Il Circolo Pickwick/Capitolo 32
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C’è una cert’aria di riposo intorno a Lant Street, nel Borough, che inspira all’anima una gentile malinconia; è una via traversa, e nella pace che vi regna si trova un gran sollievo. Una casa in Lant Street non è propriamente un palazzo di prim’ordine; ma vi si va nondimeno ad abitare molto volentieri. Se un uomo desidera ritirarsi dal mondo, sottrarsi agli artigli della tentazione, mettersi nella impossibilità di guardare fuori della finestra, noi gli raccomandiamo in tutti i modi di scegliere un quartierino in Lant Street.
In questo avventurato ritiro si trovano colonizzate alcune stiratrici di fino, una mano di rilegatori di libri, uno o due agenti della Corte degli Insolvibili, parecchi padroni di casa impiegati ai Docks, una bracciata di crestaine ed un pugno di giovani di sartorie. La maggioranza degli abitanti si danno alla speculazione dei quartieri mobiliati o spendono le loro energie nella piacevole e sana occupazione di ammaestrar la calandra. I tratti principali nella natura morta della strada sono le persiane verdi, gli appigionasi, le piastre di ottone sugli usci, e le tirate di campanelli; gli esemplari più notevoli della natura animata sono il giovane dell’oste, il garzone del pasticciere, l’uomo dalle patate arrosto. La popolazione è migrante, e sparisce abitualmente all’approssimarsi della scadenza trimestrale e per lo più nelle ore della notte.
Le entrate di Sua Maestà son raramente riscosse in questa valle felice, le pigioni sono dubbie, e i condotti dell’acqua sono spesso tagliati per mancato pagamento di tassa.
Il signor Bob Sawyer, aspettando il signor Pickwick, abbelliva a prima sera un lato del camminetto, mentre il signor Ben Allen abbelliva l’altro lato. I preparativi pel ricevimento parevano completi. Gli ombrelli nel corridoio erano stati ammonticchiati nell’angolo dietro la porta del salotto; il cappellino e lo scialle della serva della padrona di casa erano stati tolti dalla ringhiera delle scale; non c’erano più di due scarpacce sulla stuoia della porta di strada; ed una candela di sego, con un lunghissimo lucignolo, ardeva allegramente sul davanzale della finestra della cucina. Il signor Bob Sawyer aveva egli stesso comprato i liquori ad una cantina in High Street, ed era tornato a casa precedendo il garzone che li portava, per togliere ogni possibilità di saperli poi consegnati ad una casa che non fosse la sua. Il ponce era bell’e fatto in un ramino rosso in camera da letto; un tavolino, coperto di panno verde, era stato preso dal salottino, per poter giocare a carte; e i bicchieri della casa, in compagnia di quelli fattisi imprestare per l’occasione dalla trattoria, erano tutti raccolti in un vassoio ed esposti sopra una mensola fuori la porta.
Malgrado il carattere molto soddisfacente di queste disposizioni preparatorie, una nuvola si addensava sulla fronte del signor Bob Sawyer, mentre se ne stava a sedere accanto al fuoco. C’era anche una espressione corrispondente nella fisonomia del signor Ben Allen, tutto intento a guardare i carboni accesi, e un tono di malinconia nella sua voce, nel dire, dopo un lungo silenzio:
— Ebbene; gli è proprio il diavolo che si sia ficcato in testa di imbronciarsi, proprio in questa occasione. Avrebbe almeno potuto aspettare fino a domani.
— È maligna, ecco quel che è, — rispose il signor Bob Sawyer con impeto. — Dice che se io sono in grado di dare un trattenimento, dovrei anche essere in grado di pagare il suo maledetto conticino.
— Da quanto è che gira? — domandò il signor Ben Allen.
Un conto, sia detto di passata, è la più straordinaria locomotiva che il genere umano abbia mai inventato. Girerebbe vita natural durante, senza fermarsi da sè una volta sola.
— Un tre o quattro mesi, — rispose il signor Bob Sawyer.
Ben Allen tossì in tono di poca speranza e volse uno sguardo scrutatore verso l’alto del caminetto.
— Vorrà essere un affaraccio, — disse poi, — se le salta il ticchio di fare una scenata quando quei signori saranno qui.
— Orribile, — esclamò Bob, — orribile!
