Il Circolo Pickwick/Capitolo 34

Dedicato totalmente ad una piena e fedele relazione del memorabile dibattimento Bardell contro Pickwick

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Charles Dickens - Il circolo Pickwick (1836)
Traduzione dall'inglese di Federigo Verdinois (1904)
Dedicato totalmente ad una piena e fedele relazione del memorabile dibattimento Bardell contro Pickwick
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— Vorrei proprio sapere quel che ha preso per colazione il capo del giurì, chiunque egli sia, — disse il signor Snodgrass, tanto per tener su la conversazione, nel gran giorno del 14 di Febbraio?

— Ah! — disse Perker, — spero che la sia stata buona.

— Perchè? — domandò il signor Pickwick.

— Cosa importantissima, mio caro signore, importantissima. Un giurato contento, soddisfatto che abbia fatto una buona colazione è un punto essenziale del quale bisogna assicurarsi. I giurati scontenti o affamati, mio caro signore, sono sempre dalla parte del querelante.

— Possibile! — esclamò il signor Pickwick stupito; — perchè mai?

— Ma... non saprei, — rispose freddamente il piccolo avvocato; — per risparmiar tempo, mi figuro. Se è vicina l’ora del desinare, il capo del giurì tira fuori l’orologio, quando il giurì s’è ritirato, e dice: "Perbacco, signori miei, dieci minuti per le cinque! Io vado a pranzo alle cinque, signori." — "Ed io pure, dicono gli altri, meno due soli, i quali avrebbero dovuto desinare alle tre e si mostrano per conseguenza più che disposti a scapolarsela. Il capo del giurì sorride, e rimette in tasca l’orologio. "Ebbene, signori, che facciamo? il querelante o il convenuto? Io crederei, in quanto a me, signori miei... dico, crederei... ma non voglio mica influenzarvi... crederei, dico, che il querelante ha ragione." A questo due o tre altri giurati dicono schietto che anch’essi la pensano così, ed allora si procede con molta agevolezza e buon accordo. Ah! dieci minuti dopo le nove! — disse Perker, guardando all’orologio. — È tempo di andare, mio caro signore; causa di promessa matrimoniale mancata, la corte è generalmente piena in questi casi. Sarebbe meglio far venire una vettura, mio caro signore, altrimenti ci troveremo in ritardo.

Subito il signor Pickwick suonò il campanello e fu fatta venire una vettura. I quattro Pickwickiani e il signor Perker vi si aggiustarono dentro e si fecero portare a Guildhall: Sam, il signor Lowten e la sacca turchina contenente il processo venivano dietro in una carrozzella.

— Lowten — disse Perker quando furono giunti nella sala esterna della Corte, — mettete gli amici del signor Pickwick nella tribuna degli avvocati aspiranti; il signor Pickwick sarà meglio che si metta a sedere accanto a me. Di qua, mio caro signore, di qua.

E prendendo il signor Pickwick per la manica del soprabito, il piccolo avvocato lo menò ad un banco situato sotto gli stalli del Consiglio del Re, costruito per comodità degli avvocati, i quali da quel posto hanno agio di bisbigliare all’orecchio del Consiglio quelle qualunque istruzioni che possano occorrere nel corso del dibattimento. Quelli che occupano il detto banco sono invisibili alla massa degli spettatori, sedendo in un piano molto più basso di quello dell’udienza e degli avvocati, i cui posti sono elevati al disopra del pavimento: volgono naturalmente le spalle all’una ed agli altri, e la faccia ai giudici.

— Quella lì è la tribuna dei testimoni? — domandò il signor Pickwick, accennando ad una specie di pulpito a sinistra, difeso da una ringhiera di ferro.

— Quella lì è la tribuna dei testimoni, mio caro signore, — rispose Perker dissotterrando una farraggine di fogliacci dalla sacca turchina che Lowten gli avea posto davanti.

— E lì, — disse il signor Pickwick, additando una coppia di banchi chiusi a destra, — e lì siedono i giurati, non è così?

— Precisamente, mio caro signore, — rispose Perker, battendo sul coperchio della sua tabacchiera.

Il signor Pickwick in piedi ed in uno stato di grande agitazione diè un’occhiata complessiva alla Corte. Si notavano già nella sala vari spettatori e nei seggi ufficiali una buona mano di personaggi in parrucca, i quali presentavano, come corporazione, tutta quella estesa e graziosa varietà di nasi e di fedine per cui va a buon diritto famoso il foro d’Inghilterra. Quelli fra essi che si trovavano di aver ricevuto una lettera, la portavano quanto più era possibile in mostra e di tanto in tanto si grattavano con essa il naso, perchè il fatto s’imponesse più fortemente all’attenzione degli spettatori. Gli altri, che non avevano lettere da mostrare, portavano sotto il braccio dei volumi massicci con tassello rosso sul dorso e copertina di cartapecora. Altri che non avevano nè lettere nè libri, si cacciavano le mani in tasca, assumendo tutta la gravità che potevano; mentre altri ancora andavano di qua e di là con grande irrequietezza e preoccupazione, contenti di destare a questo modo l’ammirazione e lo stupore dei non iniziati. Tutti insieme poi, con molta maraviglia del signor Pickwick, formavano tanti capannelli e chiacchieravano e discutevano sulle notizie del giorno con la massima disinvoltura, come se di causa non ci fosse nulla.

Un inchino che il signor Phunky fece nell’entrare e nell’occupare il suo posto dietro la ringhiera del Consiglio del Re, attrasse l’attenzione del signor Pickwick; e non appena gli avea reso il saluto, che l’avvocato Snubbin apparve, seguito dal signor Mallard, il quale nascose quasi il suo principale dietro una gran sacca rossa che gli posò davanti sulla tavola e, scambiata con Perker una stretta di mano, si ritirò. Entrarono poi due o tre altri avvocati, fra i quali uno grasso e rubicondo, che salutò amichevolmente l’avvocato Snubbin, e disse che la giornata era bellissima

— Chi è quel signore dalla faccia rossa, che ha parlato del bel tempo ed ha salutato il nostro avvocato? — domandò a mezza voce il signor Pickwick.

— L’avvocato Buzfuz, — rispose Perker. — È opposto a noi, è per la parte contraria, capite. Quel signore che gli sta dietro è il signor Skimpin, il suo aiutante.

Il signor Pickwick era sul punto di domandare con un grande abborrimento per la fredda villania dell’animale uomo, come mai l’avvocato Buzfuz, che era avvocato avversario, si permetteva di dire all’avvocato Snubbin, suo avvocato, che la giornata era bella, quando fu interrotto da un levarsi in piedi di tutti e dal grido di Silenzio! dato dagli uscieri. Guardando intorno, trovò che tutto ciò era effetto dell’entrata del Giudice.

Il giudice Stareleigh (il quale prendeva il posto del giudice capo assente per motivo d’indisposizione) era un uomo di piccolissima statura, e così grasso, che sembrava tutto faccia e sottoveste. Entrò come se rotolasse sopra due gambette ricurve; e inchinatosi gravemente agli avvocati che gravemente gli resero il saluto, pose le sue gambette sotto la tavola e il suo cappello a tre punte sopra di essa; e quando il giudice Stareleigh avea fatto questo, tutto ciò che di lui si poteva vedere erano due curiosi occhietti, un viso largo e rubicondo e una mezza parrucca molto comica e massiccia.

