Il Circolo Pickwick/Capitolo 33

Il signor Weller seniore manifesta alcune idee critiche intorno alla composizione letteraria, e con l'assistenza del figliuolo Samuele, paga una piccola rata sul credito del reverendo dal naso rosso

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Charles Dickens - Il circolo Pickwick (1836)
Traduzione dall'inglese di Federigo Verdinois (1904)
Il signor Weller seniore manifesta alcune idee critiche intorno alla composizione letteraria, e con l'assistenza del figliuolo Samuele, paga una piccola rata sul credito del reverendo dal naso rosso
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La mattina del tredici Febbraio, vigilia, come è noto ai lettori di questa autentica narrazione ed a noi, del giorno fissato per la trattazione della causa Bardell, diè un gran, da fare al signor Samuele Weller incaricato di andare e venire senza tregua dal Giorgio ed Avvoltoio all’uffizio del signor Perker, dalle nove fino alle due dopo mezzogiorno inclusive. Non già che vi fosse qualche cosa da fare, poichè il consulto aveva avuto luogo e sulla condotta da tenere s’era deliberato; ma trovandosi in uno stato di grande eccitazione, il signor Pickwick si ostinò a spedire dei bigliettini al suo uomo d’affari, contenenti questa sola domanda: "Caro Perker, va tutto bene?" — al che il signor Perker dava questa invariabile risposta: "Caro Pickwick, non c’è male" — non essendovi in effetto, come già abbiamo accennato, nulla che dovesse andar bene o male, fino a che la Corte non si fosse riunita il giorno appresso.

Ma la gente che per la prima volta, per volontà propria od altrui, si trova ad aver che fare con la legge, può ragionevolmente essere tormentata da una certa ansietà e da una temporanea irritazione; e Sam, indulgendo alle debolezze della natura umana, si prestava alle fantasie del suo padrone con quel buon umore imperturbabile e quella calma costante, che formavano uno dei suoi caratteri più notevoli e simpatici.

Sam s’era ristorato con un pranzettino, ed aspettava in piedi davanti al banco il bicchierino di mescolanza nel quale, secondo il desiderio del signor Pickwick, doveva annegare le fatiche dei suoi viaggi di andata e ritorno, quando un ragazzo alto tre piedi o giù di lì, con berretto peloso e giacchetta di lana, e con una certa andatura da bravaccio che tradiva in lui una lodevole ambizione di raggiungere col tempo il grado eminente di mozzo di stalla, entrò nella corte del Giorgio ed Avvoltoio, e guardò prima su per le scale, e poi nel corridoio; e poi dietro il banco, come se cercasse qualcuno a cui dovesse fare un’ambasciata; al che la fantesca dell’albergo, guardando alla probabilità che la detta ambasciata potesse essere diretta ai cucchiai dello stabilimento, si accostò al ragazzo, dicendogli:

— Ohe, giovinotto, che cercate?

— C’è qui un tale di nome Sam? — domandò il ragazzo con una voce in falsetto.

— Che cognome? — domandò Sam Weller, voltandosi.

— So di molto io! — rispose con cera sfrontata il signorino dal berretto di pelo.

— Furbo il ragazzo! — disse il signor Weller. — Soltanto io non lascerei troppo vedere cotesta furberia, per paura che non ve la spuntino. Vi par creanza di venire ad un albergo a cercare di un tal Sam con una manieraccia da Indiano selvaggio?

— Perchè così mi ha detto un signore vecchio, — rispose il ragazzo.

— Che signore vecchio? — domandò Sam con profondo disprezzo.

— Quei che guida la diligenza d’Ipswich e viene alla nostra osteria, — rispose il ragazzo. — M’ha detto ier mattina di venir quest’oggi al Giorgio ed Avvoltoio a cercare di un tal Sam.

— Gli è mio padre, cara, — disse il signor Weller voltandosi in atto di spiegazione alla donna dietro il banco; — voglio essere appiccato s’ei sa l’altro mio nome. Sicchè dunque, piccolo cavolo cappuccio?

— Sicchè, — rispose il ragazzo, — dovete venir da lui alle sei a casa nostra perchè ha bisogno di vedervi: Orso turchino, mercato di Leadenhall. Debbo dire che venite?

— Potete anche dir di sì, — rispose Sam.

Munito di questi poteri, il giovanetto si allontanò, destando tutti gli echi del cortile con varie imitazioni abbastanza corrette del fischio d’un cocchiere e molto notevoli per ricchezza e volume di tono.

