Il Circolo Pickwick/Capitolo 4

Rivista e bivacco - Nuovi amici, ed un invito in campagna

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Charles Dickens - Il circolo Pickwick (1836)
Traduzione dall'inglese di Federigo Verdinois (1904)
Rivista e bivacco - Nuovi amici, ed un invito in campagna
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Non pochi autori hanno una certa ripugnanza, non so se più ridicola o disonesta, a riconoscere le fonti alle quali attingono le loro migliori informazioni. Noi non facciamo che studiarci di compiere onorevolmente i doveri che ci sono imposti dalla nostra qualità di editori; e qualunque ambizione avremmo potuto sentire in altre congiunture nel far valere un titolo alla diretta paternità di queste avventure, l’amore che portiamo alla verità c’impedisce di far valere ogni altro merito che non sia quello della loro giudiziosa disposizione ed esposizione fedele. Le carte del Circolo Pickwick sono le nostre sorgenti, e noi possiamo essere paragonati ad una compagnia di esplorazione. I lavori altrui ci hanno preparato un grandioso serbatoio di fatti importanti. Noi non facciamo che distenderli, e comunicarli via via per un canale limpido e piano, al mondo assetato di notizie pickwickiane.

Animati da questo spirito e fermi nel nostro proposito di riconoscerci debitori delle autorità che abbiamo consultato, diciamo francamente che al libro di appunti del signor Snodgrass dobbiamo i particolari riferiti in questo capitolo e nel seguente; particolari che — sgravata così la nostra coscienza — verremo ora esponendo senza commenti ulteriori.

L’intiera popolazione di Rochester e delle città circonvicine si levò di buon’ora dai suoi letti il giorno appresso, in uno stato d’insolita confusione e di eccitamento. Una grande rivista militare doveva aver luogo. Una mezza dozzina di reggimenti avrebbero manovrato sotto gli occhi aquilini del comandante in capo. S’erano costruite delle fortificazioni temporanee, la cittadella doveva essere attaccata e presa, ed in ultimo si sarebbe messo fuoco ad una mina.

Il signor Pickwick, come il lettore avrà potuto argomentare dal breve estratto recato più su della sua descrizione di Chatham, era un ammiratore entusiasta dell’esercito. Nessun altro spettacolo gli sarebbe giunto più gradito di questo; e nient’altro avrebbe potuto così bene accordarsi coi sentimenti dei suoi compagni. In conseguenza furono subito in piedi, e si avviarono al teatro dell’azione verso il quale si versava già da tutte le parti un nugolo di gente.

L’aspetto generale del campo mostrava chiaramente che la cerimonia imminente era delle più grandiose ed importanti. C’erano qua e là delle sentinelle per guardare il terreno riservato alle truppe, e sulle batterie parecchi domestici stavano di guardia ai posti per le signore. Dei sergenti correvano su e giù, con sotto il braccio registri rilegati in cartapecora, e il colonnello Bulder, a cavallo, in grande uniforme, galoppava ora da una parte ed ora dall’altra, e faceva rinculare il cavallo fra la calca dei curiosi, e lo facea volteggiare e corvettare, e gridava in modo allarmatissimo, con una voce terribile e strozzata, rosso come un tacchino, senza nessuna ragione plausibile. Degli ufficiali correvano avanti e indietro, prima comunicando col colonnello Bulder, poi dando ordini ai sergenti, e poi scappando in fretta; e perfino i semplici soldati guardavano di sotto al loro lucido cuoiame con un’aria di misteriosa solennità, che dimostrava abbastanza la specialità dell’occasione.

Il signor Pickwick e i suoi tre compagni presero posto nella prima fila della folla, e pazientemente stettero ad aspettare che le manovre incominciassero. La folla cresceva a tutti i momenti; e gli sforzi ch’essi dovevano fare, per non perdere la posizione guadagnata, li tennero sufficientemente occupati nelle due ore che seguirono. Una volta, per una subita spinta dalla parte di dietro, il signor Pickwick si trovava lanciato parecchi metri in avanti con una fretta ed una elasticità tutt’altro che conformi alla gravità del suo contegno; un’altra volta, gli spettatori erano pregati a dare indietro, ed allora, per avvalorare la preghiera, il calcio di un fucile cadeva sui piedi del signor Pickwick o gli veniva puntato in petto. Poi un gruppo di capi ameni a sinistra, dopo essersi spinti in massa da una parte come se qualcuno spingesse loro, ed avere spremuto il signor Snodgrass fino al grado estremo della tortura, gli domandavano in cortesia "che cos’è che lo faceva spingere", e quando il signor Winkle avea sfogato la sua indignazione per questo assalto non provocato, una persona da dietro gli calcava il cappello sugli occhi pregandolo che gli facesse la finezza di mettersi la testa in saccoccia. Questi, ed altri tratti di spirito in azione, aggiunti all’assenza inesplicabile del signor Tupman (che era scomparso di botto e non era più reperibile), rendevano in complesso la loro situazione piuttosto incomoda che piacevole o desiderabile.