Non sì tosto il giudice si fu insediato, che l’usciere della corte gridò: Silenzio! con tono imperativo, al che un altro usciere dalla sala di fuori gridò: Silenzio! in tono irritato, promuovendo il grido di Silenzio! emesso da altri tre o quattro uscieri con voce di sdegnosa rimostranza. Ciò fatto, un signore vestito di nero che sedeva di sotto al giudice procedette alla chiama dei giurati; e dopo un gran tramestio, si venne a scoprire che non più di dieci erano i giurati speciali presenti. A questo l’avvocato Buzfuz chiese che si prendessero i giurati aggiunti nel seno dell’udienza; e il signore vestito di nero procedette all’aggiunzione di due giurati ordinari, e subito furono presi un droghiere ed un farmacista.

— Rispondete ai vostri nomi, signori, per prendere il giuramento, — disse il signore vestito di nero. — Riccardo Upwitch.

— Presente, — rispose il droghiere.

— Tommaso Groffin.

— Presente, — rispose il farmacista.

— Prendete il libro, signori. Voi giurate di giudicare con coscienza e rettitudine...

— Domando perdono alla Corte, — interruppe il farmacista, che era un uomo alto, secco e giallo, — ma io spero che la Corte mi vorrà esimere.

— E in base di che, signore? — domandò il giudice Stareleigh.

— Non ho garzone alla bottega, eccellenza, — rispose il farmacista.

— Cotesto non lo posso ammettere, signore, — sentenziò il giudice Stareleigh. — Ne dovreste prendere uno.

— Non sono in grado di prenderlo, eccellenza, — rispose il farmacista.

— Dovreste essere in grado di prenderlo, signore, — ribattè il giudice, facendosi rosso, perchè il giudice Stareleigh aveva un carattere molto irritabile e non soffriva contraddizione di sorta.

— Capisco che lo dovrei, se gli affari mi andassero come merito, ma non la va così, eccellenza, — rispose il farmacista.

— Fate giurare il signore, — ordinò perentoriamente il giudice.

— Debbo proprio giurare, eccellenza? — domandò il farmacista.

— Certamente, signore, — rispose il giudice testardo, — certamente.

— Benissimo, eccellenza, come vuole la Corte. Vuol dire che prima della fine della causa ci sarà un omicidio per veneficio; ecco tutto. Fatemi giurare, se così vi piace, eccellenza.

E il farmacista giurò, prima che il giudice potesse trovar parole da profferire.

— Io volevo soltanto osservare, eccellenza, — disse il farmacista, mettendosi a sedere deliberatamente, — che non ho lasciato in bottega che un fattorino. Un ragazzo molto per bene, eccellenza, ma non troppo pratico dei medicinali; ed io so che la sua impressione più forte è che i sali di Epsom siano la stessa cosa che l’acido ossalico e che il laudano sia sciroppo di senna. Questo è tutto, eccellenza.

Ciò detto, il lungo farmacista si atteggiò comodamente e assumendo una fisonomia piacevole, mostrò di esser rassegnato al peggio.

Il signor Pickwick stava contemplando il farmacista con sentimenti di profondo orrore, quando una lieve sensazione fu avvertita nel corpo della Corte; e subito dopo la signora Bardell, sostenuta dalla signora Cluppins, entrò nella sala e fu posta a sedere in uno stato di pietosa depressione all’altro capo del banco occupato dal signor Pickwick. Entrarono poi i signori Dodson e Fogg, l’uno con un enorme ombrello, l’altro con un par di zoccoli, ed entrambi con una faccia melanconica e dolce fatta per l’occasione. Apparve in seguito la signora Sanders, menando per mano il piccolo Bardell. Alla vista del suo figliuolo, la signora Bardell trasalì, poi si ricompose e lo baciò come in delirio, e cadendo subito in uno stato d’imbecillità isterica, la buona signora domandò che le si dicesse dove si trovava. In risposta a questo, la signora Cluppins e la signora Sanders si voltarono in là e piansero, mentre i signori Dodson e Fogg pregavano la querelante che si calmasse. L’avvocato Buzfuz si strofinò forte gli occhi con un gran fazzoletto bianco, e volse uno sguardo deprecativo al giurì, mentre il giudice era visibilmente commosso e molti fra gli astanti cercavano di dissimulare con un po’ di tosse la loro emozione.

— Bellissima idea questa qui, bellissima! — bisbigliò Perker al signor Pickwick. — Furbi questi Dodson e Fogg; magnifica scena di effetto, mio caro signore, magnifica.

Mentre Perker diceva questo, la signora Bardell incominciò a riaversi a grado a grado, e la signora Cluppins dal canto suo, dopo una accurata ispezione dei bottoni del piccolo Bardell e dei relativi occhielli, situò il ragazzo dirimpetto alla madre, — posizione eccellente nella quale non poteva non destare la piena commiserazione così del giudice come del giurì. Ciò non fu compiuto senza una certa opposizione e molte lagrime da parte del ragazzo, il quale aveva dei segni sospetti che l’averlo così situato in piena visuale del giudice non era che un preludio formale ad un ordine d’immediata esecuzione capitale o di deportazione oltre i mari, vita natural durante.

— Bardell e Pickwick, — gridò il signore vestito di nero, chiamando la prima causa iscritta a ruolo.

— Io sono per la querelante, eccellenza, — disse l’avvocato Buzfuz.

— L’avvocato Buzfuz ha altri con sè? — domandò il giudice. Il signor Skimpin s’inchinò per far intendere ch’egli era quel desso.

— Io difendo il convenuto, eccellenza, — disse l’avvocato Snubbin.

— Chi è con voi, avvocato Snubbin? — domandò il giudice.

— Il signor Phunky, eccellenza.

— L’avvocato Buzfuz e il signor Skimpin per la querelante, — disse il giudice prendendo nota dei nomi nel suo quaderno, — e pel convenuto l’avvocato Snubbin e il signor Monkey.

— Domando scusa a vostra eccellenza, Phunky.

— Ah, benissimo, — disse il giudice; — non ho mai avuto il piacere di sentir nominare il signore. — A questo il signor Phunky s’inchinò e sorrise, e il giudice s’inchinò anch’egli e sorrise, e allora il signor Phunky, arrossendo fin nel bianco degli occhi, si studiò di fare il disinvolto dando a vedere di non sapere che tutti lo guardavano, cosa che nessuno è mai riuscito a fare, e secondo tutte le probabilità, non riuscirà mai a nessuno.

— Andiamo avanti, — disse il giudice.

Gli uscieri gridarono di nuovo Silenzio! e il signor Skimpin si levò e procedette all’esposizione del caso; il quale, quando fu bene esposto, non offrì gran fatto da osservare, visto che l’oratore si tenne tutti per sè certi particolari a sua cognizione, e tornò a sedere, dopo lo spazio di tre minuti, lasciando che il giurì ne sapesse precisamente quanto ne sapeva prima.

L’avvocato Buzfuz si levò allora con tutta la maestà e la dignità che la grave natura dei procedimenti esigeva, e dopo aver brevemente confabulato con Dodson e bisbigliato due parole a Fogg, si tirò la toga sulle spalle, si acconciò la parrucca, e volse la parola al giurì.

L’avvocato Buzfuz incominciò dal dire, che mai, nell’intero corso del suo esercizio professionale — mai, dal primo momento della sua applicazione allo studio e alla pratica della legge — aveva egli preso a trattare una causa con sentimenti di così profonda emozione o con un senso così grave della responsabilità impostagli — una responsabilità, aggiungeva, ch’ei non avrebbe mai potuto sopportare, se non fosse stato sorretto e sostenuto da un così profondo convincimento, da equivalere alla positiva certezza che la causa della verità e della giustizia, o in altre parole, la causa della sua oltraggiata e conculcata cliente, dovesse prevalere presso quegli intelligenti e nobili cittadini ch’ei vedeva ora in quella tribuna a lui davanti.

