Il Circolo Pickwick/Capitolo 23

Nel quale il signor Samuele Weller incomincia a dedicare le sue energie alla contropartita col signor Job Trotter

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Charles Dickens - Il circolo Pickwick (1836)
Traduzione dall'inglese di Federigo Verdinois (1904)
Nel quale il signor Samuele Weller incomincia a dedicare le sue energie alla contropartita col signor Job Trotter
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La mattina stessa iniziata dall’avventura notturna del signor Pickwick con la signora di mezza età in cartuccine gialle e assai di buon’ora, se ne stava in uno stanzino presso le scuderie il signor Weller seniore preparandosi a suo viaggio per Londra. Il suo atteggiamento pareva combinato a posta perchè un pittore gli facesse il ritratto; ed eccolo qui tale e quale.

È probabilissimo che in un periodo molto anteriore della sua carriera, il profilo del signor Weller avesse presentato dei tratti decisi ed arditi. Ma, da una parte la buona vita, dall’altra la disposizione eccellente a rassegnarsi e a pigliarsi il mondo come veniva, avevano sviluppato le curve carnose di quella sua faccia tanto al di là dei limiti segnati dalla natura, che a non guardarlo di prospetto, era molto difficile distinguere più della punta estrema di un rubicondissimo naso. Per le medesime ragioni, il mento del signor Weller aveva acquistato quella forma grave e imponente che vien generalmente designata col prefiggere la parola doppio a quella espressiva parte del viso, e la sua carnagione presentava quella speciale combinazione di colori, che si riscontra soltanto nei vetturini e nell’arrosto a mezza cottura. Portava avvolto al collo uno scialle scarlatto, il quale si univa così bene alla pappagorgia da parer con essa tutt’una cosa, tanto che le pieghe dell’uno da quelle dell’altra molto difficilmente si potevano distinguere. Sopra questo scialle, una lunga sottoveste anche rossa e rigata, e più sopra una capacissima giacca verde ornata di grossi bottoni metallici, dei quali i due che guarnivano la cintura erano così discosti l’uno dall’altro che nessun uomo al mondo gli aveva mai potuti vedere nel tempo stesso. I capelli corti, lisci e neri si vedevano appena di sotto alla larga tesa di un cappello basso. Il signor Weller aveva le gambe rivestite di calzoni di velluto e di stivaloni a tromba, e una catena di rame, che terminava in un sigillo e in una chiave del medesimo metallo, gli pendeva dalla larga cintura.

Abbiamo detto che il signor Weller era intento a prepararsi al suo viaggio per Londra; in effetto, ei si refocillava. Sulla tavola che aveva davanti si vedevano una brocca di birra, un pezzo di manzo rifreddo e un pane di molto rispettabili dimensioni, a ciascuno dei quali egli distribuiva alternativamente i suoi favori con la più rigorosa imparzialità. Aveva appunto tagliato una grossa fetta di pane, quando i passi di una persona che entrava gli fecero alzar gli occhi, ed egli scorse suo figlio.

— Buon giorno, Sam, — disse il padre.

Il figlio si accostò alla brocca di birra, e fatto al genitore un cenno espressivo del capo, si abboccò quella per tutta risposta e fece una lunga e larga bevuta.

— Gran bella forza di succiamento, Sam, — osservò il signor Weller, guardando in fondo alla brocca quando il suo rampollo l’ebbe posata quasi vuota sulla tavola. — Sareste riuscito una sanguisuga eccellente, Sam, se foste nato in quella condizione sociale.

— Sì, posso dire che mi sarei fatta una certa posizione — rispose Sam, attaccando con notevolissimo vigore il manzo freddo.

— Mi dispiace assai, Sam, — disse il signor Weller seniore scuotendo un po’ la sua birra con dare alla brocca, due o tre giratine prima di bere, — mi dispiace assai, Sam di aver sentito dalla stessa vostra bocca che vi siate lasciato mettere in mezzo da quel cosiffatto uomo violetto. Io ho sempre pensato fino a tre giorni fa che i nomi di Weller e di babbeo non potessero mai venire in contatto, mai, Sam, mai.

— Fatta sempre eccezione del caso di una vedova, naturalmente, — disse Sam.