Una leggiera bussatina si udì all’uscio della camera. Bob volse un’occhiata espressiva al suo amico, e disse alla persona di fuori che entrasse pure; al che una ragazza sudicia in ciabatte e calze di cotone nero, la quale avrebbe potuto passare per la figliuola abbandonata di uno spazzino al riposo e in molte strettezze, spinse dentro il capo e disse:
— Di grazia, signor Sawyer, la signora Raddle vorrebbe dirvi due parole.
Prima che il signor Sawyer potesse in alcun modo rispondere, la ragazza sparì di botto come se qualcuno l’avesse violentemente tirata di dietro; e non sì tosto questa uscita misteriosa fu compiuta, un’altra bussatina fu data all’uscio, una bussatina secca e provocante che pareva dire: "Eccomi, vengo."
Il signor Bob Sawyer guardò all’amico con aria dolorosa, e gridò di nuovo: "Entrate."
Il permesso non era punto necessario, perchè nel punto stesso che Bob moveva le labbra per pronunciare quelle parole, una fiera donnetta irruppe in camera, tremante dalla furia e pallida di rabbia.
— Orsù, signor Sawyer, — disse la fiera donnetta, sforzandosi di parer calma, — se volete aver la bontà di aggiustare quel conticino che sapete, vi sarò obbligatissima, perchè proprio oggi ho da pagar la pigione e il padrone di casa è da basso che aspetta.
Qui la donnetta si diè una fregatina di mani, e guardò fiso sulla testa di Bob Sawyer, al muro che gli stava dietro.
— Mi dispiace moltissimo di darvi un qualunque disturbo, signora Raddle, — disse Bob con molta deferenza, — ma...
— Oh no, niente disturbo, — rispose la donnetta con voce stridula. — Prima di oggi non ne avevo stretto bisogno, capite, siccome è danaro che ha da andar diritto nelle mani del padrone di casa, tant’è che l’avessi io in tasca quanto voi. Voi mi avevate promesso per quest’oggi, signor Sawyer, e qualunque gentiluomo che è stato di casa qui ha sempre mantenuto la sua parola, signore, come naturalmente qualunque persona che si vuol chiamar gentiluomo la mantiene.
E la signora Raddle scosse il capo, si morse le labbra, si fregò più forte le mani, e guardò più fiso che mai al muro di faccia. Era evidente, come il signor Bob Sawyer ebbe a notare in una successiva occasione con una allegoria tutta orientale, che la signora "condensava il suo vapore".
— Sono dolentissimo, signora Raddle, — disse Bob con tutta l’umiltà immaginabile, — ma il fatto è che proprio oggi contavo di riscuotere nella City e me ne son tornato a mani vuote.
Straordinaria regione cotesta City! È incredibile il numero delle persone che vi contano sopra e che si trovano tutti i giorni nella posizione di doverci contare pel giorno appresso.
— Ebbene, signor Sawyer, — disse la signora Raddle, piantandosi fermamente sopra un cavolfiore scarlatto del tappeto, — e che mi fa questo a me? signor mio?
— Io... io... sono certissimo, signora Raddle, — disse Bob Sawyer, eludendo l’ultima domanda, — che prima della metà della settimana prossima, ci troveremo in grado di aggiustarci una buona volta e andare avanti con un miglior sistema.
Questo era tutto quel che la signora Raddle aspettava. Era venuta su in camera dello sciagurato Bob Sawyer così corriva a montare in furia, che molto probabilmente l’immediato pagamento del conto l’avrebbe tradita nelle sue aspettazioni. Si trovava dispostissima ad un esercizio di questo genere, avendo appunto scambiato in cucina alcuni complimenti preparatori col signor Raddle.
— Vi figurate voi, signor Sawyer, — disse la signora Raddle, elevando la voce per la migliore informazione dei vicini, — vi figurate voi ch’io sia disposta a permettere che una persona venga a star di casa a casa mia senza pensar mai a pagar la pigione e nemmeno quei pochi spiccioli buttati via pel burro e per lo zucchero della sua colazione e perfino pel latte che si piglia la mattina alla porta di strada? Vi figurate voi che una donna industriosa e lavoratrice che ha vissuto in questa via per venti anni di fila (dieci anni giù di lì, e nove anni e nove mesi in questo preciso quartiere), non abbia altro da fare che consumarsi la vita dietro una mano di fannulloni, che passano il tempo a fumare, a bere, a godersela, quando dovrebbero cogliere tutte le occasioni per mettersi a qualche cosa che gli aiuti a pagare i debiti loro? Vi figurate voi...