Gli avvocati cominciano sempre a questo modo, tanto per accaparrarsi la benevolenza dei giurati facendo loro sapere che gente accorta e capace essi siano. Un visibile effetto fu immediatamente prodotto, perchè parecchi fra i giurati cominciarono a prendere copiosi appunti con la maggior sollecitudine.

— Voi avete udito dal mio dotto collega, o signori, — continuò l’avvocato Buzfuz, sapendo benissimo che dal suo dotto collega i signori del giurì non avevano udito nulla di nulla, — voi avete udito dal mio dotto collega, o signori, che qui si tratta di un’azione per mancata promessa matrimoniale, nella quale i danni son calcolati in lire sterline 1500. Ma voi non avete udito dal mio dotto collega, visto che non era ciò della competenza del mio dotto collega, quali siano i fatti e le circostanze del caso. Questi fatti e queste circostanze, o signori, voi li udirete minutamente esposti dalla mia bocca, e provati irrefragabilmente da quelle due integerrime donne che io metterò là in quella tribuna sotto gli occhi vostri.

Qui l’avvocato Buzfuz, con un’enfasi tremenda sulla parola tribuna diè un gran colpo con la mano aperta sulla tavola, e volse un’occhiata ai signori Dodson e Fogg, i quali espressero con un cenno la loro ammirazione per l’oratore e la sfida sdegnosa contro il convenuto.

— La querelante, o signori, — continuò l’avvocato Buzfuz con voce dolce e malinconica, — la querelante è vedova; sì, o signori, è vedova. Il defunto signor Bardell, dopo aver goduto per molti anni la stima e la confidenza del suo sovrano, nella sua qualità di guardiano delle reali imposte indirette, si dileguò quasi inavvertito dal mondo per cercare altrove quel riposo e quella pace che un ufficio doganale non può mai offrire.

A questa patetica descrizione della morte del signor Bardell (che era morto per una brocca rottagli sul capo in una rissa di bettola), la voce del dotto avvocato tremò, ed egli proseguì con viva emozione:

— Qualche tempo prima di morire, egli aveva impresso la sua immagine in un bambino. Con questo bambino, unico ricordo del caro e defunto doganiere, la signora Bardell si ritirò dal mondo, e cercò il ritiro e la tranquillità della via di Goswell; e qui ella pose dietro i vetri d’una finestra a terreno una scritta che diceva: "Appartamenti mobiliati per uno scapolo. Dirigersi dentro."

Qui l’avvocato Buzfuz si fermò, mentre parecchi del giurì prendevano nota del documento.

— Non c’è data a cotesto documento? — domandò uno dei giurati.

— Non c’è data, o signori, — rispose l’avvocato Buzfuz; — ma io ho ragione di credere che la scritta venisse attaccata appunto tre anni fa.

"Io chiamo l’attenzione del giurì sulla dicitura di questo documento: Appartamenti mobiliati per uno scapolo! La stima che la signora Bardell faceva dell’altro sesso, o signori, traeva origine dalla diuturna esperienza delle inestimabili qualità del defunto consorte. Ella non nudriva alcun timore, alcuna sfiducia, alcun sospetto; tutto in lei era confidenza e buona fede. "Il signor Bardell" diceva la vedova "il signor Bardell era un uomo d’onore — il signor Bardell era un uomo che aveva la religione della sua parola, il signor Bardell non era un ipocrita, il signor Bardell fu anch’egli scapolo un tempo; agli scapoli io mi volgo per protezione, per appoggio, per conforto, per consolazione — negli scapoli io vedrò di continuo qualche cosa che mi ricorderà del signor Bardell, quando per la prima volta si guadagnò i miei vergini affetti; ad uno scapolo adunque saranno le mie camere affittate." Mossa da questo nobile e tenero impulso — l’impulso del cuore, il migliore fra gl’impulsi della nostra imperfetta natura, o signori — la vedova solitaria e desolata rasciugò le lagrime, mobiliò il suo primo piano, prese tra le braccia materne il bambino innocente ed attaccò la scritta alla finestra del salottino. Vi rimase essa a lungo quella scritta? No. Il serpente era all’agguato, la miccia era pronta, la mina stava per iscoppiare, minatore e zappatore lavoravano alacremente. Non erano scorsi tre giorni da che la scritta era attaccata — tre giorni, o signori — ed un essere dall’aspetto umano, un piede, non già un mostro, venne a bussare all’uscio della signora Bardell. Domandò, entrò, vide; e il giorno dopo prese possesso della camera. Quest’uomo era Pickwick, o signori, Pickwick l’imputato."

L’avvocato Buzfuz, che avea parlato con tanto calore da farsi paonazzo in viso, si arrestò per ripigliar fiato. Il silenzio destò il giudice Stareleigh, che subito si pose a scrivere qualche cosa con una penna asciutta, e pigliò un aspetto profondissimo, per dare a intendere ai signori del giurì ch’ei meditava sempre con gli occhi chiusi. L’avvocato Buzfuz riprese la sua arringa.

— Di questo Pickwick dirò poco; poche attrattive presenta il soggetto; e nè io, o signori, ne voi, siamo uomini da dilettarci nella contemplazione dell’egoismo ributtante e della sistematica perfidia.

Qui il signor Pickwick, che per un certo tempo era stato a rodersi in silenzio, diè un balzo improvviso, come se gli balenasse l’idea di dare addosso all’avvocato Buzfuz nell’augusta presenza della giustizia. Un cenno di Perker lo trattenne, ed ei porse ascolto alla continuazione della dotta orazione con uno sguardo indignato, che faceva uno spiccato contrasto con le facce ammirative delle signore Chuppins e Sanders.

— Dico, o signori, sistematica perfidia, — riprese l’avvocato Buzfuz, guardando in faccia al signor Pickwick e volgendo a lui direttamente la parola; — quando dico sistematica perfidia, lasciatemi dire all’imputato, a cotesto Pickwick, se per avventura si trova in quest’aula, come mi viene assicurato, che sarebbe stato più conveniente da parte sua, più decente, più sensato, s’ei se ne fosse tenuto lontano. Lasciatemi dirgli, o signori, che qualunque atto di protesta e di disapprovazione al quale ei si potesse abbandonare in quest’aula non avrà sopra di voi effetto di sorta; che voi saprete come e quanto apprezzarlo; e lasciate ch’io gli dica inoltre, come dirà con me l’egregio rappresentante la legge, che un avvocato nell’adempimento del suo dovere verso il cliente non si lascia oltraggiare, nè intimidire, nè svolgere; e che ogni tentativo qualsiasi per far l’una cosa o l’altra, o la prima o l’ultima, ricadrà sul capo di chi l’avrà fatto, sia egli querelante o convenuto, si chiami Pickwick o Noakes o Stoakes o Stiles o Brown o Thompson.