— Le vedove, Sam, — rispose il signor Weller, cambiando un po’ di colore, — le vedove formano eccezione a qualunque regola. M’è stato detto una volta quante donne ordinarie ci vogliono per fare una vedova, quando si tratta di mettervi in mezzo; venticinque, mi pare, ma non so bene se non sono anche di più.

— Non c’è mica male, — disse Sam.

— Questo però, — proseguì il signor Weller senza badare all’interruzione, — è un altro par di maniche. Voi, sapete Sam, quel che disse l’avvocato difendendo quel signore che batteva la moglie con le molle, quando stava un po’ allegro. "In fin dei conti, signori giudici" dice "questa qui è un’amabile debolezza". Così dico io riguardo alle vedove Sam, e così direte anche voi quando sarete vecchio come son io.

— Capisco, — disse Sam, — che avrei dovuto essere più accorto.

— Più accorto! — ripetette il signor Weller dando del pugno sulla tavola. — Più accorto! Conosco io un giovanotto perbacco, che non ha avuto la metà nè il quarto della vostra educazione, che non è andato dormendo pei mercati nemmeno sei mesi, e che si sentirebbe svergognato di essere stato accalappiato a quel modo; svergognato, Sam.

Nel naturale eccitamento prodotto da questa riflessione angosciosa, il signor Weller suonò il campanello e ordinò un’altra brocca di birra.

— Bene, — disse Sam, — non serve adesso parlarne. Oramai è passata e non c’è più che fare, e questa è una consolazione, come dicono sempre in Turchia, quando tagliano la testa ad uno per un altro. Adesso tocca a me, vecchio genitore, e non appena l’avrò fra le mani cotesto Trotter, me la caverò per benino, non dubitate.

— Lo spero bene, Sam, lo spero bene, — rispose il signor Weller. — Alla vostra salute, Sam e che possiate presto lavare la vergogna che avete inflitto al nome della famiglia.

In onore di questo brindisi, il signor Weller ingollò in una sorsata due terzi almeno della nuova brocca, e la porse poi al figliuolo perchè disponesse del rimanente, il che Sam eseguì all’istante.

— Ed ora, Sam, — disse il signor Weller, consultando il grosso orologio d’argento a doppia cassa che pendeva all’estremità della sua catena di rame, — ora è tempo ch’io vada all’ufficio per avere il mio foglio di via e faccia caricare la diligenza; perchè le diligenze, Sam, sono come i fucili; bisogna caricarle come si deve prima di scaricarle.

A questo scherzo paterno e professionale il signor Weller juniore ebbe un sorriso filiale. Il rispettabile genitore seguitò a dire in tono solenne:

— Io sto per lasciarvi, Sam figliuolo mio, e non c’è da dire quando vi rivedrò un’altra volta. Può darsi che la vostra signora matrigna m’abbia fatto l’ultimo servizio e che siano accadute tante e tante altre cose prima che sentiate parlar di nuovo del famoso signor Weller della Bella Selvaggia. Il nome della famiglia, Sam, è tutto affidato a voi, ed io spero che voi ci penserete, Sam, e che farete quel che vi tocca di fare. Per tutto il resto, Sam, so benissimo che posso contare sopra di voi come se fossi nei panni vostri. Non ho dunque che da darvi questo piccolo consiglio. Se mai, dopo avere scavalcato la cinquantina, vi pigliasse la voglia di sposar qualcheduna — non importa chi — serratevi subito in camera vostra, se per caso ne avete una, e avvelenatevi senz’altro. L’appiccarsi è una cosa volgare, sicchè non ne farete niente. Avvelenatevi, Sam figliuolo mio, avvelenatevi, e dopo ve ne troverete contento.

E con queste parole affliggenti, il signor Weller guardò fiso il figlio, e girando lentamente sui talloni, si tolse dalla sua vista.

Nella disposizione tutta contemplativa che queste parole avevano destata, il signor Samuele Weller uscì dal Gran Cavallo Bianco o quando il padre l’ebbe lasciato; e volgendo i passi verso la chiesa di San Clemente, si studiò di dissipare la sua malinconia, andando un po’ a zonzo per quei vecchi quartieri. Avea così girandolato un bel pezzo, quando si trovò in un punto appartato — una specie di cortile dall’apparenza venerabile — il quale non aveva altra uscita, com’egli subito ebbe ad accorgersi, che la cantonata per dove egli stesso era entrato. Stava lì lì per tornare sui suoi passi, quando ad una improvvisa apparizione si sentì inchiodato al suolo; e il modo e la maniera di questa apparizione noi ci disponiamo appunto a narrare.