— Mia buona signora, — interruppe con dolcezza il signor Beniamino.
— Fatemi la finezza di tenervele per voi le vostre osservazioni, signore, prego, — disse la signora Raddle, arrestando di botto il rapido torrente del suo discorso, e volgendosi a quel signor terzo con imponente lentezza e solennità. — Io non credo, signore, che voi abbiate alcun diritto di rivolgere a me la vostra conversazione. Non mi par mica di avere affittati a voi questi appartamenti, signore.
— No, certamente no, — disse il signor Beniamino.
— Benissimo, signore, — rispose la signora Raddle, con altera cortesia. — Sicchè, spero, vi limiterete a rompere le braccia e le gambe della povera gente negli ospedali, e ve ne starete al vostro posto, signore, altrimenti ci potrà essere qui qualcheduno che vi ci farà stare.
— Ma voi siete una donna così irragionevole, — rimostrò il signor Beniamino.
— Domando scusa, giovanotto, — disse la signora Raddle sudando freddo dalla stizza, —ma vorreste farmi la finezza di chiamarmi un’altra volta così?
— Io non ho mica adoperato la parola in un senso offensivo, signora mia, — rispose il signor Beniamino, sentendosi un po’ a disagio per conto proprio.
— Domando scusa, giovanotto, ripetette la signora Raddle in tono più forte ed imperativo, — ma chi è che avete chiamato una donna? Avete rivolto a me cotesta osservazione?
— Ma dico, per amor del cielo! — esclamò il signor Beniamino.
— Avete applicato a me quel nome, vi domando? — interruppe la signora Raddle con intensa fierezza, spalancando la porta.
— Ma sì, naturalmente, — rispose il signor Beniamino.
— Sì, eh, naturalmente! — esclamò la signora Raddle, indietreggiando a poco a poco verso la porta ed alzando la voce al tono più alto a beneficio speciale del signor Raddle nella cucina. — Sì, naturalmente, e tutti sanno oramai che mi si può liberamente insultare in casa mia mentre il mio signor marito se ne sta giù a dormire e non si dà più pensiero di me che se fossi un cane di strada. Si dovrebbe vergognare, si dovrebbe (la signora Raddle ruppe in singhiozzi) di permettere che sua moglie venga trattata a questo modo da un branco di sfaccendati che tagliano e macellano la povera gente, che screditano la casa (altro singhiozzo), e di lasciarla esposta a ogni sorta di affronti; un uomo debole, timido, che ha paura di montar le scale e di affrontare gli sciagurati, che ha paura, sì, che ha paura!
La signora Raddle sostò per udire se la ripetizione dell’oltraggio avesse destato la sua miglior metà; ma, accorgendosi di non averne fatto nulla, incominciò a discendere le scale con innumerevoli singhiozzi; quando si udiron picchiar due colpi all’uscio di strada, al che ella scoppiò in un accesso isterico di pianto, accompagnato da gemiti disperati, che si protrasse fino a che la bussata non fu ripetuta altre sei volte; ed allora in un impeto irrefrenabile di angoscia ella buttò giù tutti gli ombrelli e disparve nelle camere sue, tirandosi dietro l’uscio con un fracasso terribile.
— Abita qui il signor Sawyer? — domandò, quando gli fu aperto, il signor Pickwick.
— Sì, — rispose la fantesca, — primo piano, la porta di faccia in cima alle scale.
E data questa istruzione, la ragazza che era nata e cresciuta fra gli aborigeni di Southwark, disparve con la candela in mano giù per le scale della cucina, perfettamente sicura di aver fatto tutto ciò che da lei si poteva esigere in una circostanza simile.
Il signor Snodgrass, che entrò ultimo di tutti, richiuse il portone, dopo molti sforzi andati a vuoto, menando la catena; e gli amici andarono su, dove furono ricevuti dal signor Bob Sawyer, il quale non era disceso per paura di una aggressione da parte della signora Raddle.
— Come state? — domandò lo sciagurato studente. — Tanto piacere di vedervi... badate ai bicchieri.
Questa raccomandazione era diretta al signor Pickwick, che avea posato il cappello nel vassoio.
— Oh, scusate! — esclamò il signor Pickwick.
