35Questo, se sorge, e fra l’umana gente
Mostra il suo chiaro volto, in un momento
Tolto agli affanni, sarà lieto il mondo.
Sì dolce Apollo ragionava: e piacque
Il suo consiglio. A ben fornir l’impresa
40Elesse Giove di Mercurio il senno:
Egli prese da Febo ampia contezza
E della stanza e del sentiero occulto,
E rapido al viaggio indi s’accinse:
Scese per l’aria, e ricercò la terra,
45Che mai non scorge di Boote il carro;
E giunto a quei confin, che non trapassa
Il Sol, quando si volge al Capricorno,