Il Circolo Pickwick/Capitolo 22
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— È il bagaglio del padrone, cotesto? — domandò il signor Weller seniore all’amoroso suo rampollo, vedendolo entrare nel cortile del Toro con una sacca da viaggio ed una piccola valigia.
— Ci avete dato di naso, papassone, — rispose il signor Weller giovane, posando in terra il suo fardello e mettendovisi sopra a sedere. — Il padrone stesso sarà qui a momenti.
— In carrozzella?
— Già, due miglia di pericolo per la vile moneta di otto pence. Come sta la signora matrigna?
— Curiosa, Sam, curiosa di molto, — rispose il genitore con una gravità profonda. — Le ha preso da poco in qua una certa scesa Metodistica, ed è devota assai, Sam, devota come non è mai stata. È una creatura troppo buona per me, Sam, e io sento che non me la merito.
— Ah! — fece Sam, — questa sì che è modestia ed abnegazione.
— Sicuro, — rispose il signor Weller con un sospiro. — Si è messa in capo ora una sua invenzione per far tornare a nascere le persone cresciute: mi pare che la chiamino la vita nuova. Mi piacerebbe assai, Sam, di veder questo sistema d’azione. Mi piacerebbe assai di veder tornare a nascere la vostra signora matrigna. Come la manderei subito a balia, Sam! — Che vi credete che coteste donne abbiano fatto l’altro giorno, — riprese a dire il signor Weller dopo un momento, durante il quale avea battuto con l’indice da una parte del naso una mezza dozzina di volte in maniera molto espressiva. — Che vi credete che abbiano fatto l’altro giorno Sam?
— Non so, — rispose Sam; — o che hanno fatto?
— Va e ti mette su un gran servizio di tè per un certo coso che chiamano il loro pastore, — disse il signor Weller. — Io stavo a guardare nelle vetrine del magazzino delle stampe alla cantonata, quando ecco che vedo un cartellino che dice: "Biglietti a mezza corona. Dirigersi per tutte le domande al comitato. Segretaria, signora Weller". Vado a casa, e ti trovo il comitato insediato in camera mia: quattordici donne. Avrei proprio voluto che le aveste udite, Sam. Se ne stavano lì e pigliavano risoluzioni, e votavano sussidii, e altri scherzi così. Bene, tra per la vostra signora matrigna che mi stava ai fianchi perchè ci andassi, tra per la mia curiosità di vedere chi sa che cosa se mai ci andavo mi scrivo subito per un biglietto. Alle sei di Venerdì sera mi vesto, mi lustro, e via con la vecchia, e andiamo su ad un primo piano dove troviamo un servizio di tè per trenta persone, ed una frotta di donne che incominciano a bisbigliarsi all’orecchio e sbirciarmi, come se non avessero veduto mai un pezzo d’uomo fermo in gambe sotto ai sessanta. Sul più bello, ecco che si sente un gran trambusto per le scale, ed entra ad un tratto un gran coso lungo e secco con un naso rosso e tanto di cravatta bianca, e si mette a strillare come un’oca: "Ecco il pastore che viene a visitare il suo gregge fedele"; e subito gli tien dietro un grasso vestito di nero con un faccione bianco tutto sorridente come un quadrante d’orologio. Un bel tocco di furbo, Sam. "Il bacio della pace" dice il pastore; e si mette a baciare una dopo l’altra tutte le donne, e quando ha finito, l’uomo col naso rosso incomincia lui. Io stavo giusto pensando se non dovessi cominciare anch’io, tanto più che accanto a me ci avevo una certa signora da far venire l’acquolina in bocca, quando ecco arriva il tè con la vostra signora matrigna ch’era stata da basso a far bollire il ramino. Tutti ci dettero dentro con gran furia. Che inno, Sam, e che voci mentre il tè si faceva! e che grazia, e che mangiare, e che bere! Avrei proprio voluto che l’aveste visto il pastore come se la sbrigava allegramente fra il prosciutto e i crostini. Non ho mai visto il compagno per mangiare e per bere, mai, Sam. Quello dal naso rosso non ve l’avreste mica pigliato a mantenere per contratto, ma a petto del pastore era niente. Bene, quando il tè fu spacciato, attaccarono un altro inno, e poi il pastore cominciò la predica; e predicò molto bene, considerando tutti i crostini che gli dovevano pesare sullo stomaco. Ad un tratto si ferma e grida forte: "Dov’è il peccatore? dov’è lo sciagurato peccatore?" al che tutte le donne guardano dalla mia parte e incominciano a lamentarsi come se stessero in agonia. Mi sembrò curiosa la cosa, ma ad ogni modo non aprii bocca. Si ferma di botto un’altra volta, e ficcandomi gli occhi addosso, grida con quanta ne ha in gola: "Dov’è il peccatore? dov’è lo sciagurato peccatore?" e tutte le donne a lamentarsi da capo dieci volte più forte di prima. A questo mi fo un po’ brutto, sicchè mi fo avanti di un passo o due, e dico: "Ehi, amico" dico "l’avete applicata a me cotesta osservazione?" Invece di domandarmi scusa come qualunque persona creanzata avrebbe fatto, ei diventa più impertinente che mai; mi dà del vaso, Sam; mi chiama vaso di perdizione, e ogni sorta di ingiurie e di parolacce. Allora, la mosca mi monta al naso, e gliene do prima a lui due o tre cazzotti, e poi due o tre di giunta perchè li passi all’uomo col naso rosso, e me ne vado pei fatti miei. Se le aveste intese come strillavano le donne, Sam, quando raccattarono il pastore di sotto la tavola! — Ohe, ecco il padrone, grandezza naturale.