— Niente, niente, — disse Bob Sawyer. — Sono un po’ ristretto qui, come vedete, ma bisogna passarci sopra a certe cose quando si viene in casa d’uno scapolo. Entrate. Avete già conosciuto il signore, mi pare?
Il signor Pickwick scambiò col signor Beniamino Allen una stretta di mano, e gli amici seguirono il suo esempio. Non si erano ancora messi a sedere, che un’altra doppia bussata si udì.
— Spero che sia Jack Hopkins, — disse Bob. — Zitti... sì, è lui. Salite, Jack, salite.
Un passo pesante si udì per le scale, e Jack Hopkins si presentò. Portava una sottoveste di velluto nero con bottoni di vetro smerigliato, e una camicia a righe bianche e turchine con un solino bianco.
— Siete un po’ in ritardo, Jack, — disse Ben Allen.
— Trattenuto allo spedale di San Bartolomeo, — rispose Hopkins.
— Nulla di nuovo?
— No, niente di particolare. Un discreto accidente.
— Di che si tratta? — domandò il signor Pickwick:
— Oh, un’inezia! un uomo caduto dalla finestra di un quarto piano; ma un bel caso, davvero, un bellissimo caso.
— Volete dire che il paziente è in via di guarigione? — domandò il signor Pickwick.
— No, — rispose Hopkins sbadatamente. — No, credo anzi tutt’al contrario. Vi deve essere però una splendida operazione domani, una cosa magnifica se verrà ad operare Slasher.
— Grande operatore il signor Slasher? — domandò il signor Pickwick.
— Il migliore fra i viventi, — rispose Hopkins. — La settimana scorsa disarticolò la gamba di un bambino, mentre il bambino si mangiava cinque mele e un panino gravido, capite: due minuti precisi dopo l’operazione, il bambino disse che non voleva star lì perchè si prendessero giuoco del fatto suo; e che gliel’avrebbe detto alla mamma, se non cominciavano subito.
— Possibile! — esclamò stupefatto il signor Pickwick.
— Poh! questo è niente, questo; — disse Jack Hopkins, — non è così, Bob?
— Altro! — rispose Bob.
— A proposito, Bob, — disse Hopkins dando un’impercettibile occhiata alla faccia intenta del signor Pickwick, — abbiamo avuto un curioso accidente ieri sera. Ci hanno portato un ragazzo che aveva ingoiato una collana.
— Ingoiato che? — interruppe il signor Pickwick.
— Una collana, — rispose Jack Hopkins. — Non tutta in una volta, capite; sarebbe stata troppa roba; nemmeno voi ve l’avreste ingoiata, eh, signor Pickwick? ah, ah, ah!
Il signor Hopkins parve molto soddisfatto della propria spiritosaggine, e proseguì:
— No, non andò così la cosa; i genitori del ragazzo erano della povera gente che abitavano in un cortile. La sorella maggiore del ragazzo compra una collana; una collana comune, fatta di grosse pallottole nere di legno. Il ragazzo, amante dei gingilli, ruba la collana, la nasconde, ci giuoca, taglia il laccio, e inghiotte una pallottola. Gli pare di aver fatto un gran bello scherzo, torna il giorno appresso, ed inghiotte una seconda pallottola.
— Misericordia! — esclamò il signor Pickwick; — è spaventevole! Scusate, signore, continuate.
— Il giorno appresso, il ragazzo inghiotte due pallottole; e il giorno dopo si tratta a tre, e poi a quattro, e così via via, fino a che in una settimana, niente più collana, venticinque pallottole in tutto. La sorella, che era una ragazza industriosa e raramente si comprava qualche oggetto di lusso, versa un fiume di lagrime per la collana perduta; guarda di qua e di là, di sopra e di sotto, ma è inutile dirvi che non la trova. Pochi giorni dopo, la famiglia stava a desinare: un cosciotto di montone arrosto con letto di patate; il ragazzo, che non ha fame, va ruzzando intorno alla camera, quando ad un tratto si ode un diavolo di rumore come una piccola grandinata. "Non si fa questo, bambino!" dice il padre. "O che fo io?" dice il ragazzo. "Bene, bene" dice il padre "non lo far più". Un po’ di silenzio, e poi eccoti il rumore che ricominciava più forte che mai. "Se non mi dai retta, bambino" dice il padre "ti metto subito a letto in quattro e quattr’otto". Lo piglia per l’orecchio, gli dà una scrollatina, e si ode allora un tale scroscio come nessuno aveva udito mai. "Per tutti i diavoli!" esclama il padre "gli è in corpo al bambino! ha preso il cruppe nel ventre!" — "No, babbo, no" grida il ragazzo, incominciando a piagnucolare "è la collana; me la sono inghiottita, babbo". — Il padre piglia su il ragazzo e corre all’ospedale; le pallottole nello stomaco del ragazzo fanno con lo scotimento un fracasso indiavolato, e la gente che si trova a passare guarda su in aria e giù nelle cantine per capire di dove viene quello strano rumore. Adesso sta all’ospedale, e fa un tale strepito quando va attorno che si è dovuto avvoltolarlo nel tabarro di un custode perchè non abbia a svegliare gli ammalati!
