Il Circolo Pickwick/Capitolo 24

Nel quale il signor Pietro Magnus diventa geloso e la signora di mezza età apprensiva; il che fa capitare i Pickwickiani nelle mani della giustizia

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Charles Dickens - Il circolo Pickwick (1836)
Traduzione dall'inglese di Federigo Verdinois (1904)
Nel quale il signor Pietro Magnus diventa geloso e la signora di mezza età apprensiva; il che fa capitare i Pickwickiani nelle mani della giustizia
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Quando il signor Pickwick fu disceso nella sala dove in compagnia del signor Pietro Magnus avea passata la sera precedente, trova questo signore con la miglior parte del contenuto delle due sacche della cappelliera e del fagotto di carta grigia, messo in bella mostra sulla propria persona, mentre egli stesso andava su e giù per la camera in uno stato di grande nervosità ed agitazione.

— Buon giorno, signore, — disse il signor Pietro Magnus. — Che ve ne pare eh?

— Mi pare di effetto sicuro, — rispose il signor Pickwick, esaminando con un sorriso pieno di affabilità i vestiti del signor Pietro Magnus.

— Sì, credo di star benino Signor Pickwick, signore, ho già mandato su il mio biglietto di visita

— Davvero?

— Sicuro; e il cameriere è tornato ad avvertirmi che sarei stato ricevuto alle undici; alle undici, signore; non ci manca che un quarto.

— Siamo lì lì. — disse il signor Pickwick

— Sì piuttosto, — rispose il signor Magnus; — forse troppo vicino, perchè la cosa sia piacevole. Eh, signor Pickwick?

— La fiducia in questi casi vuol dir molto, osservò il signor Pickwick.

— Lo credo, signore, — disse il signor Pietro Magnus. — Io ne ho molta della fiducia, signore. Realmente signor Pickwick, io non capisco perchè un uomo debba o possa temere di qualche cosa in un caso come questo, signore. Di che si tratta in sostanza? Non c’è nulla di che vergognarsi; è una faccenda di mutua convenienza, nè più nè meno. Il marito da una parte, la moglie dall’altra. Ecco sotto che punto di vista io considero a cosa, signor Pickwick.

— È un punto di vista molto filosofico, — rispose il signor Pickwick. — Ma la colazione ci aspetta, signor Magnus. Andiamo.

Si posero a tavola; ma egli era evidente che il signor Pietro Magnus, a malgrado della sua spavalderia, aveva in corpo una fiera nervosità, della quale erano sintomi principali la perdita dell’appetito, una pronunziata tendenza a rovesciare chicchere e bicchieri, qualche funebre tentativo a far lo spiritoso, ed una inclinazione irresistibile a guardar l’orologio ogni minuto secondo.

— Hi, hi, hi! — fece il signor Magnus, affettando ilarità e tremante d’agitazione. — Non ci vogliono che due minuti, signor Pickwick. Sono pallido, signore?

— Non molto, — rispose il signor Pickwick.

Vi fu una breve pausa.

— Domando scusa, signor Pickwick; ma avete mai fatto a tempo vostro questa sorta di cose? — domandò il signor Magnus.

— Volete dire domande di matrimonio?

— Sì.

— Mai, — rispose con grande energia il signor Pickwick, — mai!

— Non avete dunque alcuna idea del come sia meglio cominciare?

— Ma... non so... forse posso aver delle idee in proposito, ma, siccome non le ho mai sottoposte alla prova dell’esperienza, mi dorrebbe assai come voi le sceglieste come norma della vostra condotta.

— Vi sarei obbligatissimo, signore, di qualunque consiglio, — disse il signor Magnus, dando un’altra occhiata all’orologio, di cui l’indice camminava verso i cinque minuti dopo le undici.

— Ebbene, signore, — disse il signor Pickwick con quella solennità profonda con la quale poteva il grand’uomo, quante volte gli piacesse, dar tanta forza alle parole che gli uscivano di bocca, — io comincerei, per esempio, offrendo un tributo di ammirazione alla bellezza della signora e alla squisitezza delle sue doti; di qua con naturale passaggio, verrei a parlarle della pochezza della mia persona.

— Benissimo! — approvò il signor Magnus!

— Pochezza, s’intende, rispetto a lei, — riprese a dire il signor Pickwick; — soltanto rispetto a lei, badiamo; anzi, a mostrare di non essere affatto privo di meriti, passerei in rapida rassegna la mia vita passata e la mia condizione presente. Lascerei intendere, per analogia, che per qualunque altra donna io sarei un partito desiderabilissimo. Mi allargherei quindi sul calore del mio affetto e sulla profondità della mia devozione. A questo punto, forse, mi lascerei tentare ad afferrarle la mano.

— Vedo, vedo, — disse il signor Magnus; — questo sarebbe un punto importantissimo.