Questa breve digressione sortì naturalmente il voluto effetto di far volgere tutti gli occhi sulla persona del signor Pickwick. L’avvocato Buzfuz, disteso alquanto dallo stato di elevazione morale in cui s’era slanciato, riprese a dire:

— Io vi mostrerò, o signori, che per due interi anni Pickwick fece dimora non interrotta in casa della signora Bardell. Io vi mostrerò che la signora Bardell, durante tutto questo periodo, lo accudì, attese a servirlo, a fargli da cucina, a dar la biancheria di lui alla lavandaia, a ritirarla, a sciorinarla, a preparargliela per quando ei tornava di fuori ed in somma godeva di tutta la fiducia, di tutta la confidenza di lui. Io vi mostrerò che, in varie occasioni, ei diè una moneta spicciola al bambino, e spesso più di una; ed io proverò eziandio con una testimonianza che il mio dotto avversario non potrà in alcun modo negare od abbattere, che una volta ei carezzò il fanciullo sul capo e dopo avergli domandato se aveva guadagnato giocando a piastrelle, fece uso di questa notevolissima espressione: "Vi piacerebbe di avere un altro papà?" Io vi proverò inoltre, o signori, che circa un anno fa, Pickwick incominciò improvvisamente ad allontanarsi dalla casa per lunghi intervalli, quasi con la segreta intenzione di romperla con la mia cliente; ma vi mostrerò anche, che la risoluzione presa non era in quel tempo forte abbastanza, o che i suoi buoni sentimenti ebbero il disopra, se ne ha dei buoni sentimenti, — o che le attrattive della mia cliente valsero a sconfiggere gli snaturati propositi di lui, provandovi, o signori, che una volta tornando di fuori, ei le fece distintamente ed esplicitamente offerte di matrimonio; curando però in precedenza di non aver testimoni al solenne contratto; ed io mi trovo in grado di provarvi, sulla testimonianza di tre amici suoi stessi — testimoni tutt’altro che volontarii — che quella mattina stessa ei fu da loro sorpreso tenendo la querelante fra le braccia e cercando di calmare l’agitazione di lei per via di parole affettuose e di carezze.

Una visibile impressione produsse sugli uditori questa parte dell’arringa del dotto avvocato; il quale, tirando fuori due pezzettini di carta, così continuò:

— Ed ora, o signori, un’altra sola parola. Due lettere son passate fra le parti, lettere che si ammette essere vergate di mano del convenuto, lettere che valgono intieri volumi. Queste lettere inoltre rivelano, o signori, l’indole dell’uomo. Non sono già franche, ardenti, eloquenti, non spiranti altro che affetto. Sono invece coperte, subdole, equivoche, ma per buona sorte molto più concludenti che se fossero distese nel più colorito linguaggio e nella più immaginosa forma poetica — lettere che vanno esaminate con occhio cauto e sospettoso — lettere che furono scritte evidentemente col segreto disegno di deludere ogni altra persona nelle cui mani potessero per avventura cadere. Lasciate che io legga la prima: "Garraway, mezzogiorno — Cara signora Bardell — Costolette e salsa di pomodoro. Vostro, Pickwick." Signori, che vuol dir ciò? Costolette e salsa di pomodoro. Vostro, Pickwick! Costolette! giusto cielo! e salsa di pomodoro! E deve, o signori, la felicità di una donna sensibile e confidente esser presa a giuoco con artifici così bassi e volgari? L’altra lettera non porta alcuna data, il che per sè stesso costituisce elemento di sospetto. "Cara signora Bardell. — Non sarò a casa prima di domani. Ritardo della diligenza." E segue subito dopo questa notevolissima espressione: "Non vi date pensiero dello scaldaletto." Lo scaldaletto! E chi è, o signori, che si dà pensiero d’uno scaldaletto? quando mai la tranquillità di spirito di un uomo o di una donna fu turbata o distrutta da uno scaldaletto, che è per sè stesso un innocuo, utile ed aggiungerò, o signori, un gradito arnese domestico? Perchè si prega con tanto calore la signora Bardell di non darsi pensiero di questo scaldaletto, se non per fare una evidente allusione ad un fuoco nascosto — se non per sostituire qualche parola tenera o qualche promessa, secondo un sistema convenzionale di corrispondenza, artifiziosamente escogitato da questo Pickwick in previsione di un disegnato abbandono e che io non sono in grado di spiegare? E qual è il segno di questa allusione alla lentezza della diligenza? Per quanto ne so io vedere, questa potrebbe essere un’allusione allo stesso Pickwick, il quale è stato senza un dubbio al mondo una diligenza dolosamente tarda e svogliata in tutto il corso di questo affare, ma la cui speditezza verrà ora inaspettatamente accelerata, e le cui ruote, o signori, com’ei sperimenterà a suo danno, saranno unte da voi stessi!

L’avvocato Buzfuz si fermò a questo punto, per vedere se il giurì sorrideva alla sottile arguzia; ma siccome nessuno ne aveva afferrato il senso all’infuori del droghiere, la cui prontezza d’intuito era forse determinata dall’aver egli la mattina stessa sottoposto un suo carrozzino a quell’identico processo, il dotto avvocato credette opportuno lasciarsi andar di nuovo nel lugubre prima di venire alla conclusione.

— Ma basti di ciò, o signori, — disse l’avvocato Buzfuz; — è cosa difficile sorridere col cuore esulcerato; è amara la celia quando le nostre più profonde simpatie sono in giuoco. Le speranze, i disegni della mia cliente sono rovinati, e non è mica una figura rettorica l’affermare che la sua industria è ormai sepolta. L’appigionasi non c’è; ma il quartiere è vuoto. Passano e ripassano degli scapoli, ma non v’ha per loro alcun invito a dirigersi dentro o fuori. Tutto è silenzio e tristezza nella casa; anche la voce del fanciullo si tace; non lo allettano i fanciulleschi trastulli quando la madre è in lagrime; son neglette le consuete piastrelle, tacciono le allegre grida, e la tenera mano è ormai disadatta ai giuochi più diletti. Ma Pickwick, o signori, Pickwick, l’infame devastatore di quest’oasi domestica nel deserto di via Goswell — Pickwick, che ha inaridito la fonte e vi ha sparso le ceneri — Pickwick, che viene oggi alla presenza vostra con la crudeltà della sua salsa di pomodoro e del suo scaldaletto — Pickwick leva ancora la fronte con baldanza sfacciata, e contempla senza un sospiro la rovina che ha fatto. Condannatelo, o signori, condannatelo al risarcimento dei danni; è l’unica pena che potete infliggergli, è l’unico compenso che potete dare alla mia cliente. E per questi danni appunto ella ora fa appello ad un giurì illuminato, nobile, retto, coscienzioso, spassionato, dotto, dei suoi civili concittadini.

E con questa bella perorazione l’avvocato Buzfuz si rimise a sedere e il giudice Stareleigh aprì gli occhi.

— Chiamate Elisabetta Cluppins, — disse l’avvocato Buzfuz, levandosi dopo un momento con novello vigore.

L’usciere più vicino chiamò Elisabetta Tuppins; un altro, a breve distanza, domandò di Elisabetta Jupkins; ed un terzo corse tutto affannato in Kingstreet e gridò fino a divenir rauco: Elisabetta Muffins!

In questo mentre la signora Cluppins con l’assistenza combinata delle signore Bardell e Sanders e dei signori Dodson e Fogg, fu spinta nella tribuna dei testimoni; e quando si fu ben appollaiata sull’ultimo gradino, la signora Bardell se ne stette a sedere sul più basso, col fazzoletto in una mano e una boccetta di sali, che pareva una bottiglia di un litro, nell’altra, pronta per ogni sorta di accidente. La signora Sanders, che aveva gli occhi inchiodati sulla faccia del giudice, si piantò lì accanto munita dell’immenso ombrello, premendo col pollice della mano destra la molla, come se fosse preparata al minimo segno ad aprirlo immediatamente.

— Signora Cluppins, — disse l’avvocato Buzfuz, — prego, signora, calmatevi. (Naturalmente, la signora Cluppins scoppiò in violenti singhiozzi e diè varie manifestazioni allarmanti di una convulsione imminente, essendo, com’ebbe a dire in seguito, "troppi sentimenti per lei").

— Vi rammentate, signora Cluppins, — domandò l’avvocato Buzfuz, dopo qualche domanda di poco conto, — vi rammentate di esservi trovata in una certa mattina dell’ultimo Luglio nella dietrostanza della signora Bardell, mentre ella spolverava l’appartamento del signor Pickwick?