— Questo è il caso più straordinario ch’io abbia mai udito, — disse il signor Pickwick dando un colpo enfatico sulla tavola.
— Oh, questo è niente, questo, — disse Jack Hopkins, — non è così, Bob?
— Altro! — rispose Bob.
— Accadono nella professione nostra delle cose molto singolari, signore, — disse Hopkins.
— Non duro fatica a crederlo, — rispose il signor Pickwick.
Un’altra bussata alla porta annunziò un giovane con un testone in parrucca nera, che menava seco un giovane scorbutico in soprabito stretto e lungo. Venne appresso un signore con una camicia ornata di ancore rosse e seguito da un giovanetto pallido con una catena d’orologio di similoro. L’arrivo infine di un personaggio di conto che aveva la camicia bianca e gli stivali di panno completò la riunione. Il tavolino verde fu tirato nel mezzo; la prima portata di ponce fu servita in una brocca bianca; e le tre ore successive furono dedicate al ventuno a sei pence la dozzina, che venne solo interrotto da una lieve disputa tra il giovanetto scorbutico e il signore dalle ancore rosse, nella quale il giovanetto scorbutico espresse una sua gran voglia di tirare il naso del signore che portava gli emblemi della speranza, al che questo signore manifestò la sua ferma decisione di non sopportare in pace nessuna sorta di soperchieria sia dall’irascibile giovanetto sia da qualunque altra persona che avesse il capo sulle spalle.
Quando fu chiamato l’ultimo banco ed aggiustato il conto della vincita e della perdita con soddisfazione di tutti, il signor Bob Sawyer suonò il campanello della cena, e i convitati si ritirarono e si strinsero negli angoli della camera per dare spazio sufficiente all’imbandigione.
La quale però non fu così facile come qualcuno potrebbe immaginare. Prima di tutto, si dovette svegliare la ragazza, che s’era addormentata con la faccia sulla tavola della cucina; ci volle per questo un po’ di tempo, e anche dopo ch’ebbe risposto alla chiamata, un altro quarto d’ora fu consumato in vani sforzi per comunicarle un debolissimo barlume di ragione. L’uomo a cui si erano ordinate le ostriche non era stato avvertito che le dovesse aprire; ed è impresa molto ardua aprire un’ostrica con un coltello da tavola ed una forchetta a due denti sicchè per questo verso ci fu ben poco da cavarne le mani. Anche con l’arrosto, un po’ duretto, si dovette combattere; e il prosciutto (preso anche dalla pizzicheria tedesca alla cantonata) si trovò nelle precise condizioni dell’arrosto. C’era però del porter in abbondanza in una brocca di latta; e al formaggio fu fatto grande onore; perchè era molto forte. Nel complesso adunque la cena non fu meno buona di quanto sogliono essere le cose di questo genere.
Dopo cena un altro vaso di ponce fu portato sulla tavola accompagnato da un mazzo di sigari e da due bottiglie di liquori. Seguì poi una pausa terribile; e questa fu cagionata da un incidente comunissimo in quei posti lì, ma non per questo poco imbarazzante.
Il fatto è che la ragazza lavava i bicchieri. Tutto lo stabilimento non ne vantava che quattro; non ci permettiamo di menzionare questo particolare come una insinuazione oltraggiosa per la signora Raddle, perchè non c’è mai stata casa mobiliata che abbia, per dir così, nuotato nei bicchieri. I bicchieri della padrona di casa erano dei bicchieri piccoli e sottili di vetro comune, e quelli presi a prestito dalla trattoria erano grandi, idropici, massicci, sostenuti da una gamba gottosa. Questa notevole varietà avrebbe bastato di per sè a far comprendere alla brigata il vero stato delle cose; ma la fantesca sciattata avea voluto prevenire ogni equivoco che potesse sorgere a questo proposito, togliendo il bicchiere a ciascuno dei convitati assai prima che l’avesse vuotato, e dichiarando ad alta voce, ad onta dei visacci e delle interruzioni del signor Bob Sawyer, che bisognava portarli da basso e lavarli subito.