— Attaccherei allora, — proseguì il signor Pickwick, accalorandosi via via che il soggetto gli si presentava con più vivi colori alla fantasia, — attaccherei allora, signore, la questione sostanziale, semplicemente e schiettamente formulata: "Volete accettar la mia mano?" A questo, mi par ragionevole supporre che ella volterebbe il capo in là.

— Credete che debba accader proprio così? Perchè, vedete, se poi non si voltasse come voi dite, la cosa diventerebbe imbarazzante.

— Credo che debba accadere, — disse il Signor Pickwick. — Dopo di ciò, signore, le stringerei la mano, e credo — credo, signor Magnus — che fatto ciò e posto che non vi si rispondesse con un rifiuto, scosterei delicatamente il fazzoletto, che la signora (per quel po’ di conoscenza che ho della natura. umana) avrebbe portato agli occhi, e le darei un bacio pieno di rispetto. Sì, signor Magnus, credo che la bacerei; e a questo punto, ritengo per fermo che se la signora fosse menomamente inclinata ad accettar la proposta, mi bisbiglierebbe all’orecchio un timido assenso.

Il signor Magnus trasalì, fissò un momento in silenzio la faccia intelligente del signor Pickwick, e quindi (mentre l’indice segnava sul quadrante dieci minuti dopo le undici) gli strinse con calore la mano, e disperatamente si allontanò.

Il signor Pickwick era andato un po’ avanti e indietro per la camera; e l’indice dell’orologio, seguendo la prima parte del suo esempio, era arrivato al numero che segna la mezz’ora, quando la porta si aprì di botto. Ei si voltò per rallegrarsi col signor Pietro Magnus, ed incontrò invece il viso ilare del signor Tupman, l’aspetto sereno del signor Winkle, e i lineamenti intelligenti del signor Snodgrass.

Mentre il signor Pickwick dava loro il benvenuto, il signor Pietro Magnus riapparve.

— I miei amici, di cui vi ho parlato, signor Magnus, — disse il signor Pickwick.

— Servo vostro, signori, — disse il signor Magnus, che era palesemente in uno stato di viva eccitazione. — Signor Pickwick, due parole con voi, un momento, signore.

Così dicendo, il signor Magnus ficcò l’indice della mano destra nell’occhiello del soprabito del signor Pickwick, e traendo il grand’uomo nel vano di una finestra, disse:

— Rallegratevi meco, signor Pickwick; ho seguito alla lettera il vostro avviso.

— Ed è tutto andato bene? — domandò il signor Pickwick.

— Egregiamente, non poteva andar meglio. Signor Pickwick, ella è mia.

— Me ne compiaccio con tutto il cuore, — disse il signor Pickwick, stringendo calorosamente la mano al suo novello amico.

— Voglio che la conosciate, signore, — disse il signor Magnus — Di qua, se non vi dispiace, di qua. Permettete, signori, scusateci un momento.

E tutto affaccendato e quasi fuor di sè, il signor Pietro Magnus si trasse dietro il signor Pickwick fuori della camera. Si fermò alla seconda porta nel corridoio e delicatamente bussò.

— Entrate, — rispose una voce femminile.

Entrarono.

— Signorina Witherfield, — disse il signor Magnus, — permettetemi di presentarvi il mio intimo amico, il signor Pickwick. Signor Pickwick, vi prego farvi conoscere alla signorina Witherfield.

La signora stava in fondo alla camera, e il signor Pickwick fatto un profondo inchino, cavò gli occhiali dal taschino della sottoveste e se li pose. Ma non appena compiuta questa operazione preparatoria, una esclamazione di sorpresa gli uscì dal petto ed egli stesso indietreggiò di vari passi; mentre la signora, con un grido soffocato a mezzo, si nascondeva la faccia fra le mani e cadeva sopra una seggiola; al che il signor Pietro Magnus, colpito da subita immobilità, guardava dall’uno all’altra e dall’altra all’uno con un viso pieno di meraviglia e di orrore.

Questa condotta era, sotto tutti gli aspetti, assolutamente inesplicabile; ma il fatto era, che non sì tosto il signor Pickwick s’ebbe posto gli occhiali, ebbe a riconoscere nella futura signora Magnus quella medesima signora in camera della quale ei s’era introdotto così poco giustificabilmente la notte innanzi; e non sì tosto gli occhiali ebbero abbracciato il naso del signor Pickwick, che la signora identificò l’aspetto che già avea veduto circondato da tutti gli orrori di un berretto da notte. La signora dunque gettò un grido e il signor Pickwick trasalì.

— Signor Pickwick! — esclamò il signor Magnus al colmo della stupefazione, — che vuol dir ciò, signore?... Che vuol dir ciò, signore?— ripetette il signor Magnus in tono più forte e minaccioso.