Il signor Weller avendo ottenuto un breve permesso dal signor Pickwick, il quale nel suo stato di eccitamento e di uggia non era punto dolente che lo si lasciasse solo, s’incamminò molto prima dell’ora fissata; ed avendo gran tempo a sua disposizione, se n’andò un piè dopo l’altro fino a Mansion House, dove si fermò e con cera calma e filosofica stette a contemplare le numerose vetture di piazza che si riuniscono in quel posto famoso con grande terrore e confusione delle vecchie signore del Regno Unito. Indugiatosi lì per una buona mezz’ora, il signor Weller si voltò e prese la via del mercato di Leadenhall attraverso ad un arruffio di cortili e di vicoletti. Visto ch’ei spendeva il tempo avanzato e che si fermava a guardare qualunque oggetto gli capitasse sott’occhio, non è punto da far le meraviglie che il signor Weller si fermasse davanti la vetrina di un cartolaio e venditore di stampe; ma senz’altre spiegazioni sembra però sorprendente che non sì tosto gli occhi suoi si furono arrestati sulle incisioni esposte in vendita, ei trasalì si diè un gran colpo sulla coscia destra ed esclamò con energia: — Se non fosse stato per questo, avrei fatto passare il tempo dimenticando ogni cosa!

La figura sulla quale gli occhi del signor Weller erano fissati nel dir questo, rappresentava con colori vivissimi una coppia di cuori umani passati da banda a banda da uno strale e messi a cuocere davanti a un bel fuoco, mentre una coppia di cannibali, maschio e femmina, vestiti all’europea l’uomo in soprabito turchino e calzoni bianchi e la moglie in pelliccia scarlatta e ombrellino dello stesso colore, si accostavano al pasto con famelici sguardi su per un sentiero serpentino che vi menava. Un signorino scostumatissimo, con indosso un par d’ali e nient’altro, sopraintendeva alla cucinatura; si vedeva in lontananza il campanile della chiesa di Langham Place; e il complesso costituiva una valentina, delle quali, come attestava una scritta posta in vetrina, si trovava dentro un grande assortimento, che il cartolaio si impegnava a cedere in beneficio de’ suoi concittadini al prezzo ridotto di uno scellino e sei pence.

— Me ne sarei scordato; me ne sarei scordato di certo! — esclamò Sam; e così dicendo, entrò subito nella bottega del cartolaio e domandò un foglio della migliore carta da lettere con gli orli dorati, ed una penna d’acciaio ben forte con garentia di non schizzare. Fornitigli subito questi articoli, ei si avviò direttamente e di buon passo al mercato di Leadenhall. Guardandosi intorno, scorse un’insegna sulla quale l’arte del pittore avea tracciato qualche cosa che portava una strana somiglianza con un elefante ceruleo munito di una proboscide non dissimile gran fatto da un naso aquilino. Congetturando molto logicamente che questo fosse appunto l’Orso turchino, Sam entrò e domandò del suo genitore.

— Non sarà qui prima di un tre quarti d’ora, — disse la fantesca che sopraintendeva alle disposizioni domestiche dell’Orso turchino.

— Benissimo, cara mia, — rispose Sam. — Favoritemi intanto, se non vi dispiace, un sorso d’acquavite e il calamaio.

L’acquavite e il calamaio arrivarono, e la fantesca, raccolti e coperti i carboni perchè non levassero fiamma e non si sprecassero, e portate via le molle perchè non si potesse attizzare il fuoco senza il concorso e la licenza dell’Orso turchino, discretamente si ritirò. Sam Weller si pose a sedere in uno scompartimento accanto alla stufa, tirò fuori il foglietto dorato e la penna dalla punta dura, e quindi, guardando a questa minutamente chi sa mai ci fossero dei peli e passando una mano sulla tavola perchè delle briciole di pane non si trovassero sotto la carta, si ripiegò sulle gambe le falde del soprabito, allargò i gomiti e si mise in posizione di scrivere.

Per chi non ha l’abitudine di esercitare con una certa frequenza la scienza calligrafica, non è cosa facile scrivere una lettera, considerandosi indispensabile quando ne occorra il caso che lo scrittore pieghi il capo sul braccio sinistro in modo che gli occhi si trovino per quanto è possibile a livello della carta, e che guardando di scancio alle lettere in costruzione formi con la lingua delle lettere immaginarie corrispondenti. Questi precetti, benchè utilissimi alla composizione originale, ritardano in qualche modo la speditezza dello scrittore; sicchè Sam stava già da un’ora e mezzo, senza nemmeno avvedersene, scrivendo tante parole in carattere stampatello, cancellando le lettere errate col dito mignolo, e sostituendovi delle altre che richiedevano di esser ritoccate più volte per esser visibili attraverso gli sgorbi, quando fu scosso dall’aprirsi dell’uscio e dall’entrata del suo genitore.

— Ohe, Sam! — disse questi.

— Buon dì, barbagianni, — rispose il figlio, posando la penna. — Qual è l’ultimo bollettino della signora matrigna?

— La signora Weller ha passato una notte eccellente, ma stamane ha i nervi molto di traverso — firmato di proprio pugno — Tony Weller. Questo è l’ultimo pubblicato, Sam, — rispose il signor Weller, svolgendo lo scialle che aveva al collo

— Nessuna miglioria? — domandò Sam.

— Tutti i sintomi aggravanti, — rispose il signor Weller scrollando il capo. — Ma che fate voi costì? studio camerale, eh, Sam?