Così dicendo il signor Weller, il signor Pickwick smontò da una carrozzella ed entrò nel cortile.
— Bella giornata, signore, — disse il signor Weller seniore.
— Bella davvero, — rispose il signor Pickwick.
— Bella davvero, — ripetette un uomo rosso di capelli con un naso pieno di curiosità e occhiali azzurri, che era disceso da una carrozzella nel momento stesso che scendeva il signor Pickwick. — Andate ad Ipswich, signore?
— Appunto, — rispose il signor Pickwick.
— Straordinaria coincidenza. Anch’io ci vado.
Il signor Pickwick s’inchinò.
— Andate sull’imperiale? — domandò l’uomo dai capelli rossi.
Il signor Pickwick s’inchinò di nuovo.
— Perbacco, vedete caso! anch’io viaggio sull’imperiale, — disse l’uomo rosso; — evidentemente facciamo il viaggio insieme.
E l’uomo rosso, che era un personaggio dall’aspetto importante, dal naso aguzzo, dalle parole misteriose con una certa abitudine da uccello di dare una scrollatina di capo tutte le volte che diceva qualche cosa, sorrise come se avesse fatto una delle più straordinarie scoperte che capitassero mai in sorte alla umana sapienza.
— Sono lietissimo di avere la vostra compagnia, signore, — disse il signor Pickwick.
— Ah! — fece lo sconosciuto, — è una fortuna per entrambi, non vi pare? La compagnia, vedete, la compagnia è... è... è una cosa molto diversa dalla solitudine, eh?
— Non c’è mica da dir no, — venne su il signor Weller cacciandosi nella conversazione con un affabile sorriso. — Questo è quel ch’io chiamo una proposizione lampante, come disse l’uomo dal polmone, quando la serva gli disse che non era un signore.
— Ah! — esclamò il signore dai capelli rossi squadrando il signor Weller da capo a piedi con una olimpica occhiata. — È vostro amico il signore?
— Non precisamente amico, — rispose il signor Pickwick a mezza voce. — In realtà è il mio domestico, ma io gli lascio prendere molte libertà; poichè, sia detto tra noi, mi pare che sia un originale e son piuttosto superbo di lui.
— Ah! — rispose il signore dai capelli rossi, — questo poi, vedete, è tutta questione di gusto. A me le cose originali non piacciono niente affatto; non mi entrano; non ne so vedere la necessità. Come vi chiamate, signore?
— Ecco il mio biglietto, — rispose il signor Pickwick, messo di assai buon umore dalla domanda improvvisa e dai modi dello sconosciuto.
— Ah! — fece questi ponendo il biglietto nel portafoglio, — Pickwick; benissimo. Mi piace sempre sapere il nome della gente; ci si risparmia tanto fastidio. Ecco il mio biglietto, signore. Magnus, come vedrete, il mio nome è Magnus. Un discreto nome, non vi pare?
— Eccellente senza dubbio, — disse il signor Pickwick, senza poter trattenere un sorriso.
— Sì, così pare anche a me, — riprese il signor Magnus. — lì c’è anche un bel nome innanzi, come potete osservare. Permettete, signore; se tenete il biglietto un po’ così, di sbieco, arriverete a vedere le linee trasversali. Ecco qua; Pietro Magnus, suona bene, non è così?
— Molto bene, — disse il signor Pickwick.
— Curioso particolare a proposito di queste iniziali, signore, — disse il signor Magnus. — Osservate, vi prego: P. M. — pomeridiane. Quando scrivo in fretta a qualche amico intrinseco, mi firmo qualche volta: Dopopranzo. È una cosa che diverte moltissimo i miei amici, signor Pickwick.
— Lo credo benissimo che si debbano divertire immensamente, — disse il signor Pickwick, invidiando dentro di sè la facilità con cui gli amici del signor Magnus si divertivano.
— La carrozza è pronta, signori, — disse il garzone di stalla.
— È caricato tutto il mio bagaglio? — domandò il signor Magnus.
— Caricato.
— E la sacca rossa è dentro?
— Dentro.
— E la sacca rigata?
— Nella cassetta davanti.
— E il fagotto di carta grigia?
— Sotto il sedile.
— E la cappelliera?
— Tutto a posto, signore.
— Orsù, volete montare? — domandò il signor Pickwick.
— Scusatemi, — rispose Magnus con un piede sulla ruota. — Scusatemi, signor Pickwick. Io non posso consentire a montare in questo stato d’incertezza. Dai modi di quest’uomo io sospetto forte che la cappelliera non ci sia.