— Signore, — rispose il signor Pickwick, un po’ risentito per quella facilità con cui il signor Magnus passava a coniugare il modo imperativo, — io mi ricuso a rispondere a cotesta domanda.

— Vi ricusate, signore?

— Sì, mi ricuso. Io non pronuncierò alcuna parola che possa compromettere questa signora o destarle in mente spiacevoli ricordi, se ella stessa non me lo permette e non me l’ordina espressamente.

— Signorina Witherfield, — disse il signor Magnus, — conoscete voi questo signore?

— Se lo conosco! — esclamò esitante la signora di mezza età.

— Sì, se lo conoscete, signora, se lo conoscete, dico, — ripetette con ferocia il signor Magnus.

— L’ho veduto.

— Dove? Dove? Parlate!

— Questo poi, — rispose la signora di mezza età, alzandosi e voltando il capo in là, — questo poi non lo rivelerei per tutto l’oro del mondo.

— V’intendo, signora, — disse il signor Pickwick, — e rispetto la vostra delicatezza; nè sarò io che lo rivelerò, contateci pure.

— In fede mia, signora, — riprese il signor Magnus, — considerando la mia posizione verso di voi, voi vi pigliate questa faccenda con discreta freddezza... con discreta freddezza, dico.

— Siete crudele, signor Magnus! — esclamò la signora di mezza età, scoppiando in singhiozzi e piangendo con abbondanza.

— Rivolgete a me le vostre osservazioni, signore, — entrò di mezzo il signor Pickwick; — se c’è qualcuno qui degno di biasimo, son io quel desso.

— Ah! voi solo siete degno di biasimo, eh? Voi signore? Capisco, capisco tutto. Vi pentite ora della vostra risoluzione, non è così?

— Della mia risoluzione!

— Della vostra risoluzione, sì. Oh! è inutile che mi facciate le maraviglie, signor mio. Mi ricordo le parole vostre di ieri sera. Siete venuto qui, signore, per smascherare la slealtà e l’abbiettezza di una persona, nel cui onore riponevate intiera fiducia, eh?

Qui il signor Pietro Magnus si lasciò andare ad un sogghigno prolungato, e togliendosi gli occhiali verdi — che probabilmente trovava superflui nel suo accesso di gelosia — rotò le pupille intorno in una maniera terribilissima.

— Eh? — ripetette il signor Magnus, ripetendo il sogghigno con effetto crescente. — Ma voi, signore, me ne darete ragione.

— Ragione di che?

— Sta bene, signore, — rispose il signor Magnus misurando a gran passi la camera, — sta bene!

Vi deve essere qualche gran significato in questa semplice frase "Sta bene" perchè non ci ricordiamo di aver assistito ad alcuna disputa per la via, in un teatro, in un circolo, o dove che sia, senza che quelle due parole non abbiano formato la risposta di obbligo ad ogni domanda bellicosa. "Vi credete voi di essere un gentiluomo, signore?" — "Sta bene, signore". "Che ho forse detto qualche parola alla giovane, signore?" — "Sta bene, signore". "Volete che vi rompa la testa a quel muro, signore?" — "Sta bene, signore". È anche da notare che in questo universale "Sta bene" ci deve esser qualche riposta minaccia, che desta più indignazione nell’animo della persona cui vien rivolto, che non possa fare l’oltraggio più sanguinoso.

Noi non vogliamo dire che quelle sole due parole eccitassero nell’animo del signor Pickwick la medesima indignazione che avrebbe acceso un animo volgare. Registriamo soltanto il fatto che il signor Pickwick apri la porta della camera e chiamò forte:

— Tupman, venite qua.

Il signor Tupman immediatamente si presentò con uno sguardo di vivissima sorpresa.

— Tupman, — disse il signor Pickwick, — un segreto molto delicato, nel quale questa signora è impegnata, ha motivato una disputa tra questo signore e me. Quando io gli assicuro in presenza vostra, che il segreto in questione non lo riguarda niente affatto e non ha alcuna relazione coi suoi affari, io ho appena bisogno di farvi notare che ostinandosi a discuterlo, egli esprime un dubbio sulla mia lealtà, che io mi recherò a massimo insulto.

Dicendo queste parole, gli occhi del signor Pickwick rivolti al signor Pietro Magnus contenevano enciclopedie.

La condotta onorevole e dignitosa del signor Pickwick, unita a quella energia di parola che tanto lo distingueva, avrebbero indotto la convinzione in ogni animo ragionevole; ma disgraziatamente, proprio in quel punto, il signor Pietro Magnus si trovava in una disposizione affatto contraria. Per conseguenza, invece di accogliere come avrebbe dovuto la spiegazione del signor Pickwick, egli s’andò montando e scaldando e parlò dei suoi sentimenti e di quel che gli si doveva e di ogni altra sorta di cose, aggiungendo forza alla sua declamazione coll’andar su e giù e strapparsi i capelli, e variando questi particolari divertimenti con lo scuotere il pugno serrato sul viso filantropico del signor Pickwick.