Alla fine corse fra la folla quel sordo mormorio che suole annunziare l’arrivo di una qualunque cosa aspettata. Tutti gli occhi si volsero dalla parte del forte. Pochi momenti di ansiosa aspettazione, e subito si videro sventolare delle bandiere, e luccicare delle armi ai raggi del sole: colonna su colonna si versarono sul campo. Le truppe fecero alto e si ordinarono; il grido del comando corse lungo le file; si udì un fragore generale di moschetti, quando si presentarono le armi, e il comandante in capo, accompagnato dal colonnello Bulder e da molti ufficiali, galoppò lungo la fronte. Le bande militari dettero dentro; i cavalli si alzarono su due piedi, rincularono, dimenarono le code in tutte le direzioni; i cani latrarono, la folla levò le alte grida, le truppe stettero ferme, e dall’una e dell’altra parte fin dove l’occhio poteva giungere non si vide che una estesa prospettiva di tuniche rosse e di calzoni bianchi, fissi ed immobili.

Il signor Pickwick era stato occupato a tenersi ritto e a strigarsi, quasi miracolosamente, dalle gambe dei cavalli, da non aver agio per osservare la scena che gli stava davanti fino a che non ebbe preso l’aspetto che abbiamo appunto descritto. Quando gli riuscì finalmente di star fermo sulle gambe, il piacere e la soddisfazione che lo invasero non ebbero limiti.

— Ci può essere niente di più bello? — domandò egli al signor Winkle.

— Niente, — rispose questi, il quale per un quarto d’ora avea tenuto un omicciattolo sui piedi.

— È uno spettacolo veramente nobile e brillante, — disse il signor Snodgrass, nel cui seno erompeva una subita fiamma di poesia, — il vedere i bravi difensori della patria schierati in bell’uniforme davanti ai pacifici cittadini; coi volti raggianti, non già di bellicosa ferocia, ma di gentilezza civile; cogli occhi fiammeggianti, non già del fuoco distruttore della rapina e della vendetta, ma della dolce luce dell’umanità e dell’intelligenza.

Il signor Pickwick entrò pienamente nello spirito di questo elogio, ma non potette farvi eco; perchè la dolce luce dell’intelligenza splendeva piuttosto debolmente negli occhi dei guerrieri, essendo proprio in quel punto dato il comanda di fisil: sicchè non poteva veder altro lo spettatore che parecchie migliaia di occhi spalancati e vacui, affatto spogliati di ogni qualunque espressione.

— Siamo in una magnifica posizione, — disse il signor Pickwick, guardandosi intorno. La folla s’era a poco a poco diradata ed essi erano rimasti quasi soli. — Magnifica! — esclamarono ad una voce Snodgrass e Winkle.

— O che fanno adesso? — domandò il signor Pickwick, aggiustandosi gli occhiali.

— Credo.... mi pare, — disse il signor Winkle mutando di colore, — mi pare che stiano per far fuoco.

— Eh via, che dite! — esclamò in fretta il signor Pickwick.

— Ma.... davvero lo credo anch’io, — aggiunse il signor Snodgrass, preso da una certa agitazione.

— Impossibile, — replicò il signor Pickwick. Ma aveva appena pronunciata questa parola, quando tutti i sei reggimenti abbassarono i fucili come se non avessero che una sola mira, e fecero la più terribile e spaventosa scarica, che mai abbia scosso la terra fin nel suo centro o un gentiluomo attempato fuori del suo.