— Adesso ho finito, — rispose Sam con un po’ d’imbarazzo; — sono stato a scrivere.

— Lo vedo. Mica ad una donna, spero?

— Bè, non serve ch’io dica di no. È una valentina.

— Una che? — esclamò il signor Weller inorridito.

— Una valentina, — ripetette Sam.

— Samuele, Samuele! — disse con accento di rimprovero il signor Weller, — io non l’avrei creduto questo. Dopo l’esempio e l’avvertimento delle viziose tendenze del vostro signor padre; dopo tutto ciò che v’ho detto su questo preciso soggetto; dopo avermi visto ed essere stato in compagnia della vostra signora matrigna, il che mi pareva a me dovesse essere una lezione morale che nessun uomo poteva mai dimenticare fino al giorno della sua morte! Io non l’avrei creduto, Sam, non l’avrei creduto.

Queste amare riflessioni erano troppo pel buon vecchio. Ei si accostò alle labbra il gotto di Sam e lo vuotò d’un fiato.

— Che c’è mo? — domandò Sam.

— Lasciamo andare, Sam, lasciamo andare. All’età mia, sarà un gran colpo, questo è certo; ma io son duro parecchio, questo è che mi consola, come disse il vecchio tacchino quando il pollaiolo gli disse che temeva di dovergli tirare il collo per portarlo al mercato.

— O che cosa sarà un gran colpo? — domandò Sam.

— Il vedervi ammogliato, Sam, il vedervi divenuto una vittima, figurandovi nella vostra innocenza di aver fatto una gran bella cosa. Gli è un gran colpo questo, un colpo terribile pel cuore di un padre, Sam.

— Andiamo, via! Non piglio moglie, e non c’è mica da suonare a morto. Non vi affliggete per questo; so che di queste cose siete un buon giudice. Orsù, fatevi venir la pipa, ch’io vi leggo la lettera, ecco.

Non si può dire con precisione se la prospettiva della pipa o la riflessione consolante che una fatale inclinazione al matrimonio fosse radicata nella famiglia senza rimedio di sorta, calmasse i sentimenti del signor Weller e quetasse il suo dolore. Vorremmo credere piuttosto che il buon effetto fosse raggiunto dalle due sorgenti di consolazione combinate; perchè egli ripetette a bassa voce la seconda più volte, e nel tempo stesso suonò il campanello per ordinar la prima. Si tolse poi il pastrano; ed accesa la pipa e situandosi con le spalle al fuoco in modo da raccoglierne tutto il calore e da appoggiarsi alla mensola del camminetto, si volse dalla parte di Sam; e con una fisonomia molto rabbonita dall’azione calmante del tabacco, lo pregò che "desse fuoco".

Sam intinse la penna nell’inchiostro per trovarsi pronto ad ogni correzione, e incominciò in tono teatrale:

"Amabile...

— Un momento, — interruppe il signor Weller, scotendo il campanello. — Due bicchieri del solito, cara.

— Subito, signore, — rispose la fantesca, la quale rapidamente apparve, svanì, tornò e disparve.

— Pare che conoscano lo vostre abitudini qui, — osservò Sam.

— Sicuro, — rispose il padre, — ci venivo spesso a tempo mio. Andiamo avanti, Sam.

"Amabile creatura, — ricominciò Sam.

— È in poesia, eh? — interruppe di nuovo il padre.

— No, no.

— Ci ho gusto. La poesia è contro natura; nessuno ha mai parlato in poesia, eccetto il bidello nella sua circolare di capo d’anno, o gli annunzi del grasso lucido di Warren o dell’odio di Rowland e altra gente così; non vi lasciate mai tentare a discorrere in poesia, ragazzo mio. Da capo, Sam, ricominciamo.

Il signor Weller riprese fra i denti con solennità la sua pipa, e Sam ricominciò a leggere come segue:

"Amabile creatura, io mi sendo moldo vergognato...

— Cotesto non mi piace, — disse il signor Weller, togliendosi la pipa dalle labbra.

— No, non è svergognato, — osservò Sam, alzando la lettera verso la luce; — "vergognato" c’è uno sgorbio qui.

— Benissimo,, — disse il signor Weller. — Avanti.

— "Mi sendo moldo vergognato e completamente abb..." mi sono scordato che parola è questa, — disse Sam grattandosi il capo con la penna.

— Bisogna guardarla, — osservò il signor Weller.

— E questo è che sto facendo, — rispose Sam, — ma c’è un altro sgorbio: ci sono due g, una n e una t.

— Abbagginato forse, — suggerì il signor Weller.

— No, non è questo... Abbagliato, ecco fatto.

— Abbagginato mi pare una parola più bella, — disse gravemente il signor Weller.

— Sì eh?

— Si capisce.

— Ma non vi pare che la parola mia sia più espressiva?

— Bè, forse sarà più tenera, non dico di no, — disse il signor Weller dopo aver riflettuto per un momento, — Avanti, Sam.