Il signor Pickwick dal canto suo, sicuro nella coscienza della propria innocenza e rettitudine, ed irritato per avere sciaguratamente trascinato la signora di mezza età in un così brutto impiccio, non si trovava in quelle calme disposizioni che gli erano abituali. Ne nacque dunque che le parole si fecero più aspre, le voci s’ingrossarono, e alla fine il signor Magnus disse al signor Pickwick che non se ne sarebbe stato e che gli avrebbe fatto avere sue notizie, al che il signor Pickwick rispose molto pulitamente che più presto le avrebbe ricevute più le avrebbe gradite. A questo punto la signora di mezza età scappò folle di terrore dalla camera, fuori della quale il signor Tupman trasse il signor Pickwick, lasciando il signor Pietro Magnus a sè stesso è alla meditazione.

Se la signora di mezza età avesse avuta una certa pratica di vita sociale e conosciuto in parte i modi e le abitudini di quelli che fanno le leggi e stabiliscono le mode, avrebbe saputo che questa specie di ferocia è la cosa più innocua di questo mondo; ma, essendo quasi sempre vissuta in provincia e non avendo mai letto i resoconti parlamentari, ella era assai scarsamente versata in queste speciali raffinatezze della gente civilizzata. Per conseguenza, quando ebbe guadagnato la sua camera da letto, e vi si fu asserragliata ed ebbe incominciato a meditare sulla scena recente, le più spaventevoli immagini di distruzione e di carneficina le si presentarono alla fantasia; fra le quali la meno terribile era un ritratto del signor Pietro Magnus, grandezza naturale, portato da quattro uomini, con l’abbellimento di una intiera scarica di palle nel fianco sinistro. E più la signora di mezza età s’ingolfava in queste meditazioni, più cresceva il suo terrore; sicchè alla fine prese la risoluzione disperata di ricorrere al primo magistrato della città per pregarlo ad assicurarsi senza indugio delle persone dei signori Pickwick e Tupman.

A questa determinazione fu persuasa la signora di mezza età da una folla di considerazioni, prima fra le quali la prova incontestabile che con ciò avrebbe fornita al signor Pietro Magnus della propria devozione e dell’ansietà grande per la salvezza di lui. Troppo bene ella conosceva il temperamento geloso del suo pretendente per azzardare la menoma allusione al vero motivo dell’agitazione che l’avea presa alla vista del signor Pickwick; e contava poi sulla propria influenza e sul potere di persuasione che esercitava sul furioso omicciattolo, per calmarne la sfrenata gelosia, supposto che il signor Pickwick venisse allontanato e fosse così tolta l’occasione di novelle contese. Piena di queste riflessioni, la signora di mezza età si avvolse nello scialle, si mise il cappellino, e direttamente si avviò all’ufficio del primo magistrato.

Ora, Giorgio Nupkins, il sullodato primo magistrato, era a un bel circa il più grandioso personaggio che il più bravo camminatore potrebbe trovare dall’alba al tramonto il ventuno di giugno; il quale essendo, secondo dicono gli almanacchi, il giorno più lungo in tutto l’anno, offrirebbe naturalmente al detto camminatore il più lungo periodo di ricerche. Quella mattina, il signor Nupkins trovavasi in uno stato di massimo eccitamento ed irritazione, perchè c’era stata una ribellione in città. Tutta la scolaresca esterna della scuola principale avevano cospirato a rompere le finestre di una certa venditrice di mele che avevano preso in uggia; avevano fischiato il bidello e lapidato il constabile — un signore attempato in stivaloni, che era stato chiamato a sedare il tumulto, e che per almeno mezzo secolo, da fanciullo e da uomo, era stato ufficiale di pace. Il signor Nupkins se ne stava a sedere nel suo seggiolone, corrugando maestosamente la fronte e bollendo di rabbia, quando gli venne annunziata una signora che voleva parlargli di un affare urgentissimo e privato. Il signor Nupkins si compose in una calma terribile e ordinò che la signora fosse introdotta; il quale ordine, come tutti i mandati degli imperatori, magistrati e altri gran potentati della terra, fu immediatamente eseguito; e la signorina Witherfield, nella più interessante agitazione, fu subito introdotta.

— Muzzle! — chiamò il magistrato.

Muzzle era un domestico di mezza statura dal corpo lungo e dalle gambe corte.

— Muzzle!

— Sì, vostra signoria.

— Portate una seggiola e lasciate la stanza.

— Sì, vostra signoria.

— Ora, signora, volete esporre il vostro affare? — disse il magistrato.