Essendo affatto inefficaci le solenni proteste del garzone di stalla, si fu obbligati a tirar su dal più profondo della cassetta la cappelliera in questione perchè il proprietario si calmasse vedendola sana e salva. Rassicurato per questa parte, il signor Magnus fu assalito da un terribile presentimento prima che la casacca rossa s’era smarrita, poi che la sacca rigata era stata involata e finalmente che il fagotto di carta grigia s’era sciolto e disfatto. Quando ebbe raccolto tutte le possibili dimostrazioni oculari intorno al nessun fondamento dei suoi tormentosi sospetti, ei consentì ad arrampicarsi sull’imperiale della carrozza, osservando che liberatosi oramai da ogni sorta di pensieri, si sentiva perfettamente tranquillo e felice.
— Avete un po’ i nervi, signore, eh? — domandò il signor Weller seniore, guardando di sbieco il signor Magnus che montava al suo posto.
— Un poco, sì; sono sempre un po’ nervoso per queste piccole cose. Ma adesso sto egregiamente, mi sento benissimo.
— Bene questa è una vera benedizione, — riprese il signor Weller. — Sam, date una mano per tirar su il padrone; l’altra gamba, signore, così; qua la mano, signore tenetevi forte. Su! Eravate più leggiero da ragazzo, signore.
— Verissimo cotesto, caro signor Weller, — rispose allegramente il signor Pickwick, preso dal sopraffiato nel prender posto dietro la serpe.
— Monta qui, Sam, — disse il signor Weller. — A te Will, lasciali andare. Badate all’arcata, signori. Capi! come diceva il pasticciere giocando a capo o croce. Da bravo, Will; adesso li puoi lasciare.
E la carrozza si mosse su per la via principale di Whitechapel, in mezzo all’ammirazione di tutta la popolazione di quel quartiere discretamente popoloso.
— Non è un gran bel vicinato questo, signore, — disse Sam, con la solita toccatina di cappello che precedeva il suo entrare in conversazione col padrone.
— No davvero, Sam, — rispose il signor Pickwick, guardando dall’alto la via affollata e sudicia per la quale passavano.
— È una cosa molto curiosa, signore, — disse Sam, — che la miseria e le ostriche debbano andar sempre insieme.
— Non vi capisco, Sam, — disse il signor Pickwick.
— Voglio venire a dire, signore, — riprese Sam, — che quanto più miseria c’è in un posto, pare che ci sia tanta più richiesta di ostriche. Ecco qua; un ostricaro ogni sei case; ce n’è un filare per tutta la via. Scommetto che quando un uomo è povero e non ne può più, scappa di casa e va a sfogare sulle ostriche la sua disperazione.
— Certamente, — disse il signor Weller seniore, — e lo stesso si verifica col salmone salato.
— Ecco due fatti notevolissimi che non m’è accaduto mai di osservare, — disse il signor Pickwick. — Alla prima fermata che facciamo, ne piglierò nota nel mio taccuino.
Erano in questo mentre arrivati alla barriera di Mile End. Si fecero altre due o tre miglia in un profondo silenzio, quando il signor Weller seniore, voltandosi di botto al signor Pickwick disse:
— Curiosa vita quella di uno scappellotto, signore.
— Di un che? — domandò il Signor Pickwick.
— Di uno scappellotto.
— Che intendete per scappellotto? — domandò il signor Pietro Magnus.
— Il genitore vuol dire gabellotto, signori miei, — osservò Sam in maniera esplicativa.
— Oh, vedo, vedo! — disse il signor Pickwick. — Sicuro; curiosa vita. Molto faticosa.
— Ci si danno tutti quegli uomini che hanno avuto qualche disinganno nella vita, — soggiunse il signor Weller seniore.
— Ah? fece il signor Pickwick.
— Già. In conseguenza di che, si ritirano dal mondo e si chiudono nelle scappelle, un po’ con l’idea di vivere nella solitudine, un po’ per vendicarsi sul genere umano riscuotendo le tasse.
— Dio buono! — esclamò il signor Pickwick, — a questo non ci avevo mai pensato.
— Fatto, signore, — disse il signor Weller; — se fossero dei signori, voi li chiamereste misantropi, ma siccome non sono che quel che sono così li chiamano scappellotti.
Con questa conversazione, la quale presentava il pregio inestimabile di unire l’utile al dilettevole, ingannò il signor Weller la fastidiosa lunghezza del viaggio per buona parte della giornata. Argomenti non ne mancavano, perchè anche quando la loquacità del signor Weller era interrotta da una pausa, questa era subito e largamente riempita dal desiderio espresso dal signor Magnus d’informarsi minutamente della storia dei singoli suoi compagni di viaggio o dalla sua rumorosa e turbolenta ansietà rispetto alla sicurezza e alla buona condizione delle due sacche, della cappelliera e del fagotto di carta grigia.