"Mi sendo moldo vergognato e completamente abbagliato cuando vi vedo solo la veste perchè voi siete un bel toco di ragazza e voglio vedere chi dice di no".

— Cotesta è un’idea graziosa, — osservò il signor Weller seniore, staccandosi la pipa dai denti per dar luogo a questa osservazione.

— Sì, non c’è male, — disse Sam molto lusingato

— Quello che mi piace in cotesto stile di scrivere, —disse il signor Weller seniore, — si è che non vi si ficcano dentro dei nomi che non significano nulla: Veneri o altre cose simili; a che serve dire ad una donna che è una Venere o un angelo, Sam?

— Ah, sicuro! a che serve?

— Tanto varrebbe chiamarla un grifone, un unicorno, un mastodonte, che si sa di essere una collezione di animali favolosi.

— Precisamente.

— Tocca, Sam, tocca.

Sam ubbidì e seguitò come segue, mentre il padre continuava a fumare con un misto di saggezza e di compiacenza molto interessante a vedere.

"Prima di vedervi io credevo che tutte le done fossero una cosa stesa".

— E così sono, — osservò in parentesi il signor Weller seniore.

— Ma adesso — proseguì Sam — adesso io trovo e mi riconosco che cavolo ò dovuto essere perchè non ce nessuna al mondo come voi benchè voi mi piacete molto più di nessuna". Ho creduto bene di rinforzare, capite, — disse Sam, alzando gli occhi.

Il signor Weller accennò col capo in segno di approvazione, e Sam riprese:

"Sicchè co’lgo l’occasione di questo giorno, Maria mia cara, come disse cuel tal debitore che usciva soltanto le domeniche per dirvi che la prima essola volta che vò veduta la vostra immagine se fissata nel mio cuore assai più presto e con più vivi colori che cualungue macchina di profili della quale forse avete inteso parlare Maria mia cara con tutto che la macchina finisce il ritratto e ci mette cornice e vetro e la nello per appenderlo e tutto questo in due minuti e un cuarto.

— Temo che questo dia un po’ nel poetico, Sam, — disse il signor Weller in aria dubitativa.

— No, no, — rispose Sam leggendo con molta fretta per evitare la discussione su questo punto.

"Accettatemi Maria mia cara come il vostro valentino e pensate a tutto cuel che vò detto mia cara Maria io vengo alla conclusione" — E questo è tutto.

— Mi pare una certa fermata un po’ brusca, eh, Sam? — domandò il signor Weller.

— Nemmeno per ombra, — rispose Sam; — le verrà la voglia che ci sia dell’altro, e questa è la grande arte di scrivere le lettere.

— Bè, c’è qualche cosa in cotesto; e io vorrei che la vostra signora matrigna volesse soltanto regolare la sua conversazione sullo stesso principio. Adesso bisogna che la firmiate, mi pare.

— Qui sta il punto; non so mica il nome che ci ho a mettere.

— Mettete Weller, — disse il più vecchio rappresentante di quel nome.

— Non va, no. Una valentina non si firma mai col proprio nome

— Firmatela allora Pickwick, — suggerì il signor Weller; — è un bel nome e si legge con facilità.

— Bravissimo, questo è desso. Potrei anche terminare con un verso, che ne dite, eh?

— Non mi piace, Sam, non mi piace. Non ho mai conosciuto un cocchiere rispettabile che abbia scritto in poesia, fuorchè uno, il quale fece una copia affliggente di versi la notte prima di andare alla forca per una grassazione ed era anche di Camberwell, sicchè nemmeno questa è regola.

Ma Sam non si lasciò svolgere dalla idea poetica che lo aveva preso e firmò la lettera:

"Il vostro ricco

D’amor Pickwicko."

E dopo averla piegata in modo intricatissimo, vi inserì da una parte una direzione inclinata: "A Maria, cameriera, signor Nupkins Mayor, Ipswich, Suffolk" e se la mise in tasca sigillata con l’ostia e pronta per la posta. Compiuta così questa faccenda importantissima, il signor Weller seniore incominciò ad esporre quell’altra per la quale avea fatto venire suo figlio.

— La prima cosa, Sam, si riferisce al vostro padrone, — disse il signor Weller. — Domani, se non mi sbaglio, ei sarà chiamato in giudizio.

— Il giorno della causa si avvicina, — rispose Sam.

— Bravo. Ora io suppongo ch’ei vorrà chiamar dei testimoni per assicurare ch’egli è un galantuomo o anche per provare un alibi. Io ci ho pensato su un pezzo, ed ei può star tranquillo, Sam. Ho già trovato degli amici che lo serviranno per l’una e per l’altra cosa; ma l’avviso mio sarebbe questo: lasciare andare il galantuomo e tenersi forte all’alibì. Non c’è niente come un alibì, Sam, niente.