— È un affare molto doloroso, signore, — disse la signorina Witherfield.

— Capisco, signora, capisco, — disse il magistrato. — Calmatevi, vi prego, contenete i vostri sentimenti. (Il signor Nupkins assunse un aspetto benigno). E ditemi di che specie è l’affare legale che qui vi conduce, signora. (Qui il magistrato trionfò sull’uomo, e riprese il suo cipiglio).

— Mi duole profondamente, signore, di darvi questa notizia, — disse la signorina Witherfield, — ma io temo che un duello stia per aver luogo qui.

— Qui, signora! Dove, signora, dove?

— In Ipswich.

— In Ipswich, signora... un duello in Ipswich! — esclamò il magistrato stupefatto a questa sola idea. — Impossibile, signora; nessuna cosa di questo genere potrebbe accadere in questa città, ne sono convinto. Giusto cielo! ma avete voi, signora, una qualunque idea dell’attività della magistratura del luogo? Avete voi udito per avventura che il quattro di maggio prossimo passato mi slanciai nell’arena fra due pugilatori, accompagnato da soli sessanta uomini di forza, e a rischio di cader vittima delle passioni esacerbate di una furiosa moltitudine, inpedii un pugilato tra il campione di Middlesex e quello di Suffolk! Un duello in Ipswich, signora! Io non credo, io non posso credere che due uomini esistano i quali abbiano potuto aver l’ardire di complottare una siffatta infrazione della pace, in questa città.

— Le mie informazioni sono disgraziatamente troppo esatte, — disse la signora di mezza età; ero presente io stessa alla disputa.

— È una cosa straordinaria, incredibile, — esclamò lo stupito magistrato. — Muzzle!

— Sì, vostra signoria.

— Mandate subito qui il signor Jinks, all’istante.

— Sì, vostra signoria.

Muzzle si ritirò; e di lì a poco entrò nella camera uno scrivano pallido, emaciato, sciattato, dal naso puntuto.

— Signor Jinks, — disse il magistrato, — signor Jinks!

— Signore? — disse il signor Jinks.

— Questa signora, signor Jinks, è venuta qui per avvertirci di un duello che deve aver luogo in questa città.

Il signor Jinks, non sapendo precisamente che fare, sorrise officiosamente.

— Di che cosa ridete, signor Jinks? — domandò il magistrato.

Il signor Jinks, all’istante, si fece serio.

— Signor Jinks, — disse il magistrato, — voi siete uno sciocco, Signore.

Il signor Jinks guardò umilmente il grand’uomo e morsicò l’asticella della penna.

— E possibile che ci vediate del comico in questa notizia, signore, — riprese a dire il magistrato; — ma io vi dico, signor Jinks, che c’è ben poco da ridere.

L’allampanato Jinks trasse un profondo sospiro, come se sapesse benissimo di aver poca ragione di stare allegro; e, ricevuto l’ordine di raccogliere le deposizioni della signora, s’inserì tra il muro ed un tavolino e si apparecchiò a scrivere.

— Cotesto Pickwick è uno dei primi, a quanto pare? — domandò il magistrato quando la deposizione fu scritta.

— Appunto, — rispose la signora di mezza età.

— E l’altro facinoroso... come si chiama, signor Jinks?

— Tupman, signore.

— Tupman è il secondo?

— Sì.

— L’altro primo si è allontanato, mi pare che abbiate detto?

— Sì, — rispose la signorina Withelfield con una tosserella secca.

— Benissimo, — disse il magistrato. — Questi son due spadaccini di Londra venuti qui per distruggere la popolazione di Sua Maestà, pensando forse che a questa distanza dalla capitale il braccio della legge sia debole e paralizzato. Daremo un esempio, daremo. Spiccate il mandato d’arresto, signor Jinks. Muzzle!

— Sì, vostra signoria.

— C’è Grummer da basso?

— Sì, vostra signoria.

— Mandatelo qui.

L’ossequioso Muzzle si ritirò, e tornò subito introducendo un uomo attempato in stivaloni, che si faceva notare principalmente per un naso schiacciato, una voce chioccia, un soprabito color tabacco, ed uno sguardo indeterminato.

— Grummer, — disse il magistrato.

— Sì, vostra signoria.

— È tranquilla adesso la città?

— Non c’è male, vostra signoria, — rispose Grummer. — La popolazione s’è un po’ chetata, a motivo che i ragazzi sono scappati a giuocare a cricket.

— Ci vogliono energiche misure di questi tempi, Grummer, — disse il magistrato in tono deciso. — Se vien così conculcata l’autorità dei rappresentanti del potere, bisogna richiamare l’osservanza della legge sugli assembramenti. Se il potere civile non è in grado di proteggere le finestre, bisogna che il militare protegga il potere civile e le finestre anche. Credo che questa sia una massima della, costituzione, signor Jinks?