— Sì, eccellenza e signori giurati, me ne rammento, — rispose la signora Cluppins.

— Il salotto del signor Pickwick era a fronte di strada al primo piano, non è così?

— Sì, così era.

— E che facevate voi nella retrostanza? — domandò il piccolo giudice.

— Eccellenza e signori giurati, — rispose la signora Cluppins con agitazione crescente, — io non vi voglio ingannare.

— Vi consiglio a non farlo, signora, — disse il piccolo giudice.

— Io stavo lì, — riprese la signora Cluppins, — senza saputa della signora Bardell; — io era andata fuori con una canestrina, signori, per comprare tre libbre di carote, che le ho pagate al prezzo di due pence e mezzo, quando ecco che ti vedo il portone della signora Bardell mezzo e mezzo.

— Mezzo che? — esclamò il piccolo giudice.

— Vuol dir socchiuso, eccellenza! — suggerì l’avvocato Snubbin.

— Ma la testimone ha detto mezzo e mezzo, — disse il giudice con uno sguardo arguto.

— È lo stesso, eccellenza, — osservò l’avvocato Snubbin.

Il piccolo giudice rimase un po’ sospeso e disse che ne avrebbe preso nota. La signora Cluppins riprese:

— Io entrai, signori, tanto per darle il buon giorno, montai tranquillamente le scale, e mi trovai nella dietrostanza. Dalla camera a fronte di strada veniva un suono di voci, e...

— E voi ascoltaste, mi figuro, signora Cluppins, — disse l’avvocato Buzfuz.

— Domando scusa, signore, — rispose maestosamente la signora Cluppins, — non son donna da questo io. Le voci erano forti, signore, e non c’era verso di non sentirle.

— Bene, bene, signora Cluppins, voi non ascoltavate, ma udiste le voci. Apparteneva una di queste voci al signor Pickwick?

— Signorsì.

E la signora Cluppins, dopo avere esplicitamente assicurato che il signor Pickwick volgeva la parola alla signora Bardell, ripetette a poco a poco ed a brani ed a furia di molte domande la conversazione che ai nostri lettori è già nota.

L’avvocato Buzfuz sorrise e tornò a sedere, mentre i giurati prendevano una certa aria sospettosa; la quale divenne a dirittura terribile e gravida di minacce quando l’avvocato Snubbin fece intendere ch’ei non avrebbe udito la testimone in contradditorio, perchè era preciso desiderio del signor Pickwick rendere alla testimone questa giustizia di riconoscere come corretta nella sostanza la fatta deposizione.

La signora Cluppins, rotto una volta il ghiaccio, pensò che l’occasione era più che favorevole per entrare in una breve dissertazione a proposito dei propri affari domestici. Sicchè passò subito ad informar la Corte ch’ella era la madre di otto bambini tutti viventi, e che nudriva fiducia di presentarne un nono al signor Cluppins tra un sei mesi a un bel circa. A questo punto interessante, il piccolo giudice si frappose con viva irascibilità; e l’effetto fu questo che così la degna signora, come l’amica sua signora Sanders, furono senz’altro, sotto la scorta del signor Jackson; espulse dall’aula.

— Nataniele Winkle, — lesse il signor Skimpin.

— Presente! — rispose una voce fioca. E il signor Winkle, entrando nella tribuna dei testimoni e preso giuramento, s’inchinò con notevole deferenza al piccolo giudice.

— Non guardate a me, signore, — disse il giudice con asprezza, per tutta risposta all’inchino; — guardate al giurì.

Il signor Winkle obbedì all’ingiunzione, e volse gli occhi verso quella parte dove gli pareva si dovesse trovare il giurì, visto che nel suo stato di complicazione mentale gli era assolutamente impossibile di veder qualche cosa.

Fu quindi esaminato dal signor Skimpin, il quale essendo un giovane di belle speranze sulla quarantina, era naturalmente ansioso di confondere il più che potesse un testimone, notoriamente predisposto in favore della parte avversaria.

— Ed ora, signore, — incominciò il signor Skimpin, — abbiate la bontà di far sapere alla giustizia e al giurì qual è il vostro nome.

E il signor Skimpin piegò il capo da una parte per raccogliere con aria scaltrita la risposta, guardando intanto al giurì, come per fare intendere ch’ei s’aspettava dalla naturale disposizione del signor Winkle allo spergiuro la dichiarazione di un nome che non gli appartenesse niente affatto.

— Winkle, — rispose il testimone.

— Qual è il vostro nome di battesimo? — domandò in tono iroso il piccolo giudice.

— Nataniele, signore.

— Daniele, — e poi?

— Nataniele, signore... eccellenza, voglio dire.

— Nataniele Daniele, o Daniele Nataniele?

— No, eccellenza, soltanto Nataniele; Daniele no.

— E perchè dunque m’avete detto che era Daniele, eh?

— Ma io non ho detto questo.

— Sì che l’avete detto, — replicò il giudice con severo cipiglio. — Com’è che avrei scritto Daniele nei miei appunti, se non me l’aveste detto voi stesso?

A questo argomento non c’era naturalmente da risponder verbo.

— Il signor Winkle è piuttosto di labile memoria, eccellenza, — venne su il signor Skimpin dando un’altra occhiata al giurì. — Troveremo bene il modo di rinfrescargliela, prima di rimandarlo.

— Badate bene ai fatti vostri, signore, — avvertì il giudice con uno sguardo sinistro al testimone.

Il povero signor Winkle s’inchinò e si sforzò di mostrarsi franco e disinvolto, il che, nel suo stato di confusione, gli dava piuttosto l’aspetto di un borsaiuolo colto sul fatto.

— Ed ora, signor Winkle, — riprese il signor Skimpin, — badate a me se non vi dispiace; e lasciate ch’io vi raccomandi, nel vostro interesse, o signore, di tener bene a mente le ingiunzioni di sua eccellenza. Voi, se mal non m’appongo, siete intimo amico del convenuto signor Pickwick, non è vero?

— Ho conosciuto il signor Pickwick saranno... per quanto ora mi rammento... circa...

— Prego, prego, signor Winkle, non eludete la domanda. Siete o non siete amico intrinseco dell’imputato?

— Stavo appunto per dire che...

— Volete o non volete rispondere alla domanda?

— Se non rispondete a tono, sarete tratto in arresto, signore, — disse il piccolo giudice guardando nel suo libro d’appunti.

— Orsù, — riprese il signor Skimpin, — rispondete sì o no, vediamo.

— Sì, sono suo amico, — rispose il signor Winkle.

— Sì, siete suo amico. E perchè non potevate dirlo alla bella prima? Forse conoscete anche la querelante... eh, signor Winkle?

— Non la conosco che di veduta.

— Ah, non la conoscete, ma l’avete veduta? Abbiate ora la cortesia di dire ai signori del giurì che cosa intendete con ciò, signor Winkle

— Intendo dire che non sono suo intimo, ma che l’ho veduta quando andavo a trovare il signor Pickwick in via Goswell.

— Quante volte l’avete veduta?

— Quante volte?

— Sì, signor Winkle, quante volte? Vi ripeterò la domanda una dozzina di volte, se così vi piace.

E il dotto avvocato, con un cipiglio fermo e grave, si pose le mani sui fianchi e sorrise in aria sospettosa verso il giurì.