È un gran brutto vento quello che non fa bene a nessuno. Il signore dagli stivali di panno, che avea fatto inutili sforzi per dire una spiritosaggine durante il giuoco del ventuno, scorse la buona opportunità e l’acciuffò a volo. Non sì tosto i bicchieri furono scomparsi, incominciò a narrare una sua storia a proposito di un grand’uomo politico, di cui non si ricordava più il nome, che avea fatto una bella risposta ad un uomo illustre del quale non gli era mai riuscito aver notizie. Si diffuse largamente e con molte minuzie su diverse circostanze secondarie, strettamente legate all’aneddoto in questione, ma per quanto facesse non gli veniva fatto proprio in quel momento di ricordarsi in che consistesse quest’aneddoto, benchè avesse avuto l’abitudine di raccontare la storia con gran plauso per dieci anni di fila.
— Per bacco! — conchiuse, — è una cosa proprio straordinaria!
— Mi dispiace che l’abbiate dimenticata, — disse Bob, volgendo uno sguardo ansioso alla porta di dove gli giungeva il tintinnio dei bicchieri, — mi dispiace assai.
— Anche a me, — rispose il narratore, — perchè so che vi avrebbe fatto smascellar dalle risa. Non monta; scommetto che me la ricorderò di qui a mezz’ora.
In questo punto preciso tornarono i bicchieri, e il signor Bob, che in questo frattempo era stato sempre sovrappensiero, disse che ne avrebbe udito con molto piacere la fine, perchè fino a lì era senza un dubbio al mondo la più bella storia che avesse mai udito.
La vista dei bicchieri ridonò a Bob quel grado di equanimità che fin dal suo colloquio con la padrona di casa egli avea perduto. Gli si rischiarò la faccia e gli si sciolse lo scilinguagnolo.
— Orsù, Betsy, — disse Bob con molta dolcezza, sparpagliando nel tempo stesso la piccola e tumultuosa folla di bicchieri che la ragazza avea raccolta nel centro della tavola. — Orsù, Betsy, l’acqua calda; da brava, svelta!
— L’acqua calda non la si può avere, — rispose Betsy.
— Non si può avere l’acqua calda! — esclamò Bob.
— No, — disse la ragazza, con una scrollatina di testa che esprimeva una negativa assai più decisa che non avrebbe mai potuto fare il più copioso linguaggio. — La signora ha detto che non ne dovete avere.
La sorpresa che si dipinse sulle faccie dei convitati infuse all’ospite un novello coraggio.
— Portate subito l’acqua calda, all’istante! — ordinò con disperata imperiosità il signor Bob Sawyer.
— Non posso eh! — rispose la ragazza; — la signora ha spento il fuoco prima di andare a letto ed ha chiuso a chiave il ramino.
— Oh, niente, niente, non importa. Prego, non vi disturbate con queste inezie, — disse il signor Pickwick, notando il conflitto di passioni che si leggeva sul viso di Bob; — l’acqua fresca farà lo stesso.
— Oh sicuro, eccellente l’acqua fresca, — disse Ben Allen.
— La mia padrona di casa va soggetta a qualche lieve attacco di disordine mentale, — notò Bob Sawyer con un tetro sorriso; — temo forte che le dovrò dare la disdetta.
— No, no, non lo fate, — disse Ben Allen.
— Temo che lo farò, — rispose Bob con eroica fermezza. — Le pagherò quel che le debbo e domani stesso le do la disdetta, domani stesso!
Poveraccio! come bramava ardentemente di poterlo fare!
Gli sforzi strazianti di Bob per rimettersi da quest’ultimo colpo comunicarono a tutta la brigata una grande depressione di spiriti; sicchè la maggior parte dei convitati, per vedere di tenersi su, si diè cordialmente alla consumazione del ponce, i primi effetti del quale si fecero manifesti in una ripresa di ostilità tra il giovanetto scorbutico e il signore dalla camicia ancorata. I belligeranti si gettarono in faccia il loro sentimento di mutuo disprezzo in una varietà di occhiatacce, fino a che il giovane scorbutico sentì la necessità di venire ad una più esplicita dichiarazione.