— Certamente, signore, — rispose Jinks.

— Benissimo, — disse il magistrato firmando il mandato di cattura. — Grummer, menerete queste persone alla mia presenza, quest’oggi stesso. Le troverete al Gran Cavallo Bianco. Voi ricorderete il caso del pugilato tra il campione di Middlesex e quello di Suffolk, eh, Grummer?

Il signor Grummer fece intendere, con una scrollatina retrospettiva del capo, ch’ei non l’avrebbe mai dimenticato; come in effetto non era probabile lo dimenticasse fino a che del fatto gli veniva quotidianamente rinfrescata la memoria.

— Il fatto di questa volta è ancora più incostituzionale, — riprese il magistrato; — questa è una più grave perturbazione della pace, una infrazione più criminosa delle prerogative di Sua Maestà. Io credo che il duello sia una delle più incontestabili prerogative di Sua Maestà, eh, Jinks?

— Espressamente stipulata nella Magna Carta, signore, — disse il signor Jinks.

— Uno dei più splendidi gioielli della corona britannica, strappato violentemente dall’Unione Politica dei baroni, eh, signor Jinks?

— Per l’appunto, signore, — rispose il signor Jinks.

— Benissimo, — disse il magistrato tutto rimpettito, — non sarà mai violata questa prerogativa in questa parte dei suoi dominii. Grummer, prendete con voi della forza, ed eseguite all’istante questo mandato di cattura. Muzzle!

— Sì, vostra signoria.

— Accompagnate la signora.

La signorina Witherfield si ritirò, profondamente impressionata dalla dottrina e dal contegno del magistrato; il signor Nupkins si ritirò per far colazione; il signor Jinks si ritirò dentro di sè, — essendo questo l’unico ritiro che gli fosse consentito, oltre il letto-canapè del salottino che durante il giorno era occupato dalla famiglia della sua padrona di casa — e il signor Grummer si ritirò per lavare, col modo con cui avrebbe compiuto l’incarico affidatogli, l’insulto che era stato inflitto a lui ed all’altro rappresentante di Sua Maestà, il bidello, nel corso della mattina.

Mentre pendevano queste energiche preparazioni per la conservazione della pace di Sua Maestà, il signor Pickwick e i suoi amici, affatto ignari dei grandiosi avvenimenti che si avvicinavano, si erano tranquillamente posti a tavola. Erano discorsivi e di buon umore; e il signor Pickwick andava appunto narrando la sua avventura della notte precedente, con grandissimo diletto dei suoi seguaci, e in ispecie del signor Tupman, quando la porta si aprì ed una specie di faccia proibita apparve nella camera. Gli occhi della faccia proibita si fissarono, per vari secondi, sulla persona del signor Pickwick, e secondo tutte le apparenze furono soddisfatti della loro investigazione; poichè il corpo cui la faccia proibita apparteneva lentamente si avanzò e presentò la figura di un signore attempato in stivaloni. Per non tenere il lettore sulla corda, diciamo subito che gli occhi erano gli occhi vaganti del signor Grummer, e il corpo era il corpo di questo medesimo signore.

Il modo di procedere del signor Grummer era professionale, ma specialissimo. Il suo primo atto consisteva nel chiudere la porta di dentro; il suo secondo, nello strofinarsi la faccia e la testa con un fazzoletto di cotone; il suo terzo, nel posare il cappello, con dentro il fazzoletto di cotone, sulla seggiola più vicina; e il suo quarto ed ultimo, nel tirar fuori dalla tasca del soprabito un bastoncello sormontato da una corona di rame, col quale in aria tetra e da spettro fece un segno al signor Pickwick.

Il primo a rompere il silenzio, fra lo stupore di tutti, fu il signor Snodgrass. Guardò severamente per un poco il signor Grummer e disse quindi con enfasi:

— Questa è una camera privata, signore, una camera privata, dico.

Il signor Grummer scosse il capo e rispose:

— Nessuna camera è privata per Sua Maestà, una volta varcata la porta di strada. Questa è la legge. Alcuni sostengono che la casa di un Inglese sia il suo castello. Questa è una sciocchezza.

I Pickwickiani si guardarono l’un l’altro, compresi di stupore.

— Chi è il signor Tupman? — domandò il signor Grummer.

Del signor Pickwick aveva avuto una percezione intuitiva; l’avea conosciuto alla prima.

— Son io che mi chiamo Tupman, — disse questi.

— Ed io mi chiamo la Legge, disse il signor Grummer.

— Che cosa?

— La Legge, il potere civile ed esecutivo, ecco come mi chiamo; e questa è la mia autorità. Tupman, nome in bianco; Pickwick, come sopra; contro la pace dell’augusta persona di Sua Maestà, visto e considerato, eccetera. Tutto è in regola. Pickwick, Tupman suddetti, siete in arresto.