Il signor Samuele Weller aveva un po’ guardato in su alle vecchie case di mattoni, dando di tanto in tanto un’occhiattina astratta a qualche servotta paffutella che tirava su una persiana o apriva una finestra, quando il cancello verde di un giardino in fondo al cortile si aprì. Un uomo ne emerse, il quale dopo aver chiuso accuratamente il detto cancello verde si avviò con passo svelto verso il punto preciso dove il signor Weller si trovava.

Ora, prendendo questo fatto isolatamente senz’altre circostanze concomitanti, non c’era in esso nulla di staordinario imperocchè in molte parti del mondo si vedono degli uomini uscir dai giardini, chiudersi dietro dei cancelli verdi, ed andarsene alla svelta, senza tirarsi addosso per questo una parte speciale di pubblica osservazione. È chiaro adunque che qualche cosa ci doveva essere nell’uomo, o nei suoi modi, o nell’uno e negli altri, per richiamare la particolare attenzione del signor Weller. Che questa qualche cosa ci fosse o no, noi lasceremo giudicare al lettore, dopo che avremo fedelmente descritto il contegno dell’individuo in questione.

Quando l’uomo ebbe chiuso dietro di sè il cancello verde si avviò, come già due volte abbiamo detto, con passo svelto e leggiero verso l’uscita del cortile; ma non sì tosto ebbe scorto il signor Weller, che trasalì e si fermò di botto, come se stesse in forse sul cammino da prendere. Siccome però dalla parte di dietro il cancello verde era chiuso e dalla parte davanti non c’era che quella sola uscita cui s’è accennato, ei non stette molto per riconoscere che, a volere uscire dovea passare vicino al signor Samuele Weller. Riprese dunque la sua andatura lesta e s’avanzò, guardando diritto davanti a sè. La cosa più straordinaria era poi questa, che’ la faccia di quest’uomo s’andava trasformando per le più orribili e stupefacenti contorsioni che mai si videro al mondo. L’opera della natura non fu mai così artifiziosamente mascherata come in un attimo avea saputo far costui.

— To’! — fece il signor Weller, vedendolo avvicinare. — Curiosa davvero! Avrei giurato che fosse lui.

L’uomo seguitò ad avanzarsi, e la faccia sua si faceva sempre più deforme quanto più si avvicinava.

— Prenderei un giuramento su quei capelli neri e su quel soprabito violetto, — disse il signor Weller; — soltanto che una faccia come quella lì non l’ho mai vista prima.

Mentre il signor Weller diceva questo, i lineamenti dello sconosciuto presero un carattere non umano e perfettamente spaventevole. Dovette però passare molto vicino a Sam e gli occhi penetranti di questo egregio domestico arrivarono a scoprire, sotto quelle mirabili contorsioni, qualche cosa di così somigliante agli occhi piccini del signor Job Trotter, che non c’era mica da pigliare abbaglio.

— Ohe, quel signore! — gridò Sam in tono minaccioso.

Lo sconosciuto si fermò.

— Ohe! — ripetette Sam con più mala grazia.

L’uomo dall’orrido viso guardò con la massima sorpresa davanti a sè e dietro di sè alle finestre e alle porte e dovunque, meno che a Sam Weller, e fece un altro passo avanti, quando un alto grido lo arrestò di nuovo.

— Ohe dico! — esclamò Sam Weller la terza volta.

Non potendo più far le viste di non avere inteso donde venisse la voce, lo sconosciuto si risolvette alla fine e guardò fiso in faccia al signor Sam Weller.

— Non serve, Job Trotter, che mi facciate lo scimunito, — disse Sam, via, via, smettiamo. Non siete mica così bellino da buttarla via la vostra bellezza. Mettete cotesti vostri occhi di pesce morto al posto loro, o se no ve li fo schizzar fuori della testa, com’è vero che mi chiamo Sam. Avete inteso?

Siccome pareva pienamente disposto il signor Weller ad agire secondo lo spirito delle sue parole, il signor Trotter consentì a riprendere via via la sua naturale espressione; quindi, con un sussulto di giubilo, esclamò:

— Che vedo? il signor Weller!

— Ah! — fece Sam,— siete molto contento di vedermi, eh?