A questa domanda sorse il solito battibecco. Prima di tutto disse il signor Winkle essergli impossibile precisare quante volte avesse veduta la signora Bardell. Gli fu domandato allora se l’aveva veduta venti volte, al che egli rispose: "Certamente...anche di più." E allora gli fu domandato se per caso non l’avesse veduta un centinaio di volte — se poteva giurare di non averla veduta almeno un settantacinque volte, e così via via; arrivando in ultimo alla conclusione soddisfacentissima, che badasse bene il signor Winkle ai fatti suoi ed a quel che diceva. Ridotto così il testimone al debito grado di perplessità nervosa, l’esame proseguì nel modo seguente:

— Prego, signor Winkle, vi rammentate di essere andato in casa del signor Pickwick in via Goswell, una certa mattina dello scorso Luglio?

— Sì, me ne rammento.

— Eravate accompagnato in cotesta occasione da un amico per nome Tupman e da un altro per nome Snodgrass?

— Sì.

— Sono essi qui?

— Son qui, — rispose il signor Winkle, guardando fisamente verso il punto dove stavano gli amici.

— Prego, prego, badate a me, signor Winkle, e lasciate star gli amici, — disse il signor Skimpin con un’altra occhiata espressiva al giurì. — Essi diranno quel che hanno da dire senza previi consulti con voi, se già questo non è avvenuto (un’altra occhiata al giurì). Ed ora, signore, dite un po’ ai signori del giurì quel che vedeste in cotesta mattina entrando nella camera del convenuto. Via, fuori tutto, parlate la verità presto o tardi dovrà venire a galla.

— Il signor Pickwick teneva la querelante fra le braccia e con le mani le stringeva la vita, — rispose con naturale esitazione il signor Winkle, — e la querelante, a quanto pareva, era svenuta.

— Udiste che il convenuto dicesse qualche cosa?

— Lo udii che chiamava la signora Bardell mia cara signora, e lo udii che la pregava di calmarsi, che considerasse che situazione era quella, se mai capitava qualcuno, o altre parole così.

— Ora, signor Winkle, non ho che un’altra sola domanda da farvi, e vi prego di tener bene a mente la raccomandazione di sua eccellenza. Sareste disposto a giurare che Pickwick, il convenuto, non dicesse nell’occasione in discorso: "Mia cara signora Bardell, via, lo sapete se mi siete cara; calmatevi, considerate la situazione, accettatela, perchè a questa situazione ci si doveva venire, o altre parole così?"

— Io... io no davvero, non intesi questo, — rispose il signor Winkle, stupito a questa ingegnosa interpretazione delle poche parole da lui udite. — Io mi trovavo sulle scale, e non poteva udire distintamente; l’impressione che n’ebbi fu...

— I signori del giurì non hanno bisogno di sapere le vostre impressioni, signor Winkle, le quali, temo forte, non servirebbero gran fatto ad uomini retti ed onesti. Voi dunque vi trovavate sulle scale e non udiste distintamente; ma voi però non volete giurare che Pickwick non adoperò le espressioni da me riferite? non è così?

— No, non potrei giurare, — rispose il signor Winkle; e il signor Skimpin sedette con aria trionfale.

Fino a questo punto non erano state molto prospere le sorti della causa, tanto da potere impunemente offrire il fianco a novelli sospetti. Ma, siccome si potea trovar modo di metterla in miglior luce, il signor Phunky si levò per trarre qualche cosa d’importante dal signor Winkle interrogandolo in contradditorio. E se qualche cosa d’importante ne traesse si vedrà subito.

— Credo, signor Winkle, — disse il signor Phunky, — che il signor Pickwick non sia un giovane?

— Oh no, no; mi potrebbe esser padre.

— Voi avete detto al mio dotto amico che da molto tempo conoscete il signor Pickwick. Aveste mai alcun motivo di supporre o di credere ch’ei fosse per accasarsi?

— Oh no, no di certo! — rispose il signor Winkle con tanta sollecitudine, che il signor Phunky avrebbe dovuto senza aspettare altro farlo scendere dalla tribuna dei testimoni. Ritengono gli uomini di legge esservi due specie di testimoni assolutamente cattivi; un testimone riluttante, ed un testimone troppo sollecito; era destino che il signor Winkle figurasse nell’uno e nell’altro modo.

— Andrò anche più oltre, signor Winkle, — proseguì il signor Phunky con molta dolcezza e compiacenza. — Notaste mai nei modi e nella condotta del signor Pickwick verso l’altro sesso alcun indizio che vi potesse far credere ch’ei pensasse ad ammogliarsi in questi ultimi tempi?

— Oh no, tutt’altro!

— È stata sempre la sua condotta, quando ha avuto da far con donne, quella di un uomo che, avendo raggiunto un certo periodo della vita, contento delle proprie occupazioni e dei propri piaceri, le tratta soltanto come un padre potrebbe trattar le sue figlie?

— Senza il menomo dubbio, — rispose il signor Winkle nella pienezza del suo cuore. — Cioè... sì... certamente.

— Non avete mai notato alcuna cosa nella sua condotta verso la signora Bardell o alcun’altra donna, da destare un qualunque sospetto? — domandò il signor Phunky, disponendosi a sedere, perchè l’avvocato Snubbin gli faceva cenno dal suo posto.

— Ma... n...o, no, — rispose il signor Winkle, — meno una volta sola, una cosa da nulla, che senza dubbio si potrebbe spiegare benissimo.

Ora, se lo sciagurato signor Phunky si fosse messo a sedere quando l’avvocato Snubbin gli avea fatto cenno, o se l’avvocato Buzfuz avesse arrestato fin dal principio questo irregolare interrogatorio (il che, naturalmente, ei s’era molto ben guardato di fare, aspettandosi che secondo tutto le probabilità il turbamento del signor Winkle avrebbe menato a qualche cosa di utile per lui), quella disgraziata affermazione non sarebbe stata pronunciata. Nel punto stesso che le parole sfuggirono dalle labbra del signor Winkle, il signor Phunky si mise a sedere, e l’avvocato Snubbin con una certa fretta lo pregò di lasciar la tribuna; cosa che il signor Winkle si preparò a fare sollecitamente quando l’avvocato Buzfuz lo fermò.

— Un momento, signor Winkle, un momento, — venne su l’avvocato Buzfuz. — Vorrebbe vostra eccellenza aver la bontà d’interrogare il teste, che cosa fosse cotesto caso di condotta sospetta verso le donne da parte di questo signore, che gli potrebbe esser padre?

— Voi sentite quel che dice il dotto avvocato, signore, — osservò il giudice, volgendosi allo sciagurato signor Winkle. — Narrateci il caso cui avete fatta allusione.

— Eccellenza — rispose il signor Winkle tremante d’ansietà, — io... io preferirei tacere.

— È probabile, — disse il piccolo giudice, — ma dovete parlare.

In mezzo al profondo silenzio di tutta la sala, il signor Winkle balbettò che il leggiero indizio di sospetto era questo, che il signor Pickwick era stato trovato a mezzanotte nella camera da letto di una signora; incidente che s’era risoluto, credeva egli nella rottura del matrimonio della signora in questione, ed avea trascinato tutta la brigata alla presenza di Giorgio Nupkins magistrato e uffiziale di pace pel sobborgo di Ipswich.

— Potete lasciare la tribuna, signore, — disse l’avvocato Snubbin. Il signor Winkle obbedì e corse disperatamente al Giorgio ed Avvoltoio, dove un cameriere qualche ora dopo lo scoprì che gemeva in tono lugubre e desolato col capo sepolto sotto i cuscini del canapè.

Tracy Tupman ed Augusto Snodgrass vennero l’uno dopo l’altro nella tribuna; corroborarono entrambi la deposizione del loro disgraziato amico, e provarono come lui le angosce della disperazione per essere troppo corrivi a chiacchierare.