— Sawyer, — chiamò forte il giovanetto scorbutico.
— Che c’è, Noddy?
— Mi dorrebbe assai, Sawyer, di recare un qualunque disturbo alla tavola d’un amico, e tanto più alla vostra, Sawyer; ma io non posso non cogliere quest’occasione per informare il signor Gunter ch’egli non è un gentiluomo.
— Ed io sarei dolentissimo, Sawyer, di disturbare in qualunque modo la via dove abitate, — disse il signor Gunter, — ma temo forte che sarò costretto di buttare dalla finestra quel signorino lì.
— Che intendete dire, signore? — domandò il signor Noddy.
— Precisamente quel che ho detto, — rispose il signor Gunter:
— Vorrei proprio vedere che lo faceste.
— Ve lo sentirete da qui a mezzo minuto se lo farò.
— Vi prego, signore, di favorirmi il vostro biglietto di visita.
— Non ve lo darò per nulla al mondo.
— E perchè?
— Perchè ve lo appiccichereste sul camminetto e dareste ad intendere alla gente che vi capita in casa che un gentiluomo è venuto a farvi visita.
— Signore, — disse il signor Noddy, — domani si recherà da voi un mio amico.
— Signore, — rispose il signor Gunter, — vi ringrazio dell’avvertimento, perchè ordinerò al mio domestico che chiuda bene i cucchiai.
A questo punto entrarono di mezzo gli altri convitati, facendo di qua e di là delle rimostranze sulla sconvenienza di quella contesa. A questo, il signor Noddy volle far notare che suo padre non era persona meno rispettabile del padre del signor Gunter; e il signor Gunter rispose che suo padre era persona rispettabilissima nè più nè meno del padre del signor Noddy, e che il figlio di suo padre era uomo da valere il signor Noddy, sempre che gli piacesse. Siccome quest’ultimo inciso pareva annunziare un rinfocolarsi della contesa, vi fu da parte della brigata un altro intervento pacifico; e ne seguì un gran frastuono e un discorrere a coro, tanto che il signor Noddy ebbe modo di lasciarsi vincere dai suoi migliori sentimenti e dichiarò di aver sempre nudrita una gran devozione personale pel signor Gunter. Il signor Gunter rispose che, in fin dei conti, egli teneva il signor Noddy in conto di fratello; e ciò udendo il signor Noddy si levò con atto magnanimo da sedere e porse la mano al signor Gunter. Il signor Gunter la strinse subito con commovente ardore; e tutti ebbero a riconoscere che la disputa era stata condotta in modo molto cavalleresco ed onorevole dai due egregi avversari.
— Ed ora, — disse Jack Hopkins, — tanto per rimetterci in vena, Bob, non sarei alieno dal cantare una canzone.
Ed Hopkins, incoraggiato da un applauso generale e tumultuoso, intonò subito: Il re, Dio salvi il re! con una voce stentorea sopra un motivo tra Nella Baia di Biscaglia e Una rana per l’aria volò. Il bello della canzone stava nel ritornello, e siccome ciascuno dei presenti lo adattava a quel motivo che gli era più famigliare, ne risultava veramente un effetto maraviglioso.
Alla chiusa del ritornello dopo la prima strofe, il signor Pickwick stese la mano facendo l’atto di chi voglia ascoltare, e disse, appena si fece silenzio:
— Zitti! scusate. Mi è sembrato che qualcuno abbia chiamato di sopra.
Ne seguì un profondo silenzio, e si vide da tutti che Bob Sawyer si faceva pallido.
— Ecco, — disse il signor Pickwick, — mi pare che adesso chiamino di nuovo. Abbiate la bontà di aprir la porta.
Non sì tosto la porta fu aperta, ogni sorta di dubbio scomparve.
— Signor Sawyer, signor Sawyer! — strillava una voce dal pianerottolo di sopra.
— È la mia padrona di casa, — disse Bob guardandosi intorno tutto abbattuto. — Signora Raddle?