— Contento! — esclamò Job Trotter. — Oh, signor Weller, se sapeste soltanto quanto ho cercato, quanto ho desiderato questo incontro! È troppo, signor Weller, è troppa gioia; non posso sopportarla, non posso davvero.

E così dicendo, il signor Trotter scoppiò in una regolare inondazione di lagrime, e gettano braccia al collo del signor Weller, lo abbracciò strettamentente in un’estasi di contentezza.

— Scostatevi! — gridò Sam, pieno d’indignazione e facendo vani sforzi per divincolarsi dalla stretta della sua entusiastica conoscenza. — Scostatevi, dico! Perchè diamine mi piangete addosso, pezzo... d’annaffiatoio?

— Perchè sono così contento di vedervi, — rispose Job Trotter, rallentando a poco a poco la stretta nel veder dileguarsi nel signor Weller i primi sospetti battaglieri. — Oh signor Weller, questo è troppo!

— Troppo! — ripetette Sam. — Lo credo io ch’è troppo. Sentiamo ora quel che mi avete a dire, eh?

Il signor Trotter non rispose, poichè il piccolo fazzoletto rosso era in piena attività.

— Via, sentiamo quel che m’avete a dire, prima che vi spacchi la testa! — ripetette il signor Weller in atto minaccioso.

— Eh? — fece il signor Trotter con uno sguardo di virtuosa sorpresa.

— Che cosa avete da dirmi?

— Io, signor Walker!

— Non mi chiamate Walker. Io mi chiamo Weller, e voi lo sapete meglio di me. Che cosa avete da dirmi?

— Benedetto voi, signor Walker... Weller voglio dire... un sacco di cose, se volete venire con me in qualche posto dove si possa un po’ discorrere a tutto comodo. Se sapeste come vi sono andato cercando, signor Weller...

— Molto sodo, mi figuro, — disse Sam seccamente.

— Oh molto, molto! — rispose il signor Trotter, senza che un muscolo della sua faccia si smovesse. — Qua una stretta di mano, signor Weller.

Sam sogguardò per qualche momento il suo compagno, e quindi, come se un impulso subitaneo lo persuadesse, gli strinse forte la mano..

— E come sta, — domandò Job Trotter mentre si avviavano insieme, — come sta quel vostro caro, quel vostro buon padrone? Oh, gli è un gran buon signore, signor Weller. Spero che non abbia preso un’infreddatura in quella notte spaventevole?

Nel dir questo, una scintilla di finissima astuzia brillò negli occhi piccini di Job Trotter, che fece correre un brivido nei pugni stretti del signor Weller e uno strano prurito di sfogarsi sulle costole del suo interlocutore. Nondimeno Sam si contenne, e rispose che il padrone godeva perfetta salute.

— Oh, quanto ne sono contento! esclamò il signor Trotter. — E si trova qui?

— E il vostro? — domandò Sam per tutta risposta.

— Oh, sì, sta qui, e mi addolora proprio, signor Weller, di dover dire ch’ei si comporta peggio che mai.

— Ah, ah? — fece Sam.

— Oh, una cosa orribile, da non dirsi !

— Anche in un Istituto?

— No, niente Istituto, — rispose Job Trotter con la stessa occhiata furbesca già notata da Sam. — Non è un Istituto questa volta.

— Nella casa dal cancello verde? — domandò Sam, scrutando molto da vicino il suo compagno.

— No, no, oh, lì no! — rispose Job, con una prontezza insolita in lui, — lì no.

— E che facevate voi lì? — domandò Sam, con un’occhiata penetrativa. — Vi ci siete trovato per caso, non è così?

— Vedete mo, signor Weller, — rispose Job, — io non ci tengo mica a svelarvi i miei piccoli segreti perchè voi sapete che simpatia abbiamo avuto l’uno per l’altro la prima volta che ci siamo visti. Ve ne ricordate, eh, di quella mattina.?

— Sicuro che me ne ricordo, — disse Sam con impazienza. — Ma in somma?

— In somma, — rispose Job, studiando le parole e in tono basso come chi voglia comunicare un segreto importante, — in quella casa lì col cancello verde, mio caro signor Weller, ci sono una quantità di fantesche.

— Così mi pare anche a me, a vederla, — osservò Sam.