Fu appunto in questa critica posizione, esposto ad un fuoco di fila di cartuccie e stretto dalle varie evoluzioni delle truppe di cui un novello corpo era già sceso in campo dalla parte opposta, che il signor Pickwick spiegò quella perfetta calma e padronanza di sé, che sono le qualità insite di un animo grande. Egli afferrò il signor Winkle pel braccio, e ponendosi tra lui e il signor Snodgrass, li pregò vivamente di ricordarsi che, oltre alla eventualità di essere assordati dal fracasso, non c’era in effetto altro pericolo da temere in seguito di quella scarica.

— Ma.... ma supposto che qualche soldato abbia, per una svista, caricato a palla, — notò il signor Winkle, pallido alla sua stessa supposizione — Ho udito una specie di sibilo per l’aria, proprio adesso, vicino all’orecchio.

— Non sarebbe bene che ci gettassimo faccia a terra — disse il signor Snodgrass.

— No, no, oramai è passata, — rispose il signor Pickwick. Poteva tremare il suo labbro, poteva impallidire la sua guancia, ma non una sola espressione di paura o di sospetto sfuggiva dalla bocca di quest’uomo immortale.

Il signor Pickwick aveva ragione. Il fuoco cessò; ma non ancora aveva egli finito di congratularsi dell’accuratezza del suo modo di vedere, che un rapido movimento fu visibile nella linea: la voce roca del comando la percorse tutta, e prima che alcuno della brigata potesse formarsi una qualunque idea della novella manovra, l’intiera massa dei sei reggimenti, baionette in canna, caricò a passo accelerato proprio verso il punto preciso che il signor Pickwick e i suoi compagni occupavano.

L’uomo è mortale, questo si sa; e vi è un punto oltre il quale non può andare il coraggio. Il signor Pickwick guardò per qualche istante attraverso gli occhiali alla massa compatta che s’avanzava; e poi, senza più, volse le spalle e.... non diremo fuggì — in primo luogo perchè la parola è ignobile, e in secondo, perchè la figura del signor Pickwick non si adattava per nessun verso a questa maniera di ritirata — e si allontanò al trotto, con quel tanto di rapidità che gli consentivano le gambe; la quale nondimeno fu bastevole a non farlo accorto pienamente della sua critica posizione, se non quando era già troppo tardi.

Le truppe venute testè in campo dal lato opposto, che aveano gettato il signor Pickwick in una certa perplessità erano appunto destinate a respingere il simulacro di attacco dei finti assalitori della cittadella; e la conseguenza fu questa che il signor Pickwick e i suoi compagni si trovarono subitamente rinchiusi fra due linee di sterminata lunghezza; l’una che s’avanzava a passo accelerato, l’altra che aspettava a piè fermo ed in atto ostile l’urto nemico.

— Ohi! — gridarono gli ufficiali della linea che s’avanzava.

— Levatevi di mezzo! — gridarono gli ufficiali dell’altra linea.

— Dove dobbiamo andare? — esclamarono gli agitati Pickwickiani.

— Ohi, ohi, ohi! — fu la sola risposta. Vi fu un momento di gran confusione, di vertigine, un rumore pesante di passi, una confusione violenta, delle risa soffocate — e i sei reggimenti erano già lontani un cinquecento metri, e le suole degli stivali del signor Pickwick erano levate in aria.

I signori Snodgrass e Winkle avevano ciascuno eseguito uno svelto capitombolo, quando il primo oggetto che colpì gli occhi del secondo, stando ancora seduto per terra e cessando di frenare con un suo fazzoletto di seta gialla tutta la rubiconda vitalità che gli usciva dal naso, fu appunto il suo venerato condottiero ad una certa distanza che correva dietro il proprio cappello, il quale se n’andava allegramente saltellando nella lontana prospettiva.

Pochi momenti vi sono nella vita di un uomo, nei quali sia così ridevole il suo imbarazzo e così scarsa in altri la commiserazione, come quando egli si trova ad inseguire il suo cappello. È indispensabile, in questa operazione del ricuperare un cappello volato via, una forte dose di freddezza e un grado speciale di giudizio. Non bisogna essere frettoloso, nè precipitarvisi sopra; nè d’altra parte si deve cadere nell’estremo contrario e rischiare di perderlo a dirittura. Il miglior mezzo è questo: di tener dietro dolcemente all’oggetto che si ha in mira, di essere vigile e cauto, di attendere il destro, avanzarlo di qualche passo, far poi una subita diversione, afferrarlo, e cacciarselo in capo solidamente: e tutto questo, sorridendo sempre con una certa grazia, come se la cosa vi paresse il giuoco più piacevole di questo mondo.