Nella via principale di Ipswich, a mano sinistra, poco dopo aver traversato lo spazio aperto di faccia a Town Hall, sorge un albergo conosciuto generalmente sotto il nome del Gran Cavallo Bianco, ed illustrato, per dir così, da una statua di pietra di qualche rapace animale, con coda e criniera svolazzanti, elevato sull’ingresso principale e somigliante in certo modo a un cavallo di carretta ammattito. Il Gran Cavallo Bianco è famoso nel vicinato, allo stesso modo di un bue premiato alla mostra agricola, o della gran zucca registrata nella cronaca del giornale, o del porco mostruoso, — per le sue enormi proporzioni. Tanti intricati labirinti di corridoi senza tappeti, tanti gruppi di camere umide e senza luce, tanto numero di piccole caverne destinate a mangiare e a dormire, non si son mai trovate raccolte sotto alcun tetto, quante ne contenevano le quattro mura del Gran Cavallo Bianco, ad Ipswich.
Appunto alla porta di questa grandiosa osteria si fermava tutte le sere alla stessa ora la diligenza che veniva da Londra; ed appunto da questa diligenza smontarono il signor Pickwick, Sam Weller e il signor Pietro Magnus quella precisa sera cui questo capitolo della storia nostra si riferisce.
— Vi fermate qui, signore? — domandò il signor Pietro Magnus, quando ebbe veduto e verificato che la sacca rigata e la sacca rossa il fagotto di carta grigia e la cappelliera erano depositati in salvo in corridoio. — Vi fermate qui, signore?
— Sì, — rispose il signor Pickwick.
— Ohimè! — esclamò il signor Magnus, — non mi son mai occorse delle così strane coincidenze. Io pure, capite, mi fermo qui. Spero che staremo insieme a desinare?
— Volentieri, — rispose il signor Pickwick. — Non son però certo se trovo qui degli amici miei. Ehi, cameriere, c’è qui un signore per nome Tupman?
Un uomo corpulento con un tovagliuolo di quindici giorni sotto il braccio e delle calze coeve del tovagliuolo, lentamente si staccò dalla sua occupazione di sbarrar gli occhi nella via, udendo la domanda del signor Pickwick; e dopo avere minutamente ispezionato l’aspetto di questo signore dalla cima del cappello all’infimo bottone delle sue uosa, rispose enfaticamente:
— No.
— Nè un signore che si chiama Snodgrass? — domandò il signor Pickwick.
— No.
— Nè Winkle?
— No.
— I miei amici non sono arrivati oggi, — disse il signor Pickwick. — Pranzeremo soli in tal caso. Dateci una camera particolare, cameriere.
Udita questa richiesta, l’uomo corpulento si degnò di ordinare al lustrastivali di portar dentro il bagaglio di quei signori, e precedendoli per un lungo ed oscuro corridoio, li introdusse in un camerone malissimo mobiliato, con un camino molto sudicio, nel quale un fuocherello s’andava sforzando di essere allegro ma era depresso di minuto in minuto dalla influenza soffocante del luogo. Scorsa un’ora buona, fu servito ai viaggiatori un pezzo di pesce con un pezzo di carne; e quando il desinare fu spacciato, il signor Pickwick e il signor Pietro Magnus tirarono le seggiole vicino al fuoco e dopo ordinata una bottiglia della peggiore acquavite possibile, al maggior prezzo possibile, pel bene della casa, si diedero a bere acqua ed acquavite pel bene proprio.
Il signor Pietro Magnus era per natura sua molto comunicativo, e la bevanda che andava ora sorseggiando operava maravigliosamente a tirargli fuori dal profondo del petto i suoi segreti più gelosi. Dopo varie relazioni sulla propria persona, sulla famiglia, i parenti, gli amici, i passatempi, gli affari, i fratelli (gli uomini molto discorsivi hanno sempre molte cose da dire sul conto dei propri fratelli), il signor Pietro Magnus pigliò per varii minuti una visione azzurra del signor Pickwick attraverso gli occhiali colorati, e quindi, con aria di modestia domandò:
— E che vi credete... che credete voi, signor Pickwick, ch’io sia venuto a far qui?
— In parola mia, rispose il signor Pickwick, — mi è assolutamente impossibile indovinarlo. Per affari forse?
— Mezza sì e mezza no l’avete imbroccata: via, provatevi di nuovo, signor Pickwick.
— Davvero, m’ho da rimettere alla vostra discrezione perchè, come meglio vi pare, me lo diciate o no; non l’indovinerei mai, se dovessi provare tutta la notte.
— Ebbene allora, ih, ih, ih! — fece il signor Magnus con una risatina piena di timidezza, — che ne direste voi, signor Pickwick, se io fossi venuto qui per fare una proposta di matrimonio eh? Ih, ih, ih!
— Che ne direi! che avete per voi tutte le probabilità di riuscita, — rispose il signor Pickwick, con uno dei suoi più luminosi sorrisi.
— Ah! lo credete sul serio signor Pickwick? proprio, proprio?
— Ma certamente.
— No, no, voi scherzate.
— Ma no, davvero.
— Ebbene, se ho da dirvela come la sento, io sono della vostra medesima opinione. E voglio anche farvi la confidenza, ad onta della terribile gelosia ch’è propria del mio carattere, che la signora si trova qui, in questo albergo.
Così dicendo, il signor Magnus si tolse gli occhiali per potere ammiccare più comodamente, e poi se li rimise.
— Adesso capisco perchè prima di pranzo uscivate a tutti i momenti dalla camera, — osservò con malizia il signor Pickwick.