Fu poi chiamata Susanna Sanders, e la esaminarono prima l’avvocato Buzfuz, poi in contradditorio l’avvocato Snubbin. Avea sempre detto e creduto che il signor Pickwick dovesse sposare la signora Bardell; sapeva che di queste nozze si parlava in tutto il vicinato, dopo l’affare dello svenimento nel mese di Luglio; gliel’avevano detto anche a lei la signora Mudberry rivendugliola e la signora Bunkin stiratora, ma non vedeva nè l’una nè l’altra nella Corte. Aveva udito il signor Pickwick domandare al ragazzo se gli sarebbe piaciuto di avere un altro papà. Non sapeva che in quel mentre la signora Bardell avesse relazioni col panattiere, ma sapeva benissimo che il panattiere era scapolo e che ora aveva moglie. Non poteva giurare che la signora Bardell non volesse un gran bene al panattiere, ma dovea supporre che il panattiere non volesse un gran bene alla signora Bardell, altrimenti non s’avrebbe preso un’altra. Pensava che la signora Bardell era venuta meno quella tal mattina di Luglio, perchè il signor Pickwick le avea domandato che fissasse il giorno delle nozze; sapeva che lei, testimone, era caduta a terra come un ceppo quando il signor Sanders le avea domandato a lei la stessa cosa? e riteneva che ogni signora per bene avrebbe fatto lo stesso in una congiuntura simile. Aveva udito la domanda diretta dal signor Pickwick al ragazzo a proposito delle piastrelle, ma sulla sua parola d’onore poteva pigliar giuramento di non sapere che specie di giuoco fosse questo.

Interrogata dal giudice, rispose, che durante il periodo delle sue relazioni col signor Sanders, avea ricevuto lettere amorose, come qualunque altra signora. Nel corso della loro corrispondenza il signor Sanders l’avea spesso chiamata "piccioncino mio" ma giammai "costoletta" e "salsa di pomodoro". Il signor Sanders andava matto dei piccioncini. Forse se gli fossero piaciute allo stesso modo le costolette e la salsa di pomodoro, l’avrebbe chiamata a questo modo, come un termine di tenerezza.

L’avvocato Buzfuz si levò a questo punto con maggiore importanza e solennità, e gridò con gran voce:

— Chiamate Samuele Weller.

Era perfettamente inutile di chiamare Samuele Weller, perchè Samuele Weller, nell’udir pronunciare il suo nome, montò svelto e leggiero nella tribuna dei testimoni; e posato il cappello a terra ed appoggiatosi con le braccia alla ringhiera, guardò l’aula a volo d’uccello ed abbracciò in una occhiata la Corte e gli avvocati con una cera molto allegra e vivace.

— Come vi chiamate? — domandò il giudice.

— Sam Weller, eccellenza, — rispose questi.

— Lo scrivete col V o col doppio V?

— Questo dipende dal gusto e dalla fantasia di chi lo scrive, eccellenza. Io non ho avuto occasione in vita mia di scriverlo più di un paio di volte, e l’ho scritto con un V.

Qui una voce dall’aula gridò forte: Bravo, Samuele, bravo. Mettete un V, eccellenza, mettete un V.

— Chi è che ardisce parlare alla Corte? — esclamò, alzando gli occhi, il piccolo giudice. — Usciere!

— Eccellenza sì!

— Menate subito qui cotesto individuo.

— Eccellenza sì!

Ma siccome l’usciere non seppe trovar l’individuo, non lo menò nemmeno; e, dopo molta confusione, tutta la gente che s’era levata in punta di piedi per scoprire il colpevole, tornò a sedere. Il piccolo giudice si volse al teste, non appena l’indignazione gli permise di parlare, e disse:

— Conoscete la persona che ha parlato?

— Ho un certo sospetto, eccellenza, che abbia ad esser mio padre, — rispose Sam.

— Lo vedete ora qui?

— No, eccellenza, non lo vedo, — rispose Sam, guardando fiso in alto al lanternino della sala.

— Se aveste potuto indicarlo, lo avrei fatto subito arrestare, — disse il giudice. (Sam s’inchinò ringraziando, e si volse poi, con una cera aperta e gioconda, verso l’avvocato Buzfuz).

— A noi, signor Weller, — disse l’avvocato Buzfuz.

— A noi, signore, — rispose Sam.

— Credo che voi vi troviate al servizio del signor Pickwick. Parlate se non vi dispiace, signor Weller.

— Non mi dispiace niente affatto, signore. Io mi trovo al servizio di questo signore qui, e gli è davvero un servizio eccellente.

— Poca fatica e molto da buscare, eh? — domandò giocosamente l’avvocato Buzfuz.

— Oh, molto da buscare, come disse il soldato quando gli ordinarono le trecentocinquanta legnate sul sedere, — rispose Sam.

— Non voglio sapere quel che disse il soldato o chi si sia, — interruppe il giudice; — questo non ha che fare con la causa.

— Benissimo, eccellenza.

— Vi ricordate, — domandò l’avvocato Buzfuz, — che fosse accaduta qualche cosa di notevole il giorno che entraste al servizio del convenuto, eh, signor Weller?

— Sicuro che me ne ricordo.

— Abbiate la bontà di dire al giurì di che si trattasse.

— Ebbi tutto un vestito nuovo quella mattina, signori del giurì, e questa fu una circostanza molto notevole e straordinaria per me in quel tempo.

Vi fu a questo uno scoppio unanime d’ilarità; e il piccolo giudice, guardando irosamente di sopra al suo leggio disse:

— Badate a voi, signore, badate!

— Così pure mi disse allora il signor Pickwick, eccellenza; io ci badai molto a quel vestito; ci badai molto, eccellenza.

Il giudice fissò sul teste uno sguardo severo, ma la fisonomia di Sam era così tranquilla e serena che quegli non disse nulla e accennò all’avvocato Buzfuz di proseguire.

— Vorreste forse darmi ad intendere, — disse l’avvocato Buzfuz, incrociando le braccia e volgendosi a metà al giurì, come per assicurare che avrebbe ancora tartassato dell’altro il testimone, — vorreste forse darmi ad intendere, signor Weller, che non vedeste nulla di questo svenimento della querelante fra le braccia del signor Pickwick, descritto testè dagli altri testimoni?

— No di certo, — rispose Sam; — io mi trovavo nel corridoio; mi chiamarono, e quando entrai la vecchia signora non c’era più.

— Badate a me ora, signor Weller, — riprese l’avvocato intingendo una penna massiccia nel calamaio che aveva davanti con l’idea di spaventar Sam facendogli credere di voler mettere per iscritto la risposta che avrebbe dato. — Voi vi trovavate nel corridoio e nondimeno non vedeste nulla di quel che accadeva. Avete voi un par d’occhi, signor Weller?

— Sì, ho un par d’occhi, — rispose Sam, — e gli è proprio per questo. Se fossero invece un paio di microscopi sopraffini della forza di due milioni di cavalli a tutta carriera, forse sarei capace di vedere attraverso una scala e una porta; ma essendo soltanto occhi, vedete, la mia visuale è limitata.

A questa risposta, che Sam spifferò tutta di un fiato senza il più lieve indizio d’irritazione e con la più completa semplicità ed equanimità, gli spettatori risero, il piccolo giudice sorrise, e l’avvocato Buzfuz fece una cera molto mortificata. Dopo un breve consulto coi signori Dodson e Fogg, il dotto avvocato si volse di nuovo dalla parte di Sam, e disse con uno sforzo penoso per nascondere il proprio disappunto:

— Ora, signor Weller, vi farò una domanda sopra un altro punto, se non vi dispiace.

— Se non vi dispiace, signore, — rispose Sam col massimo buon umore.

— Vi ricordate di essere andato in casa della signora Bardell una sera dello scorso Novembre?

— Sicuro, me ne ricordo come se fosse ora.