Spirava un bel venticello, ed il cappello del signor Pickwick se n’andava rotolando e balzando allegramente. Soffiava il vento e soffiava il signor Pickwick, e il cappello seguitava a balzare e a rotolare come un pesce vivace nella corrente; ed avrebbe seguitato chi sa fin dove la sua corsa se non fosse stato provvidenzialmente arrestato, proprio nel punto che il signor Pickwick lo abbandonava al suo fato.

Il signor Pickwick, dicevamo, era completamente stremo di forze e stava per rinunciare alla sua caccia, quando il cappello fu sbattuto con alquanta violenza contro la ruota di una carrozza, che stava in riga con un’altra mezza dozzina di veicoli sul punto verso il quale i passi di lui erano diretti. Il signor Pickwick, scorgendo il suo vantaggio, si slanciò di botto, assicurò la sua proprietà, se la piantò in capo e sostò per riprender fiato. Non era stato così mezzo minuto, quando udì il suo nome pronunciato alto da una voce, che subito riconobbe per quella del signor Tupman, e alzando gli occhi fu colpito da una vista che lo colmò di sorpresa e di soddisfazione.

In una carrozza scoperta, dalla quale, a motivo della folla erano stati staccati i cavalli, stavano in piedi un vecchio e grosso signore in soprabito turchino e bottoni di metallo, calzoni di velluto e stivali a tromba, due signorine in piume e sciarpe, un giovanotto innamorato, a quanto pareva, di una delle due signorine in piume e sciarpe, una signora d’incerta età, probabilmente zia delle medesime, e il signor Tupman, così tranquillo e disinvolto come se avesse fatto parte della famiglia dai primi momenti della sua infanzia. Dietro la carrozza era strettamente legata una canestra di vaste dimensioni — una di quelle canestre che per una vaga associazione di idee non mancano mai di destare in una mente contemplativa visioni di polli rifreddi, lingue e bottiglie di vino — e a cassetta sedeva, in uno stato di profonda sonnolenza, un ragazzo grasso e rubicondo, che un arguto osservatore avrebbe subito riconosciuto pel dispensiere ufficiale del contenuto della canestra suddetta quando il tempo opportuno per la distribuzione di quello fosse arrivato.

Il signor Pickwick avea gettato un rapido sguardo su questi oggetti interessanti, quando fu di nuovo chiamato dal fedele discepolo.

— Pickwick, Pickwick! — gridò il signor Tupman, — salite qui, salite.

— Venite, signore, montate, vi prego, — disse il signore grosso. — Joe! maledetto ragazzaccio, s’è rimesso a dormire. Joe, abbassa il predellino.

Il ragazzo grasso discese lentamente dalla sua serpe, abbassò il predellino, e si fece da lato tenendo aperto lo sportello. I signori Snodgrass e Winkle arrivavano in questo momento.

— C’è posto per tutti, signori miei, — disse il signore dagli stivaloni. ¾ Due dentro e uno in serpe. Joe, tirati da parte per uno di questi signori. Andiamo, su! — e il grosso signore stese il braccio e tirò su a forza prima il signor Pickwick e poi il signor Snodgrass. Il signor Winkle montò in serpe, il ragazzo grasso gli si inerpicò a fianco ed immediatamente si riaddormentò.

— Or bene, signori, — riprese il vecchio signore, ¾ contentissimo di vedervi. Forse non vi ricordate di me, ma io vi conosco benissimo. Ho passato parecchie sere al vostro Circolo l’inverno scorso. Ho colto qui stamani il signor Tupman e m’ha fatto tanto piacere di vederlo. E così, come state? Avete la faccia della buona salute, perbacco!

Il signor Pickwick espresse le sue grazie e ricambiò al vecchio signore la sua stretta di mano.

— Bravissimo! e voi, signore, come state? (volgendosi al signor Snodgrass con paterna sollecitudine) Egregiamente, eh? bravo, bravo. E voi, signore? (al signor Winkle). Benissimo, tanto piacere di sentire che state bene. Tanto tanto piacere. Le mie figlie, signori, le mie ragazze; ed ecco qua mia sorella, la signorina Rachele Wardle. È signorina e non è signorina; eh, che vi pare?