Il signor Weller prese un’aria profonda nell’emettere questo parere legale; e immergendo il naso nel bicchiere ammiccò di sopra all’orlo di questo al figliuolo stupefatto.

— Un alibi! — disse Sam. — O che vi figurate ch’ei debba andare in corte d’assise?

— Cotesto non c’entra per nulla, Sam. Vada dove vuole, quello che fa al fatto nostro, bambino mio, è l’alibì. Noialtri si fece andare libero e franco Tom Wildspark per quel certo omicidio, proprio con un alibì, quando tutti i parrucconi del tribunale dicevano che non c’era verso di salvarlo. E la mia opinione, Sam, è questa, che se il vostro padrone non prova un alibì, ei si può tenere bell’e spacciato, ecco fatto.

Siccome il signor Weller seniore nudriva un fermo ed inalterabile convincimento che la suprema corte di giustizia per tutta l’Inghilterra fosse appunto l’Old Bailey e che le sue forme e procedure servissero di modello e di norma ad ogni altra sorta di corte di giustizia, ei non tenne alcun conto delle assicurazioni e degli argomenti che il figliuolo gli metteva avanti per mostrargli che l’alibì era inammessibile; e violentemente protestò e profetizzò che il signor Pickwick sarebbe stato "sacrificato". Vedendo che ogni discussione era inutile, Sam mutò discorso e domandò che cos’era la seconda faccenda, sulla quale il suo reverendo genitore desiderava consultarlo.

— Questo qui è un punto di politica domestica, Sam, — rispose il signor Weller. — Quel cosiffatto Stiggins...

— L’uomo dal naso rosso?

— Per l’appunto. Quest’uomo dal naso rosso, Sam, viene a far visita alla vostra signora matrigna con una affabilità e una costanza che la simile non l’ho vista mai. Gli è tanto amico della famiglia, Sam, che quando sta lontano, non può stare senza avere qualche cosa che gli faccia ricordar di noi.

— E io gliela darei una qualche cosa per tenergli fresca la memoria per dieci anni di fila, se fossi in voi.

— Adagio un po’. Io stavo per dire ch’ei se ne viene sempre con una sua bottiglia schiacciata che può contenere un buon litro e mezzo, e prima di andarsene se l’empie tutta col nostro rum.

— E la vuota prima di tornare un’altra volta, mi figuro.

— Precisamente! non ci lascia che il tappo e l’odore, ci si può giurare, Sam. Ora, questi figuri, bambino mio, hanno a tener stasera la riunione mensuale della sezione Brick Lane della grande Associazione Ebenezer di Temperanza. Ci dovea andare anche lei, Sam, la vostra signora matrigna, ma poi l’hanno pigliata i reumatismi e non si può più muovere; ed io, Sam, io mi son pigliati i due biglietti mandati a lei.

Il signor Weller comunicò con gran calore questo suo segreto e ammiccò tante volte e con tanta forza, che Sam temette un momento che il vecchio genitore avesse il chiodo nell’occhio destro.

— Ebbene? — domandò.

— Ebbene, — proseguì il progenitore cautamente guardandosi intorno, — ci andremo noi due all’ora precisa. Il vicepastore non ci sarà, Sam; il vicepastore non ci sarà.

Qui il signor Weller fu preso da un tal parossismo di risate che poco mancò non soffocasse.

— Ohe, che diascolo vi piglia mo, — esclamò Sam fregandogli nelle reni con tanta furia da fargli quasi pigliar fuoco. — Di che cosa ridete, corpulenza?

— Zitto, Sam, zitto! — riprese a voce bassa il signor Weller. — Due amici miei che lavorano sulla via di Oxford, due capi ameni come non se ne trovano i compagni, hanno preso il vicepastore a rimorchio, Sam, e so io dove te l’hanno portato: e quando ei verrà alla Riunione della Temperanza (e per venire, ci verrà di certo, perchè lo accompagneranno fino alla porta e lo spingeranno dentro, se occorre) sarà pieno e impregnato di acquavite come se uscisse fresco fresco dal Marchese di Granby, e non è dir poco.

E così dicendo, il signor Weller tornò a ridere smoderatamente e cadde di nuovo per conseguenza in uno stato di soffocazione parziale.

Nulla poteva meglio rispondere ai sentimenti di Sam che questa pubblica mostra delle vere tendenze e qualità dell’uomo dal naso rosso; e poichè l’ora fissata dell’assemblea era molto vicina, padre e figlio si avviarono a Brick Lane, non dimenticando Sam di gettar la lettera in una buca postale, via facendo.

Le riunioni mensuali della Grande Associazione Ebenezer di Temperanza, sezione di Brick Lane, si tenevano in una gran sala ben situata, in cima ad una scala sicura e comoda. Il presidente era l’integerrimo signor Antonio Humm, pompiere convertito, ora Maestro di scuola e predicatore nomade a tempo avanzato; ed il segretario era il signor Giona Mudge, garzone di drogheria, vaso di entusiasmo e di abnegazione, il quale vendeva tè ai membri dell’assemblea. Prima che la tornata si aprisse le signore se ne stavano a sedere sopra tanti sgabelletti e sorbivano tè fino a che non paresse loro conveniente di smettere, e una gran cassetta di legno era situata in bella mostra sul tappeto verde della tavola presidenziale, dietro la quale stava il segretario, rispondendo con un grazioso sorriso ad ogni aggiunzione alla ricca vena di rame che giaceva nelle viscere di quella.