— Zitto... Per questo appunto, bravo... Non ero però così sciocco da vederla, eh!
— No!
— No, sarebbe stata una leggerezza, capite, arrivato appena da un viaggio. Aspetti fino a domani, che sarà tutt’altro, caro signore. In quella sacca c’è un certo vestito, e in quella cappelliera un certo cappello, signor Pickwick, che avranno per me, per l’effetto che produrranno, un valore inestimabile.
— Davvero! — fece il signor Pickwick.
— Sicuro. Voi dovete avere osservato la mia ansietà di stamane pel mio bagaglio. Io non credo, caro signor Pickwick, che per tutto l’oro del mondo si potrebbe avere un altro vestito e un altro cappello come quelli lì.
Il signor Pickwick si rallegrò col fortunato possessore di quegli indumenti irresistibili; e il signor Pietro Magnus per alcuni secondi parve rimanere assorto nella contemplazione dei suoi tesori.
— È una bella creatura, — disse poi.
— Ah? — interrogò il signor Pickwick.
— Sicuro, — rispose il signor Magnus, — sicuro. Sta lontana di qua una ventina di miglia. Ho inteso dire che sarebbe stata qui stasera e tutto domani, e son venuto di corsa per acciuffare la buona occasione. Credo che un albergo sia un luogo eccellente per domandar la mano di una donna sola; non vi pare, signor Pickwick? È più facile, capite, ch’ella senta la sua solitudine viaggiando che non la sentirebbe a casa sua. Che ne dite, signor Pickwick?
— Dico che la cosa è probabilissima.
— Domando scusa, signor Pickwick, ma io sono di natura mia piuttosto curioso: che cosa siete voi venuto a far qui?
— Per un affare molto meno piacevole del vostro, signore — rispose il signor Pickwick, cui il solo ricordo delle offese patite facea salire tutto il sangue alla faccia — io son qui, signore, per smascherare la slealtà e l’abbiettezza di una persona, nel cui onore riponevo intiera fiducia
— Ahimè! — esclamò il signor Magnus, — è una cosa molto dispiacevole. — Una signora, non è così? Eh? ah! Furbo di un signor Pickwick! Ebbene, caro signor Pickwick, per nulla al mondo io mi farei giuoco dei vostri sentimenti. Dolorosi soggetti questi qui, molto dolorosi. Non vi riguardate, signor Pickwick, se avete voglia di sfogarvi. Io so quel che vuol dire un tradimento, signore; ho sofferto io stesso questa sorta di cose tre o quattro volte.
¾ Vi sono obbligatissimo pel vostro cortese compatimento sulla disgrazia che vi piace attribuirmi, — disse il signor Pickwick, caricando l’orologio e posandolo sulla tavola, — ma...
— No, no, — interruppe il signor Magnus, — non una parola di più. È un soggetto penoso, vedo, vedo. Che ore sono, signor Pickwick?
— Le dodici passate.
— Perbacco, è tempo d’andare a letto. Non se ne fa più nulla, se si resta qui a sedere. Domani sarei pallidissimo, signor Pickwick.
Alla sola idea di una tanta calamità, il signor Pietro Magnus tirò il cordone del campanello per chiamare la cameriera. Poi, quando s’ebbe fatto portare in camera la sacca rigata, la sacca rossa, la cappelliera e il fagotto di carta grigia si ritirò in compagnia di un candeliere verniciato verso un lato dello stabilimento, mentre il signor Pickwick con un altro candeliere verniciato era guidato verso un altro lato attraverso a un arruffio di tortuosi andirivieni.
— Questa è la vostra camera, signore, — disse la cameriera
— Sta bene, — rispose il signor Pickwick guardandosi intorno. Era una camera di discreta grandezza con due letti ed un caminetto acceso; in sostanza, una camera molto migliore che il signor Pickwick non si sarebbe aspettato dopo l’idea solitaria che s’era formata dei comodi del Gran Cavallo Bianco.
— Nessuno dorme nell’altro letto, naturalmente, — disse il signor Pickwick.
— Oh no, signore.
— Benissimo. Direte al mio domestico che mi porti dell’acqua calda domani alle otto e mezzo, e che per questa sera non ho altrimenti bisogno di lui.
— Signor sì. Buona notte, signore.
E la cameriera si ritirò e lo lasciò solo.
E il signor Pickwick si mise a sedere davanti al fuoco e si abbandonò al corso delle sue meditazioni. Pensò prima ai suoi amici e al quando sarebbero venuti a raggiungerlo; tornò poi con la mente alla signora Marta Bardell; e da questa signora, per una naturale derivazione, passò nel tetro studio di Dodson e Fogg. Da Dodson e Fogg, seguendo una tangente, arrivò al centro preciso della storia dello strano cliente, donde tornò indietro al Gran Cavallo Bianco ad Ipswich, con tanta leggerezza e rapidità da persuadersi che il sonno lo andava pigliando. Si scosse dunque da quel torpore incipiente e incominciò a spogliarsi, quando ad un tratto gli sovvenne di aver lasciato l’orologio sulla tavola da basso.