E il grosso signore, ridendo di tutto cuore, ficcò scherzosamente il gomito fra le costole del signor Pickwick.

— Via, via, fratello! — disse la signorina Wardle con un sorriso supplichevole.

— È la verità, — riprese il grosso signore, — e nessuno può negarla. Scusate, signori; vi presento il mio amico signor Trundle. Ed ora che vi conoscete tutti, stiamo allegri e senza complimenti, e vediamo che si fa adesso; ecco quel che dico io.

E il vecchio signore si mise gli occhiali, e il signor Pickwick sfoderò il suo cannocchiale, e tutti stettero in piedi nella carrozza, guardando l’uno di sopra le spalle dell’altro alle evoluzioni militari.

Mirabili evoluzioni erano queste. Una fila tirava di sopra alle teste di un’altra fila e scappava via; e poi l’altra fila tirava di sopra alle teste di un’altra fila, e scappava via alla sua volta; e poi si formavano quadrati con gli ufficiali nel centro; e poi si scendeva nelle trincee da una parte con apposite scale, e si ascendeva dall’altra parte col medesimo mezzo, e si abbattevano barricate di canestre, e la condotta generale delle truppe era delle più coraggiose che si possano immaginare. Sulle batterie i cannonieri ficcavano in enormi cannoni strofinacci immani e pestelli giganteschi, e vi era tale preparazione per caricarli e tanto fracasso quando sparavano, che l’aria intorno risuonava delle alte grida delle signore. Le signorine Wardle erano così spaventate, poverine, che il signor Trundle fu assolutamente obbligato a sostenerne una, mentre il signor Snodgrass sosteneva l’altra; e la sorella del signor Wardle fu presa da un tale attacco di nervi, che il signor Tupman riconobbe l’urgente necessità di cingerle con un braccio la vita per non farsela cadere addosso. Tutti erano eccitati, meno il ragazzo grasso, il quale se la dormiva saporitamente come se il tuonar del cannone fosse stata la sua ninnanna.

— Joe, Joe! — gridò il vecchio signore, quando la cittadella fu presa, e assedianti e assediati sedettero insieme a desinare. — Maledetto ragazzo, s’è addormentato di nuovo. Fatemi la finezza di pizzicarlo, signore; alla gamba, sapete; non c’è altro per destarlo; così, grazie. Apri la canestra, Joe.

Il ragazzo grasso, che in effetto era stato scosso dalla compressione di una parte della sua gamba fra l’indice e il pollice del signor Winkle, discese di nuovo dalla cassetta, e si mise a sciogliere la canestra con maggiore sveltezza che dalla sua prima indolenza non si potesse aspettare.

— Ora, ci dobbiamo un po’ stringere, — disse il signore grasso. E dopo molti scherzi sullo spremere delle braccia delle signore, e molti rossori alla giocosa proposta che le signore si mettessero a sedere sulle ginocchia degli uomini, tutta la brigata fu insaccata nella carrozza; e il signore grasso procedette a distribuire il contenuto della canestra, pigliandolo dalle mani del ragazzo grasso ch’era montato apposta di dietro.

— Adesso, Joe, coltelli e forchette.

I coltelli e le forchette furono distribuiti e le signore e i signori di dentro, e il signor Wardle a cassetta, furono tutti favoriti di questi utili strumenti.

— I piatti, Joe, i piatti.

E il medesimo processo fu seguito nella distribuzione delle maioliche.

— Adesso, Joe, i polli. Maledetto ragazzo, s’è addormentato da capo. Joe, Joe! — (Vari colpi sulla testa con un bastone, e il ragazzo grasso, con qualche difficoltà, si scosse dalla sua letargia). — Via, date qua i commestibili.

C’era qualche cosa nel suono di quest’ultima parola, che valse a destare completamente il ragazzo dormiglione. Balzò in piedi; e i suoi occhi imbambolati, mezzo affondati nelle guance paffute, si accesero di orrida luce fissandosi sul cibo, via via che lo tirava fuori dalla canestra.

— Su, svelto, — disse il signor Wardle, vedendo il ragazzaccio che se ne stava in muta contemplazione sopra un cappone dal quale sembrava assolutamente inabile a separarsi. Il ragazzo sospirò profondamente e, dando un’occhiata tenera a quella simpatica grassezza, lo consegnò di mala voglia al suo padrone.