Questa volta, le signore s’erano date a bere il loro tè con una continuità maravigliosa e pericolosa; e ciò con terrore indicibile del signor Weller seniore, il quale, nulla curando i cenni che gli faceva il figliuolo, sbarrava gli occhi intorno col più schietto stupore.

— Ohe, Sam, — bisbigliò, — se qualcuna di queste non s’avrà domani a pungere per idropica, io non son più vostro padre, ecco fatto. Perbacco, c’è questa vecchia signora accanto a me che si sta affogando nel tè.

— Zitto! — mormorò Sam.

— Sam, — disse un momento dopo il signor Weller in un tono basso ma profondamente agitato, — statemi a sentire, bambino mio; se quel segretario ch’è lì seguita così per altri cinque minuti, scoppierà coll’acqua e coi crostini.

— Bè, lasciate che scoppi, se così gli piace; non è mica affar vostro.

— Se questa faccenda ch’è qui dura ancora dell’altro, Sam, io mi sentirò in dovere di uomo e di cristiano di alzarmi e di parlare al pubblico. C’è quella giovane lì sul terzo sgabelletto che s’è ingollata fino adesso nove tazze e mezza; e io la vedo che s’annega sotto gli occhi miei.

Non c’è da dubitare che il signor Weller avrebbe subito recato in atto la sua benevola intenzione, se per buona sorte un gran rumore prodotto dall’acciottolio delle chicchere e dei piattini non avesse annunziato che si finiva di prendere il tè. Rimosse le maioliche e i vassoi, fu portata in mezzo alla camera la tavola dal tappeto verde, e si diè principio alla tornata da un ometto enfatico, calvo e in calzoni corti, il quale salì precipitosamente le scale e disse:

— Signore e signori, io porto al seggio presidenziale il nostro eccellente fratello Antonio Humm.

A questa proposta, tutte le signore agitarono una scelta collezione di fazzoletti; e l’ometto impetuoso portò letteralmente il signor Humm al seggio suddetto, pigliandolo per le spalle e spingendolo in una cornice di mogano che aveva un tempo rappresentato un seggiolone. Si ripetette l’agitarsi dei fazzoletti; e il signor Humm, ch’era un uomo dal viso bianco, magro e sempre in sudore, fece un inchino tutto unzione molto ammirato dal pubblico femminile, e formalmente s’insediò. Fu allora intimato il silenzio dall’ometto violento, e il signor Humm si levò e disse "che con licenza dei fratelli e delle sorelle della sezione di Brick Lane ivi presenti, il segretario avrebbe dato lettura della relazione del comitato della sezione di Brick Lane" la quale proposta fu anch’essa accolta con una dimostrazione di fazzoletti.

Il segretario starnutì molto solennemente, l’assemblea tossì come sogliono tutte le assemblee quando si apparecchia qualche cosa di notevole, e il documento qui appresso fu letto:

RAPPORTO DEL COMITATO DELLA SEZIONE DI BRICK LANE

DELLA GRANDE ASSOCIAZIONE EBENEZER DI TEMPERANZA.

"Il vostro Comitato ha proseguito alacremente nell’opera affidatagli durante tutto il passato mese, ed ha ora l’ineffabile soddisfazione di riferire i seguenti nuovi casi di convertiti alla Temperanza.

"Orazio Walker, sarto, moglie e due figli. Confessa che, in migliori condizioni, era dedito alla birra e ai liquori; dice non esser certo di non avere per lo spazio di venti anni assaggiato due volte la settimana un po’ di naso-di-cane, che il vostro Comitato trova dopo apposite ricerche essere un composto di birra calda, zucchero sciolto, ginepro e noce moscata (un gemito ed un Pur troppo! da parte di una signora attempata). Trovasi ora senza lavoro e nella miseria; crede che la colpa sia della birra (bene) o della mano destra affetta da paralisi; non è certo quale delle due cose, ma crede molto probabile che se non avesse bevuto altro che acqua tutta la sua vita, il suo compagno di lavoro non gli avrebbe ficcato nella mano un ago arrugginito donde il lamentato accidente (applausi fragorosi). Non ha che acqua fresca da bere e non prova mai gli stimoli della sete (grandi acclamazioni).