— Che vuol dire cotesta insolenza? — esclamò il signor Tupman, balzando in piedi. — Uscite, signore, uscite!

— Ohe! — fece il signor Grummer ritirandosi in fretta verso la porta ed aprendola appena di un pollice o due; — Dubbley!

— Presente, — rispose una voce cupa dal fondo del corridoio.

— Avanti, Dubbley, — comandò il signor Grummer.

Alla parola di comando, un uomo dal viso sudicio, alto un sei piedi e robusto in proporzione, si spremette tra lo stipite e la porta semiaperta, facendosi rosso come un tacchino, ed entrò nella camera.

— Son fuori gli altri uomini, Dubbley? — domandò il signor Grummer.

Il signor Dubbley, che era un uomo di poche parole, accennò di sì col capo.

— Fate avanzare la divisione sotto i vostri ordini, Dubbley, — disse il signor Grummer.

Il signor Dubbley eseguì; e una mezza dozzina d’uomini, armato ciascuno di un bastoncello con sopra una corona di rame, si affollarono nella camera. Il signor Grummer intascò il suo bastoncello e guardò al signor Dubbley: il signor Dubbley intascò il suo e guardò alla divisione; e la divisione intascò i suoi e guardò ai signori Tupman e Pickwick.

Il signor Pickwick e i suoi seguaci si alzarono come un sol uomo.

— Che vuol dire questa atroce violazione del mio domicilio? — esclamò il signor Pickwick.

— Chi è che osa arrestarmi? — disse il signor Tupman.

— Che volete voi qui, furfanti? — gridò il signor Snodgrass.

Il signor Winkle non aprì bocca, ma fissò gli occhi in Grummer con un certo sguardo che per poco che questi avesse avuto sentimento, gli avrebbe forato il cervello e sarebbe uscito dall’altra parte. In fatto però non ebbe sull’ufficiale di pace effetto visibile di sorta alcuna.

Quando gli uomini della forza pubblica si avvidero che il signor Pickwick e gli amici suoi erano disposti a far resistenza all’autorità della legge, subito con palese intenzione si rimboccarono le maniche, come se l’accopparli di primo acchito per raccattarli dopo e portarseli via, fosse un semplice esercizio delle loro attribuzioni da non pensarci sopra due volte per metterlo in atto.

Questa dimostrazione non isfuggì al signor Pickwick. Ei trasse in disparte l’amico Tupman e dopo una breve conferenza, significò di esser pronto a recarsi alla residenza del primo magistrato, comunicando soltanto alle parti ivi raccolte essere suo fermo proposito di protestare contro la mostruosa violazione dei suoi privilegi di cittadino inglese, non sì tosto sarebbe stato rimesso in libertà; al che le parti ivi raccolte risero di tutto cuore, eccetto il signor Grummer, il quale pareva considerare come una specie di bestemmia da non esser tollerata ogni menoma usurpazione del diritto divino dei magistrati.

Ma quando il signor Pickwick ebbe significato la sua sollecitudine a piegare il capo alle leggi del paese, e proprio nel punto che i camerieri, i garzoni di stalla, le fantesche e i postiglioni, che si aspettavano il più gradito spettacolo in seguito della minacciata resistenza incominciavano a voltar le spalle, disingannati e disgustati, una difficoltà impreveduta venne a turbare il buon andamento delle cose. Con tutta la debita venerazione per le autorità costituite, il signor Pickwick recisamente si ricusò a mostrarsi nella pubblica via, circondato e guardato dalla forza, come un volgare delinquente. Il signor Grummer, nello stato irrequieto dello spirito pubblico (perchè era mezza festa, e i ragazzi non erano ancora tornati alle case loro), non meno recisamente si ricusò a prendere il lato opposto della via e ad accettare la parola del signor Pickwick che si sarebbe subito recato alla presenza del magistrato; e tanto il signor Pickwick che il signor Tupman energicamente si opposero a pigliare a nolo una carrozza di posta, che era il solo mezzo decente di trasporto che si potesse ottenere. La disputa si scaldava e il dilemma si faceva sempre più cornuto; e appunto quando gli uomini della legge stavano per vincere la resistenza del signor Pickwick di recarsi dal magistrato, col trito espediente di menarvelo a forza, si pensò che ci doveva essere nel cortile una vecchia portantina, nella quale come quella che in origine serviva ad un ricco signore gottoso, avrebbero potuto inserirsi il signor Pickwick e il signor Tupman come in una qualunque carrozza di posta. Fu presa a nolo la portantina; e la si trasse in mezzo al cortile. Il signor Pickwick e il signor Tupman vi si premettero dentro e tirarono giù le tendine; un paio di portantini si trovarono subito e la processione solennemente si mosse. Gli agenti della forza pubblica circondarono il corpo del veicolo, i signori Grommer e Dubbley marciarono trionfalmente alla testa del distaccamento, i signori Snodgrass e Winkle venivano dietro a braccetto, e la cittadinanza poco amica del sapone faceva da retroguardia.