Ora questo orologio aveva pel signor Pickwick uno specialissimo valore, essendo andato attorno pel mondo, all’ombra del suo panciotto, per più anni assai che non sia necessario informare l’amico lettore. La possibilità di addormentarsi, senza sentirselo battere sotto il guanciale o nella custodia a capo del letto, non era mai entrata nel cervello del signor Pickwick. Così, essendo già troppo tardi e non volendo egli a quell’ora suonare il campanello, s’infilò di nuovo il soprabito e pigliando in mano il candeliere verniciato, discese tranquillamente.
Ma più scale il signor Pickwick scendeva, più sembrava che ce ne fossero da scendere; e quando il signor Pickwick arrivava a mettere il piede in qualche angusto corridoio e incominciava a rallegrarsi seco stesso di essere arrivato a pianterreno, un’altra scala ed un’altra ancora si svolgevano davanti agli stupefatti occhi suoi. Alla fine entrò in una sala ammattonata, che si ricordava di aver visto nell’entrare in casa. Esplorò un corridoio dopo l’altro; spiò in questa camera e in quella; e finalmente, proprio nel punto che stava per rinunziare alle sue ricerche, spinse l’uscio di quella precisa camera dove avea passata la serata e scorse sulla tavola la sua proprietà smarrita.
Il signor Pickwick afferrò trionfalmente il suo orologio, e si dispose a rifare i passi verso la sua camera da letto. Ma se la sua discesa era stata piena d’incertezze e di difficoltà, molto più ardua era adesso la sua ascensione. Delle file di usci, ornati alla base di scarpe di ogni foggia e grandezza, diramavansi in ogni possibile direzione. Una dozzina di volte egli ebbe a girare dolcemente la gruccia di qualche porta che rassomigliava alla propria, quando un aspro grido di dentro: "Chi diavolo è?" ovvero "Che volete qui?" lo faceva sgattaiolare in punta di piedi con una mirabile celerità. Era già ridotto all’ultimo limite della disperazione quando una porta aperta attirò la sua attenzione. Spinse il capo avanti, guardò...l’aveva imbroccata alla fine. C’erano i due letti, la cui posizione ei si ricordava perfettamente, ed il fuoco che ardeva sempre. La candela, che non era molto lunga quando l’avea ricevuta, s’era tutta consumata nelle correnti d’aria ch’egli avea dovuto traversare, ed ora nel tirarsi dietro la porta, il lucignolo si piegò e si affogò nella padellina. "Non importa, — disse il signor Pickwick, — mi spoglierò lo stesso alla luce del fuoco."
I due letti stavano di qua e di là dalla porta; e ciascuno, dalla parte del muro, aveva un piccolo spazio che terminava in una seggiola imbottita, e che era misurato in maniera da permettere ad una persona, maschio o femmina che fosse, di entrare in letto o di uscirne, se gli piacesse o le piacesse compire da quella parte questa operazione. Tirate accuratamente le cortine, il signor Pickwick sedette sulla seggiola imbottita e a tutto suo comodo si cavò le uosa e gli stivali. Si tolse poi e piegò il soprabito, il panciotto, la cravatta, e tirato fuori il suo berretto da notte se lo assicurò bene in capo, legandosi sotto il mento le fettucce che a questo suo articolo di abbigliamento erano sempre attaccate. Fu proprio in questo punto che la comica assurdità della sua escursione e del suo smarrimento lo colpì; sicchè, rovesciandosi nella seggiola imbottita, il signor Pickwick se la rise così cordialmente, che ogni persona di sano spirito avrebbe provato la più gradita soddisfazione vedendo i sorrisi che rischiaravano e allargavano gli amabili lineamenti di lui di sotto al berretto da notte.
— È la più bella cosa di questo mondo, — disse il signor Pickwick ridendo in maniera da far quasi scoppiare le fettucce del suo berretto, — è la più bella cosa di questo mondo, l’essermi smarrito in questo albergo e l’essere andato vagando per questo arruffio di scale. Curiosa, curiosa, proprio curiosa!
Qui il signor Pickwick sorrise e rise di nuovo, più largamente di prima, e si disponeva ad andare avanti col miglior possibile umore nel suo processo di spogliamento, quando fu di botto arrestato da una inaspettatissima interruzione; cioè, l’entrata nella camera di una persona con una candela, la quale persona dopo aver chiusa la porta, si accostò alla pettiniera e vi posò sopra la candela stessa.
Il sorriso che aleggiava sulle fattezze del signor Pickwick, subitamente si smarrì in uno sguardo della più illimitata e grandiosa sorpresa. La persona, chiunque si fosse, era entrata così d’improvviso e con così poco rumore, che il signor Pickwick non aveva avuto tempo di articolare una parola o di opporsi a quell’entrata. Chi mai poteva essere? un ladro? qualche malintenzionato che lo aveva forse veduto salire con un bell’orologio nelle mani? Che doveva egli fare?
Il solo modo per cui il signor Pickwick poteva cogliere un lampo del misterioso visitatore col minimo pericolo di esser lui stesso veduto, era di arrampicarsi chetamente sul letto, e spiare con ogni cautela di mezzo alle cortine. A questa manovra egli si attenne. Tenendo ben chiuse con una mano le cortine, in modo da non mostrar di sè altro che la faccia e il berretto da notte, e mettendosi gli occhiali, ei raccolse tutto il suo coraggio e spinse fuori lo sguardo.