"Bettina Martin, vedova, figlio unico, cieca d’un occhio. Va fuori il giorno come fantesca e lavandaia; non ha mai avuto più d’un occhio, ma sa che sua madre beveva sodo e non si meraviglierebbe punto che in questo fatto fosse la causa della sua disgrazia (applausi prolungati). Non crede impossibile che se si fosse sempre astenuta dai liquori, a quest’ora avrebbe due occhi invece di uno (strepitose acclamazioni). Soleva, dovunque andasse, farsi pagare con diciotto pence al giorno, un litro di porter e un bicchierino di liquore; ma da che si è iscritta alla Sezione di Brick Lane, si è sempre contentata di domandare tre scellini e sei pence (l’annunzio di questo fatto interessantissimo viene accolto con un entusiasmo assordante).

"Enrico Buller è stato per molti anni maestro di casa a molti pranzi di corporazioni, durante il qual tempo ha bevuto una grande quantità di vini forestieri; può qualche volta essersi portato a casa una o due bottiglie; non ne è proprio certo, ma è sicuro in tutti i modi che, se così faceva, ne beveva il contenuto. Si sente depresso e malinconico, è febbricitante ed è afflitto da una sete inestinguibile; crede debba essere il vino che avea l’abitudine di bere (benissimo). Non ha impiego ora, e non c’è più caso che tocchi un gocciolo di vino forestiero (tremendi battimani).

"Tommaso Burton è fornitore di polmoni pei gatti del Lord Mayor e degli Sceriffi e di parecchi membri del Consiglio dei Comuni (il nome di questo gentiluomo è accolto con vivo interesse ed aspettazione). Ha una gamba di legno; la trova dispendiosa per camminar sul lastrico delle vie; usava gambe di seconda mano e beveva tutte le sere un bicchiere di gin caldo e acqua, qualche volta due (profondi sospiri). Trovò che le gambe di seconda mano si spaccavano e si infracidivano in brevissimo tempo; è fermamente persuaso che la loro costituzione era minata dal gin (applausi prolungati). Compra ora gambe di legno non usate e non beve che dell’acqua e del tè molto debole. Le gambe nuove durano il doppio delle altre, il quale fatto vien da lui attribuito alle sue abitudini di temperanza (uragano di applausi)."

A questo punto Antonio Humm propose che l’assemblea intonasse una canzone. Avendo di mira il loro diletto razionale e morale, il fratello Mordlin aveva adattato le belle parole della canzone Chi non udì di un giovane nocchiero? al motivo del Salmo centesimo, e pregava ora l’assemblea che si unisse a lui e gli facesse da coro (grandi applausi). Ei coglieva questa opportunità per esprimere il suo fermo convincimento che il defunto signor Dibdin, riconoscendo gli errori della sua vita passata, avesse scritto quella canzone per mostrare i vantaggi dell’astinenza. Era una canzone di Temperanza (turbine di applausi). Il vestito lindo e aggiustato dell’interessante giovane, la sua destrezza di rematore, lo stato invidiabile dell’animo suo che lo metteva in grado, secondo le belle parole del poeta, di

Solcar, contento e spensierato, i flutti,

tutto concorreva a provare ch’ei doveva essere un bevitore d’acqua (bravo, bene!). Oh, quale stato di virtuose allegrezze! (Applausi). E quale fu il compenso del giovane? Che tutti i giovani presenti notassero bene:

Volenterose dietro al suo battello

Traeano in folla le fanciulle a nuoto

(Applausi fragorosi, specialmente dalle signore). Che splendido esempio! Le sorelle, le vergini, galleggianti in corona intorno al giovine nocchiero, e spingendo ed animando lungo il sentiero del dovere e della temperanza. Ma, eran forse le sole fanciulle di umile stato che lo consolavano e lo sorreggevano? No!

Di belle dame era il nocchier gradito.

(Entusiasmo). Il sesso debole si raccoglieva tutto intorno al giovane nocchiero, allontanandosi con disgusto dal bevitore di liquori (bravissimo). I fratelli della Sezione di Brick Lane erano nocchieri (applausi e ilarità). Quella sala era il loro battello; quell’udienza erano le vergini; ed egli (il signor Antonio Humm), per indegno che si reputasse, era il gradito nocchiero (acclamazioni tumultuose).

— Che intende mo per sesso debole, Sam? — domandò sottovoce il signor Weller.

— Le donne, — rispose Sam nello stesso tono.

— E non ha mica gran torto, Sam, — soggiunse il genitore; — hanno da essere un sesso molto debole se si lasciano mettere in mezzo da questa sorta di figuri.

Le successive osservazioni dell’indignato signor Weller furono tagliate in tronco dal principio della canzone, che il signor Antonio Humm intonava a due versi per volta, affinchè quegli astanti che non la conoscevano udissero a dovere e intendessero lo spirito della leggenda. Durante la cantata, l’ometto dai calzoni corti disparve; e ritornato dopo un poco bisbigliò qualche parola all’orecchio del signor Antonio Humm con una cera della più profonda importanza.

— Amici miei, — disse il signor Humm, alzando una mano in atto deprecativo ed impetrando il silenzio di qualche vecchia signora che stava in ritardo di un par di versi, — amici miei, un delegato della Sezione di Dorking della nostra Associazione, il fratello Stiggins, attende da basso.