— Che significa cotesto chiasso, signor Sawyer? — rispose la voce con una intonazione più stridula ed affrettata. — Non basta forse vedersi defraudati della pigione e dar del danaro in prestito tirandolo fuori della tasca, ed essere insultati dai vostri amici che hanno il muso di chiamarsi uomini, che anche la casa si debba mettere sottosopra e far tanto strepito da far correre i pompieri, alle due dopo la mezzanotte? Metteteli fuori dell’uscio cotesti scostumati.
— Dovreste vergognarvi! — disse la voce del signor Raddle, che sembrava venire da molto lontano di sotto alle lenzuola.
— Vergognarsi! — esclamò la signora Raddle. — E perchè non scendete voi coi piedi vostri per buttarli uno per uno giù per le scale? Lo fareste, se foste un uomo.
— Lo farei cioè se fossi una dozzina d’uomini, cara mia, — rispose il signor Raddle tranquillamente; — ma essi hanno il vantaggio del numero, capite.
— Uh! vigliaccone, che non siete altro!— rispose la signora Raddle con supremo disgusto. — Volete sì o no, signor Sawyer, mandar via cotesta gentaccia?
— Se ne vanno, signora, se ne vanno, — gridò lo sciagurato Bob. — Forse sarebbe bene che ve n’andaste, — aggiunse volgendosi agli amici. — Mi è sembrato anche a me che facevate troppo chiasso.
— È una vera disgrazia, — disse il signore dalle ancore. — Proprio quando s’era preso l’aire.
Il fatto era che egli aveva appunto incominciato ad avere un barlume della storia che avea dimenticata.
— È una cosa da non sopportarsi, — aggiunse guardandosi intorno, — da non tenersela, eh?
— Per nulla al mondo, — rispose Jack Hopkins. — Orsù, Bob, all’altra strofe, andiamo!
— No, no, Jack, per amor del cielo! — lo interruppe Bob. — Sarà una bellissima canzone, ma io credo sarebbe meglio lasciarla andare l’altra strofe. Sono gente molto violenta questi di casa.
— Volete che vada su io a tirar l’orecchio al padrone? — domandò Hopkins, — o che mi metta a scampanellare o che vada a piangere sulle scale? Non avete che da parlare, Bob.
— Vi sono obbligatissimo, mio caro Hopkins, della vostra amicizia e gentilezza, — disse il povero Bob, — ma io credo che il miglior mezzo di troncare ogni contesa sia di separarci senz’altro.
— Sicchè, signor Sawyer, — strillò la voce stridula della signora Raddle, — se ne vanno sì o no cotesti bruti?
— Cercano i cappelli, signora Raddle, — disse Bob; — se ne vanno subito.
— Se ne vanno! — gridò la signora Raddle, sporgendo la sua cuffia da notte dalla ringhiera nel punto stesso che il signor Pickwick seguito dal signor Tupman sbucava sulle scale. — Se ne vanno! e perchè diancine son venuti, eh?
— Mia cara signora, — incominciò il signor Pickwick guardando in su.
— Andate via, vecchio birbone! — rispose la signora Raddle ritirando in fretta la cuffia. — Gli potreste esser nonno, gli potreste! siete peggio di tutti loro, scostumataccio d’un vecchio!
Invano tentò il signor Pickwick di protestare della sua innocenza; sicchè si affrettò a scender le scale e ad uscir sulla via, dove subito fu raggiunto dai signori Tupman, Winkle e Snodgrass. Il signor Ben Allen, turbato stranamente dai liquori e dall’agitazione, gli accompagnò fino al Ponte di Londra, e cammin facendo confidò al signor Winkle, come alla persona più adatta per raccogliere il geloso segreto, ch’egli era risoluto di tagliar la gola di chiunque si permettesse, a meno che non fosse l’amico Bob, di aspirare all’affetto di sua sorella Arabella. Espressa così con molta fermezza la determinazione di compiere questo penoso ma fraterno dovere, ei scoppiò in un pianto dirotto, si calcò il cappello sugli occhi, e rifacendo alla meglio i suoi passi, andò a picchiare disperatamente alla porta del Mercato del Borough, e schiacciò vari sonnellini ora sopra un gradino ora sopra un altro fino alla punta del giorno, persuaso fermamente che quella lì era casa sua e ch’egli avea dimenticato la chiave.
Partiti che furono tutti i convitati, in obbedienza alle energiche istanze della signora Raddle, il disgraziato Bob fu lasciato solo a meditare sui probabili eventi della dimane, e sui piaceri della sera.