— Sì, — proseguì il signor Trotter; — e ce n’è una ch’è cuoca, che ha messo da parte un suo gruzzoletto, caro signor Weller, e desidera, se le vien fatto di collocarsi, aprire una botteguccia di drogheria, capite.

— Capisco.

Or bene, caro signor Weller, io l’incontrai in una certa cappella dove soglio andare, una graziosa cappelletta di qua, signor Weller, dove cantano quella tale raccolta di inni ch’io porto sempre addosso in un librettino che forse mi avrete veduto fra le mani; e così ci feci conoscenza, signor Weller, e poi ci pigliai una tal quale dimestichezza, sicchè posso dire, signor Weller, che il droghiere sarò io.

— Ah! un gran bel droghiere sarete, — rispose Sam, guardando a Job di sbieco con un’occhiata di cordiale antipatia

— Il gran vantaggio di questo, caro signor Weller, — proseguì Job, mentre gli occhi gli si gonfiavano di lagrime, — sarà di mettermi in grado di lasciare il mio disgraziato servizio con quell’uomo malvagio, e dedicarmi tutto a vita migliore e più virtuosa, ed anche più consentanea all’educazione che ho ricevuto, signor Weller.

— Una bella educazione avete dovuto ricevere, — disse Sam.

— Oh, sicuro, signor Weller, sicuro! — rispose Job; e al ricordo dei giorni della sua pura fanciullezza, il signor Trotter tirò fuori il suo fazzoletto rosso e pianse copiosamente.

— Un gran bel piacere doveva essere l’avere un compagno di scuola come voi, — osservò Sam.

— Ah sì! — rispose Job con un profondo sospiro. — Io era l’idolo della scuola

— Non mi fa mica specie. Che consolazione dovevate essere per la vostra mamma benedetta!

A queste parole il signor Job Trotter inserì ma cocca del fazzoletto rosso nell’angolo dell’uno e dell’altro occhio, e ricominciò a versare n fiume di lagrime

— Che diancine lo piglia adesso? — esclamò Sam irritato. — Le pompe di Chelsea sono niente a petto di voi. Che è che vi fa squagliare? la coscienza della vostra furfanteria, eh?

— Io non posso contenere i miei sentimenti, signor Weller — rispose Job, dopo una breve pausa. — A pensare che il mio padrone abbia dovuto subodorare la conversazione ch’io ebbi col vostro, e che m’abbia portato via in una carrozza di posta, abbandonando la sua signorina dopo averla persuasa a dire che non lo conosceva niente affatto e dopo aver comprata la direttrice perchè dicesse lo stesso, oh! signor Weller è una cosa che mi fa fremere

— Ah, l’è così ch’è andata la cosa, eh? domandò Sam.

— Proprio così, — rispose Job.

Ebbene, disse Sam, intanto ch’erano arrivati presso all’albergo, — io ho da parlarvi un tantino Job; sicchè se non avete altri impegni, mi piacerebbe assai vedervi al Gran Cavallo Bianco, verso le otto o giù di lì.

— Non mancherò, — rispose Job

— Bravo, così vi voglio, — disse Sam con una sua occhiata eloquente; — altrimenti dovrò venire io stesso a cercar di voi dall’altra parte del cancello verde, e allora, capite, la cosa non andrebbe così liscia per voi.

— Non dubitate, che verrò — disse il signor Trotter; e stringendo col massimo calore la mano di Sam, si allontanò.

— Bada Job, bada bene, — disse Sam guardandogli dietro, che questa volta te la calo; perdio se te la calo!

E pronunciato questo conciso monologo, sempre seguendo con gli occhi il signor Job fino a che non ebbe voltata la cantonata, il nostro Sam se n’andò più che di passo a trovare il padrone in camera sua.

— Tutto va bene, signore, — disse Sam.

— Che cosa è che va bene? — domandò il signor Pickwick

— Gli ho scovati, signore.

— Scovati chi?

— Quel cotale che sapete col suo omo violetto.

— Impossibile, Sam! — esclamò il signor Pickwick con la massima energia. — Dove sono, Sam, dove sono?

Zitto, zitto! riprese il signor Weller; e nel mentre aiutava il signor Pickwick a vestirsi, gli andò esponendo il piano secondo il quale faceva conto di agire.

— Ma quando Sam? — domandò il signor Pickwick.

— Tutto a suo tempo signore, rispose Sam

E se la cosa fosse fatta in tempo o no, si vedrà in seguito.