Da capo sventolarono i fazzoletti con più forza che mai perchè il signor Stiggins era estremamente popolare nella rappresentanza femminile di Brick Lane.

— Credo che possa venire avanti, — disse il signor Humm, guardando intorno con un sorriso beato. — Fratello Tadger fate che entri e che scambi con noi il saluto della fratellanza.

L’ometto dai calzoni corti che rispondeva al nome di Tadger, discese sollecitamente la scala, e lo si udì subito venir su in compagnia del reverendo signor Stiggins.

— Eccolo che viene, Sam, — bisbigliò il signor Weller che s’era fatto paonazzo per contenersi dal ridere,

— Non mi dite nulla, — rispose Sam, — perchè non ci reggo. È vicino alla porta. Lo sento che dà di capo nel muro.

Nel punto stesso la porta si spalancò, e il fratello Tadger apparve, seguito da presso dal reverendo signor Stiggins, il quale fu accolto da uno strepito grande di battimani e di pestar di piedi e da uno sventolamento entusiastico di fazzoletti; a tutte le quali manifestazioni di gioia e di simpatia, il fratello Stiggins non rispose altrimenti che guardando con occhio stupido e con un sorriso fisso al lucignolo della candela della tavola presidenziale, dondolandosi nel tempo stesso in una maniera molto incerta e malferma.

— Vi sentite male, fratello Stiggins? — domandò sottovoce il signor Antonio Humm.

— Mi sento benone, signore, — rispose il signor Stiggins con molta ferocia e grossezza di lingua; — mi sento benone, signore.

— Benissimo, benissimo, — disse il signor Humm scostandosi di qualche passo

— Io non voglio credere che ci sia qui qualcuno il quale si sia permesso di dire che io non sto bene, signore, — soggiunse il signor Stiggins.

— Oh no di certo! — rispose il signor Humm.

— Vorrei vedere che se lo fosse permesso, signore; vorrei vedere, — disse il signor Stiggins.

L’assemblea intanto se ne stava in silenzio, aspettando con una certa ansietà che la seduta continuasse.

— Volete parlare all’assemblea, fratello? — domandò il signor Humrn con un sorriso d’invito.

— Signor no, — rispose il signor Stiggins, — signor no. Non voglio parlare niente affatto, signore.

Gli astanti si guardarono l’un l’altro con le ciglia alzate e un mormorio di stupore corse per la sala.

— La mia opinione, signore, — disse il signor Stiggins sbottonandosi il soprabito ed alzando la voce, — la mia opinione, signore, è che questa assemblea è ubbriaca. Fratello Tadger, — aggiunse voltandosi di botto all’ometto dai calzoni corti e facendosi sempre più feroce, — voi siete ubbriaco fradicio, signore.

E il signor Stiggins, così dicendo, mosso da un lodevole desiderio di inculcare la sobrietà e di escludere dall’assemblea ogni persona che ne fosse indegna, scaraventò un pugno sul naso del fratello Tadger con tanta aggiustatezza che i calzoni corti sparvero come un lampo. Il fratello Tadger avea ruzzolato tutte le scale.

A questo, le donne strillarono spaventate, e scappando a frotte di qua e di là verso i loro fratelli favoriti, gettarono loro le braccia al collo per difenderli da ogni pericolo. Questa dimostrazione di affetto poco mancò non riuscisse fatale ad Humm, il quale, essendo molto popolare, venne quasi soffocato dalla folla di devote che gli si appesero al collo e dalle loro carezze. La maggior parte dei lumi caddero o si spensero, e da tutte le parti non si udiva che strepito e confusione.

— Ora, Sam, — disse il signor Weller, togliendosi con gran decisione il soprabito, — subito fuori a cercar della polizia.

— E che volete far voi, intanto?

— A questo non ci pensate. Mi occuperò ad aggiustare una piccola partita con cotesto Stiggins.

E prima che Sam potesse frapporsi, l’eroico genitore si spinse in un angolo remoto della sala ed attaccò il reverendo Stiggins con gran destrezza manuale.

— Andiamo via, — gridò Sam.

— Andiamo pure, — gridò il signor Weller; e senz’altra prevenzione applicò una botta preliminare sul capo del reverendo Stiggins, e incominciò a ballargli intorno una danza chiassosa e brillante, che in una persona della sua età era una perfetta maraviglia.

Trovando inefficace ogni rimostranza, Sam si calcò forte il cappello in capo, si pigliò sul braccio il soprabito del padre, e afferrando il vecchio per la vita lo tirò a viva forza giù per le scale, e di là nella via; non lasciando mai presa nè permettendogli di fermarsi fino a che non furono alla cantonata. Giunti che vi furono, udirono le grida del popolino, che si affollava dietro il signor Stiggins portato in gattabuia e il rumore del disperdersi in varie direzioni dei membri della Sezione di Brick Lane della Grande Associazione Ebenezer di Temperanza.