Il signor Pickwick ebbe quasi a venir meno dall’orrore e dallo sgomento. Ritta davanti allo specchio stava una signora di mezza età in cartuccine gialle, tutta intenta a lisciare quel che le signore chiamano lo chignon. In qualunque modo la signora di mezza età fosse incoscientemente entrata in camera, era evidente che la sua intenzione era di rimanervi tutta la notte; perchè s’avea portato un lumino da notte con la relativa ventola, e con una lodevole precauzione contro il pericolo dell’incendio, l’avea situato a terra in una catinella, dove lo si vedea splendere, come un faro gigantesco in un piccolo stagno.
— Povero me! — pensò il signor Pickwick, — che cosa spaventevole!
— Hem! — fece la signora schiarendosi, e subito il capo del signor Pickwick scomparve con automatica rapidità.
— Non mi è mai accaduta una cosa così terribile, — pensò il povero signor Pickwick, mentre un sudore freddo spicciava a stille dal suo berretto da notte. — Mai, mai! È orribile, è orribile.
Era assolutamente impossibile resistere al desiderio di vedere quel che accadeva di fuori. Di nuovo sbucò dalle cortine il capo del signor Pickwick. La scena era peggiorata. La signora di mezza età avea finito di aggiustarsi i capelli; gli avea con ogni cura avvolti in una cuffia di mussolina ornata di una piccola gala, e se ne stava pensosamente contemplando il fuoco.
— Questo è un affare che si fa serio assai, — ragionò da sè a sè il signor Pickwick. — Io non posso tollerare che le cose vadano avanti a questo modo. Dalla sicurezza di questa signora, vedo chiaro che ho dovuto pigliare una camera per un’altra. Se chiamo, ella darà l’allarme a tutta la casa; ma se me ne sto qui, le conseguenze saranno anche più terribili.
Il signor Pickwick, è inutile il dirlo, era uno dei più modesti e delicati mortali. La sola idea di mostrarsi in berretto da notte ad una signora lo schiacciava; ma quelle maledette fettucce s’erano intricate e strette in maniera, che non gli riusciva, per quanti sforzi facesse, di slacciarle. Bisognava decidersi e palesarsi. Un’altra sola via ci era di far questo. Ei si ritirò e si raccolse dietro le cortine, e tossì con forza:
— Ah, hem!
Che la signora trasalisse a questo suono inaspettato era evidente, perchè si oscurò ad un tratto la luce del lumino da notte; che poi si persuadesse dover quello essere effetto della propria fantasia era del pari indubitato, perchè quando il signor Pickwick, sospettando ch’ella fosse venuta meno impietrita dal terrore, azzardò un’altra capatina fra le cortine, la vide che pensosamente come prima se ne stava in contemplazione del fuoco.
— Donna molto straordinaria, — pensò il signor Pickwick ritirandosi di nuovo. — Eh, ah, hem!
Questi ultimi suoni, così simiglianti a quelli coi quali, secondo la leggenda ci fa sapere, il feroce gigante Blunderbore soleva esprimere la sua opinione ch’era tempo di servire in tavola, erano troppo forti e spiccati per essere scambiati con gli effetti della fantasia.
— Oh Dio! — esclamò la signora di mezza età, — che cosa è questa?
— È... è... non è che un signore, signora, disse il signor Pickwick di dietro alle cortine.
— Un signore!— gridò atterrita la signora.
— Addio, — pensò il signor Pickwick, — è fatta!
— Uno sconosciuto! — strillò la signora. Un altro istante e la casa tutta sarebbe stata in piedi. Si udì il fruscio delle sottane, mentre ella correva verso la porta.
— Signora, — disse il signor Pickwick spingendo fuori il capo per necessità disperata. — Signora!
Ora, benchè il signor Pickwick non avesse alcun motivo speciale per metter fuori il capo, l’effetto prodotto fu istantaneo ed eccellente. La signora, come abbiamo già detto, stava presso la porta. Dovea varcarla per arrivare sulla scala; e senza alcun dubbio così avrebbe già fatto, se la subita apparizione del berretto da notte del signor Pickwick; non l’avesse fatta indietreggiare nel più remoto angolo della camera, dove si fermò sbarrando gli occhi in faccia al signor Pickwick, mentre il signor Pickwick gli sbarrava in faccia a lei.
— Sciagurato! — esclamò la signora coprendosi gli occhi con le mani, — che volete voi qui?
— Niente, signora, assolutamente niente, signora, — rispose con calore il signor Pickwick.
— Niente! — disse la signora alzando gli occhi.
— Niente, signora, sull’onor mio, — confermò il signor Pickwick, scuotendo così energicamente la testa da far ballare la nappina bianca del suo berretto. — Io sono mortificatissimo, signora, di dover parlare così ad una signora con in capo il mio berretto (qui la signora si strappò subito la cuffia), ma non mi riesce di cavarmelo, signora (qui il signor Pickwick, in prova della sua asserzione, diè al suo berretto una fiera strappata). Capisco ora che ho dovuto scambiare questa camera per la mia. Non erano cinque minuti che stavo qui, signora, quando voi siete entrata ad un tratto.