— Ah, questo ve lo ricordate! Mi pareva bene che a qualche cosa finalmente ci saremmo venuti.

— Mi pareva anche a me un pochino, — rispose Sam; ed a questo gli spettatori risero di nuovo.

— Benissimo. Mi figuro che ci andaste per far quattro chiacchiere a proposito di questa causa, eh, signor Weller? — domandò l’avvocato Buzfuz, guardando con intenzione al giurì.

— Ci andai per pagare la pigione; ma si parlò un po’ della causa, questo si capisce.

— Ah, ah! si parlò un po’ della causa,— disse l’avvocato rianimandosi nella speranza di qualche scoperta importante, — E che cosa si disse di questa causa? ci fareste la finezza di dircelo, signor Weller?

— Col massimo piacere, signore. Dopo qualche osservazioncella di poco momento fatta dalle due virtuose signore che avete interrogato poco fa, tutte e tre dissero le più belle parole di questo mondo levando a cielo la condotta onorevole dei signori Dodson e Fogg, quei due signori lì che stanno seduti vicino a voi.

Ciò, naturalmente, attirò l’attenzione generale sui signori Dodson e Fogg, i quali si studiavano di pigliare l’aspetto più degno e virtuoso che per loro si potesse.

— I procuratori della querelante,— disse l’avvocato Buzfuz. — Bene; esse dunque parlavano con gran lode della condotta onorevole dei signori Dodson e Fogg, procuratori della querelante, non è così?

— Sissignore, — rispose Sam, — dicevano che era una cosa molto generosa da parte loro di aver pigliato l’affare per speculazione e di non voler niente di niente in quanto a spese, se riuscivano a cavarle tutte dal signor Pickwick.

A questa risposta inaspettata, il pubblico tornò a ridere, e Dodson e Fogg, facendosi rossi, si piegarono verso l’avvocato Buzfuz e affrettatamente gli bisbigliarono qualche cosa all’orecchio.

— Avete perfettamente ragione, — disse forte l’avvocato Buzfuz con affettata compostezza.— È affatto inutile, eccellenza, cercar di cavare alcun indizio dalla crassa stupidaggine di questo testimone. Io non voglio più oltre disturbar la Corte con interrogare il teste. Potete andare, signore.

— Se qualche altro di questi signori mi volesse fare qualche domanda?— disse Sam, raccattando il cappello e guardando intorno con molta decisione.

— Io no davvero, signor Weller, grazie, — disse ridendo l’avvocato Snubbin.

— Potete andare, signore, — ripetette l’avvocato Buzfuz, agitando con impazienza la mano. Sam obbedì, dopo aver fatto alla causa dei signori Dodson e Fogg tutto il male che poteva e detto il meno possibile riguardo al suo padrone, che era precisamente lo scopo cui aveva mirato in tutta la sua deposizione.

— Io non ho alcuna difficoltà di ammettere, eccellenza, — disse l’avvocato Snubbin, — se ciò può servire a risparmiar l’esame di altri testimoni, che il signor Pickwick si è ritirato dagli affari, ed ha una proprietà indipendente assai considerevole.

— Benissimo, — rispose l’avvocato Buzfuz, passando le due lettere al suo giovane di studio.

Si levò allora l’avvocato Snubbin e parlò al giurì la causa del suo cliente; e nel suo discorso lungo ed enfatico ei largheggiò di elogi per la condotta e pel carattere del signor Pickwick; ma siccome i nostri lettori sono molto meglio in grado dello stesso avvocato Snubbin di formarsi un concetto preciso dei meriti e delle qualità singolari del nostro amico, noi non troviamo necessario dilungarci intorno alle osservazioni del dotto oratore. Ei si studiò di mostrare che le lettere recate in giudizio non si potevano riferire che al pranzo del signor Pickwick e ai preparativi per riceverlo al suo ritorno da qualche escursione nella provincia. Basterà aggiungere in termini generali ch’ei fece pel signor Pickwick il meglio che seppe; e del meglio, come tutti sanno sull’autorità infallibile del vecchio adagio, non c’è il meglio.

Il giudice Stareleigh fece il suo riassunto nella forma consueta imparziale e più corretta. Diè lettura al giurì di tutti quegli appunti che gli riuscì di decifrare sul momento, e andò facendo via via dei commenti fuggevoli sulla prova testimoniale. Se la signora Bardell aveva ragione, era chiarissimo che il signor Pickwick aveva torto; e se i signori del giurì ritenevano per degna di fede la deposizione della signora Cluppins l’avrebbero senza dubbio accettata, e se no, ne avrebbero fatto di meno. Se erano in effetto convinti dell’esistenza del reato, avrebbero deciso in favore della querelante fissando quei danni e quelle spese che sarebbe loro sembrato conveniente di fissare; e se dall’altra parte sembrava loro che nessuna promessa matrimoniale c’era stata, si sarebbero pronunciati pel convenuto senza condannarlo ad alcun pagamento di danni.

Il giurì allora si ritirò nella camera delle deliberazioni, e il giudice in camera propria per rifocillarsi con una bistecca ed un bicchiere di sherry.

Un quarto d’ora trascorse pieno di ansietà. Il giurì rientrò, e subito si mandò a cercare il giudice. Il signor Pickwick si mise gli occhiali e guardò al capo del giurì con una fisonomia molto turbata ed il cuore che gli batteva dentro con battiti più affrettati.

— Signori, — disse l’individuo vestito di nero, — siete tutti d’accordo sul vostro verdetto?

— Sì,— rispose il capo dei giurati

— Siete per la querelante o pel convenuto?

— Per la querelante.

— Con che danni, signori?

— Settecentocinquanta sterline.

Il signor Pickwick si levò gli occhiali, ne pulì accuratamente i cristalli, li pose nell’astuccio, e se li mise in tasca. Si calzò poi i suoi bravi guanti, fissando nel frattempo il capo dei giurati e macchinalmente seguì il signor Perker e la sacca turchina fuori della Corte.

Si fermarono in una camera di lato mentre Perker pagava i diritti di cancelleria; e qui il signor Pickwick fu raggiunto dai suoi amici. Anche qui s’incontrò coi signori Dodson e Fogg, che si fregavano le mani con tutti i segni della più viva soddisfazione

— Ebbene, signori, — disse il signor Pickwick.

— Ebbene, signore,— disse Dodson per sè e pel socio.

— Voi vi figurate che ne caverete le vostre spese, non è così?

Fogg rispose che la cosa pareva loro non improbabile; e Dodson sorrise e disse che avrebbero provato.

— Provate, riprovate e tornate a provare, signori miei, — esclamò con forza il signor Pickwick; — ma da me non riuscirete mai a mungere la croce di un penny per danni o spese, dovessi anche passare il resto della mia vita in una prigione di debitori.

— Ah, ah! — fece Dodson, — ci penserete meglio prima che spiri il termine di legge, egregio signor Pickwick.

— Ih, ih, ih! vedremo, caro signor Pickwick, vedremo,— ghignò Fogg.

Muto dall’indignazione, il signor Pickwick si lasciò trarre verso la porta dal suo procuratore e dagli amici e fu fatto montare in una vettura a nolo dal sempre vigile Sam Weller.

Sam avea ripiegata la predellina e si preparava a balzare in serpe, quando si sentì lievemente toccar sulla spalla; voltandosi, si vide vicino il padre. L’aspetto del vecchio galantuomo avea una espressione lugubre, ed ei crollò il capo gravemente e disse con accento di ammonizione:

— Io lo sapeva quel che ne sarebbe uscito da questo modo di trattar gli affari. Ah, Sam, Sam, perchè non ci si è attaccati ad un alibì!