— Bravo, così, e svelto. Adesso la lingua; il pasticcio. Bada al vitello e al prosciutto; occhio ai gamberi, togli l’insalata dal tovagliolo, dà qua il condimento.

Tali furono gli ordini che uscirono uno sull’altro dalla bocca del signor Wardle, mentre egli passava nella carrozza le varie vivande descritte, e metteva piatti nelle mani di tutti e sulle ginocchia di tutti, in numero infinito.

— Delizioso, eh? ¾ domandò poi quando si dette mano all’opera di distruzione.

— Deliziosissimo! — esclamò il signor Winkle, che scalcava un pollo a cassetta.

— Un bicchiere di vino?

— Obbligatissimo, con piacere.

— Non è meglio che vi pigliate una bottiglia per voi?

— Troppo buono, grazie.

— Joe!

— Sissignore. (Non dormiva questa volta, essendo riuscito in quel punto a sottrarre un pasticcetto di vitello).

— Una bottiglia di vino al signore in serpe. Al piacere del nostro incontro, signore.

— Grazie.

Il signor Winkle vuotò il bicchiere e si posò la bottiglia accanto.

— Vorreste farmi il piacere?... — disse il signor Trundle al signor Winkle.

— Volentierissimo, — rispose il signor Winkle al signor Trundle. E trincarono insieme, e poi bevvero tutti, non escluse le signore.

— Come fa la vezzosa quella cara Emilia col signore forestiero! — bisbigliò all’orecchio del fratello Wardle la zia ragazza con vera invidia di zia ragazza.

— Oh, so di molto io! — disse il vecchio signore. — Cosa naturalissima, mi pare. Signor Pickwick, un po’ di vino?

Il signor Pickwick, immerso in una accurata investigazione delle viscere del pasticcio, non se lo fece dire la seconda volta.

— Emilia mia, — disse la zia zitella con un’aria di protezione, — non parlate così forte, cara.

— Dio buono, zia!

— La zia e il vecchietto la vorrebbero tutta per sè, — bisbigliò la signorina Isabella Wardle all’orecchio della sorella Emilia. Le due signorine risero di cuore, e la zia si sforzò di fare il viso amabile, ma non vi riuscì.

— Hanno tanta vivacità coteste ragazze! — disse la signorina Wardle al signor Tupman con tuono gentilmente pietoso, come se la vivacità fosse merce da contrabbando e il possederla senza una licenza in tutta regola fosse criminoso.

— Oh, sicuro che ne hanno! — rispose il signor Tupman, non dando quella precisa risposta che era aspettata — È un vero piacere.

— Eh, eh! — fece la signorina Wardle con una sua tosserella di dubbio.

— Permettete? — disse il signor Tupman, con la sua voce più insinuante, toccando con una mano il polso dell’incantevole Rachele, e con l’altra alzando la bottiglia. — Permettete?

— Oh, vi pare!

Il signor Tupman aveva una cert’aria molto efficace; e la signorina Rachele manifestò il suo timore che ci avessero ad essere altre scariche, nel qual caso, naturalmente, avrebbe di nuovo avuto bisogno di essere sorretta.

— Vi paiono graziose le mie care nipoti? domandò basso al signor Tupman la zia affettuosa.

— Mi parrebbero, se non fosse presente la zia, — rispose prontamente il Pickwickiano con un tenero sguardo

— Oh, cattivo! Ma davvero, se avessero la carnagione un tantino più chiara, non vi pare che sarebbero carine... al lume di candela?

— Sì, credo, — rispose il signor Tupman con aria indifferente.

— Ah, briccone! capisco quel che stavate per dire.

— Che cosa? — domandò il signor Tupman, il quale non stava veramente per dir niente.

— Stavate per dire che Isabella si curva un poco, non lo negate, via! Ebbene, sì, avete ragione; e certamente se c’è cosa che renda brutta una ragazza è questo difetto del curvarsi. Glielo dico sempre io, che quando si farà più grande, sarà orribile. Il fatto è che siete un birbone!

Il signor Tupman non aveva obbiezioni a buscarsi una riputazione a così buon mercato; sicchè fece un viso pieno d’intelligenza e sbozzò un sorriso misterioso.