— Se cotesta storia improbabile è realmente vera, o signore, — disse la signora singhiozzando violentemente, — uscirete subito di qua.
— Certamente, signora, col massimo piacere, — rispose il signor Pickwick.
— Subito, signore.
— All’istante, signora. Certamente, signora. Mi... mi... duole assai signora (e così dicendo il signor Pickwick fece la sua apparizione a piedi del letto), mi duole di essere stato la causa innocente della vostra emozione, del vostro spavento; me ne duole, signora, nel più profondo dell’anima.
La signora stese un dito verso la porta. A questo punto, in un frangente di questa fatta, una qualità eccellente del carattere del signor Pickwick splendidamente si rivelò. Benchè, nella gran fretta, s’avesse messo il cappello sul berretto da notte, come usavano un tempo le guardie urbane in pattuglia; benchè portasse in mano le uosa e gli stivali e sul braccio il soprabito e il panciotto, nulla valeva ad abbattere la sua innata galanteria.
— Sono dolentissimo, signora, — disse il signor Pickwick, inchinandosi fino a terra.
— Se così è, signore, lascerete subito questa camera, — disse la signora.
— Immediatamente, signora; all’istante, signora, — disse il signor Pickwick aprendo la porta, e facendosi scappar di mano con gran fracasso il paio di stivali.
— Voglio sperare, signora, — riprese il signor Pickwick, raccattando gli stivali e voltandosi indietro per inchinarsi di nuovo, — voglio sperare, signora, che il mio carattere illibato e la devozione profonda che nutro pel vostro sesso, mi varranno per tutto questo di debole attenuante. — Ma prima che il signor Pickwick potesse conchiudere la sua frase, la signora lo aveva spinto nel corridoio ed avea chiusa e sprangata la porta dietro di lui.
Per molti e sodi che fossero i motivi che il signor Pickwick aveva di rallegrarsi per esser sfuggito così alla spiccia ad una situazione tanto critica, non era però per nessuna guisa invidiabile la sua posizione presente. Si trovava solo, in un corridoio aperto, in una casa estranea, nel cuore della notte, mezzo spogliato; non era mica probabile ch’ei potesse trovar la sua via nella più fitta oscurità verso una camera che non era stato buono di scoprire coll’aiuto di un lume; e se il menomo rumore avesse fatto nei suoi deboli tentativi per mandare ad effetto una così audace impresa, correva il rischio presentissimo di buscarsi una pistolettata o altra cosa nella testa da qualche viaggiatore non ancora addormentato. Non aveva dunque altra risorsa che rimaner dove stava, fino alla punta del giorno. Così, dopo aver fatto qualche timido passo lungo il corridoio, inciampando, con immenso terrore, in varie paia di scarpe, il signor Pickwick si rannicchiò e si accoccolò in un cantuccio per aspettarvi la luce del giorno quanto più filosoficamente potesse.
Non era però destinato a traversare questa novella prova di pazienza; poichè in effetto non era molto a lungo stato così rannicchiato nel suo nascondiglio, quando con ineffabile suo terrore, un uomo con una candela in mano apparve in fondo al corridoio. Ma questo terrore si mutò subito nella gioia più schietta quando egli ebbe a riconoscere la persona del suo fedele domestico. Era proprio lui, Sam Weller, il quale dopo essere stato in piedi fino a quell’ora così tarda in conversazione col lustrastivali, che facea la guardia alla diligenza, se n’andava ora tranquillamente a riposare.
— Sam ¾ disse il signor Pickwick, sorgendogli improvvisamente davanti, — dov’è la mia camera da letto?
Il signor Weller sgranò gli occhi in faccia al padrone con la più viva sorpresa, e per ben tre volte dovette sentirsi ripetere la domanda, per decidersi finalmente a voltare indietro e ad incamminarsi verso l’appartamento così a lungo cercato.
— Sam, — disse il signor Pickwick nell’entrare che fece a letto — io ho preso stasera uno dei più straordinari equivoci che si siano mai dati al mondo.
— Così dev’essere, — rispose secco il signor Weller.
— Ma questo è sicuro, Sam, che se pure dovessi rimaner sei mesi in questa casa, non mi azzarderei mai più a girarla da solo.
— Cotesta è la risoluzione più prudente che potevate fare, signore. Avete a pigliar qualcheduno che vi venga dietro signore, quando il vostro giudizio se ne va attorno facendo visite.
— Che intendete dire con ciò, Sam? — domandò il signor Pickwick.
Si levò a sedere nel letto e stese una mano come per voler dire qualche cosa di più; ma, contenendosi subito, si voltò dall’altra parte e diè la buona notte al suo domestico.
— Buona notte, signore, — rispose il signor Weller.
Si fermò un poco quando fu uscito, scrollò il capo, si mosse, si fermò di nuovo, smoccolò la candela, tornò a scrollare il capo, e si avviò finalmente a lenti passi verso la camera sua e immerso apparentemente nella più profonda meditazione.