— Che sorriso ironico! — esclamò la signorina Rachele; — davvero che voi mi fate una gran paura.

— Io!

— Oh, non potete nascondermi niente, sapete. Io capisco benissimo che cosa vuol dire quel sorriso.

— Che cosa? — domandò il signor Tupman, che non lo sapeva lui stesso nemmen per ombra.

— Vuol dire, — disse l’amabile zia abbassando più la voce, — vuol dire che il curvarsi d’Isabella non vi pare così brutto come la prontezza di Emilia. Così è, non c’è che dire! Non vi potete figurare che pena mi fa qualche volta; arrivo a piangerne per ore ed ore. Quel caro uomo di mio fratello è così buono, così ingenuo, non vede mai nulla; se per poco se n’accorgesse, son certa che gli farebbe tanto male. Vorrei poter pensare che si tratti della sola apparenza, lo spero proprio! — (E qui l’amorosa zia emise un profondo sospiro e crollò la testa in aria desolata).

— Scommetto che la zia parla di noi, — bisbigliò la signorina Emilia alla sorella — Ne sono sicurissima; ha l’aria così maligna!

— Credi? — disse Isabella. — Zia, zia, cara!

— Sì, amore.

— Ho tanta paura che vi pigliate un’infreddatura: mettetevi un fazzoletto di seta sulla testa; abbiatevi cura, vi prego; considerate la vostra età!

Per meritata che fosse questa rappresaglia, era certamente la più fiera vendetta che si potesse escogitare. Nè c’è da indovinare in che forma di risposta si sarebbe sfogata l’indignazione della zia, se il signor Wardle non avesse involontariamente mutato il discorso, chiamando Joe con tutta la forza dei suoi polmoni.

— Maledetto ragazzo, s’è addormentato di nuovo!

— Davvero, un ragazzo straordinario, — disse il signor Pickwick; — dorme sempre a questo modo?

— Se dorme! — esclamò il vecchio signore. — Va per una commissione e dorme, serve a tavola e dorme.

— Strano davvero!

— Altro che strano! Io sono superbo di questo ragazzo; non lo darei per tutto l’oro del mondo. Perbacco, è una curiosità, capite! Joe, via questa roba, e dà qua un’altra bottiglia Joe!

Il ragazzo grasso si scosse, aprì gli occhi, ingoiò il pezzo di pasticcio che teneva in bocca nel punto che s’era addormito, e lentamente eseguì gli ordini del padrone, contemplando con aria cupida e molle i rimasugli del banchetto nel levare i piatti e rimetterli nella canestra. La novella bottiglia fu stappata e vuotata; la canestra fu legata al posto di prima; il ragazzo rimontò in serpe, gli occhiali e il cannocchiale furono aggiustati di nuovo, e le evoluzioni militari ricominciarono. Vi fu un gran buscherio di botte col relativo spavento delle signore, e poi, con soddisfazione generale, una mina scoppiò; e scoppiata che fu la mina, i militari si ritirarono e la brigata dei nostri amici seguì l’esempio dei militari.

— Sicchè, — disse il vecchio signore, conchiudendo con una buona stretta di mano una conversazione a sbalzi fatta col signor Pickwick durante l’ultima parte delle manovre, — sicchè, badiamo, vi farete veder tutti domani.

— Senza meno, — rispose il signor Pickwick.

— Avete l’indirizzo?

— Fattoria di Dingley Dell, — lesse il signor Pickwick nel suo libro d’appunti.

— Precisamente. E non vi lascio per una settimana, sapete; e fatevi il conto che dovete vedere tutto quanto c’è da vedere. Se siete venuti qui per un po’ di vita campagnuola, ve ne darò finchè volete. Joe, maledetto ragazzo, s’è addormentato! Joe, dà una mano a Tom per attaccare i cavalli.

I cavalli furono attaccati, il cocchiere montò in serpe, il ragazzo grasso gli si appollaiò accanto, molti saluti si scambiarono, e la carrozza partì al trotto. Mentre i Pickwickiani si voltavano per darle un’ultima occhiata, i raggi del sole morente spandevano una luce rosata sui bei visi che la occupavano e cadevano in pieno sulle forme opulenti del ragazzo. Il quale aveva il mento sprofondato nel petto, e, tanto per mutare, dormiva