I bottegai della città, benchè avessero una idea molto confusa della natura del delitto, non potevano che essere grandemente edificati e soddisfatti di questo spettacolo. Il braccio forte della legge piombava con la forza di venti battitoi sopra due delinquenti venuti dalla stessa capitale; la potente macchina era diretta dal loro proprio magistrato e messa in moto dai loro propri ufficiali; e mediante gli sforzi combinati di questi, i due rei si trovavano sicuramente rinserrati nell’angusta prigione di una portantina. Molte erano le espressioni di ammirazione e di approvazione che salutavano il signor Grummer che camminava, bastoncello in mano, alla testa della cavalcata; alte e prolungate erano le acclamazioni dei non lavati; e fra questi vari attestati della pubblica soddisfazione, il corteggio procedeva lentamente e maestosamente.

Il signor Weller, vestito della sua giacchetta mattinale con le maniche di bambagina nera, se ne tornava ad orecchi un po’ bassi da una sua inutile perlustrazione intorno alla casa misteriosa dal cancello verde, quando alzando gli occhi, vide in capo alla via una calca di gente che si stringeva intorno ad un oggetto che aveva tutta l’apparenza di una portantina. Desideroso di distrarre i suoi pensieri dalla recente impresa andata a male, ei si tirò da parte per veder passare la folla; e trovando che tutti se n’andavano gridando col massimo gusto di questo mondo, subito si diè a gridare anch’egli, tanto per sollevarsi un poco, con quanto fiato aveva nei polmoni.

Il signor Grummer passò, il signor Dubbley passò, la portantina passò, la divisione delle guardie passò, e Sam rispondeva sempre alle entusiastiche acclamazioni del popolino ed agitava in aria il cappello come se fosse invaso dalla gioia più selvaggia (benchè, come si capisce, non avesse la menoma idea di quel che accadeva), quando ebbe di botto a fermarsi vedendosi comparire davanti i signori Winkle e Snodgrass.

— Che buscherlo è cotesto, signori? — gridò Sam. — Chi c’è in quella scatola a lutto?

I due amici risposero insieme, ma le loro parole si perdettero nel tumulto.

— Chi avete detto? — gridò Sam più forte.

La risposta fu ripetuta; e benchè le parole non si udissero, Sam vide dal movimento delle due paia di labbra che la parola pronunciata era il magico nome di Pickwick.

Bastava questo. In men di un minuto il signor Weller, apertosi un passaggio fra la folla, fermò la marcia del distaccamento ed affrontò il maestoso Grummer.

— Ohe, quel signore! — disse Sam, — chi è che ci avete costì in cotesta diligenza a piedi!

— Indietro! — gridò il signor Grummer, la cui dignità, come la dignità di tanti altri grandi uomini, s’era mirabilmente accresciuta all’aura della popolarità.

— Dategli, se non obbedisce, — suggerì il signor Dubbley.

— Obbligatissimo, caro voi, — rispose Sam, — per avermi prima domandato licenza, ed anche più obbligato pel suo bel consiglio a quest’altro signore che pare scappato or ora da una carovana di giganti; ma io preferirei che mi rispondeste a tono, se a voi fa lo stesso. Come state, signore?

Quest’ultima domanda era diretta con aria di protezione al signor Pickwick, il quale spiava di dietro alla cortina dello sportello davanti.

Il signor Grummer, cui l’indignazione rendeva muto, tirò fuori il bastoncello con sopra la corona di rame dalla sua tasca particolare, e lo fece girare in aria davanti agli occhi di Sam.

— Ah, — fece Sam, — bellina di molto, specialmente la corona, che rassomiglia parecchio a quella vera.

— Indietro! — ripetette l’oltraggiato signor Grummer. E per dar più forza al suo comando, con una mano ficcò l’emblema della sovranità nella cravatta di Sam, mentre con l’altra pigliava Sam pel collo, complimento cui il signor Weller rispose subito con un solenne spintone che rovesciò per terra il rappresentante della legge, dopo aver però con delicato pensiero buttato per terra uno degli uomini della portantina perchè quegli si coricasse sul morbido.

Sia che il signor Winkle fosse preso da un subito accesso di quella specie d’insania che deriva da un’ingiuria patita, sia che lo incorasse il valore furibondo del signor Weller, certo è, che non sì tosto ei vide stramazzare il signor Grummer, coraggiosamente assalì un monello che gli capitò sotto la mano; al che il signor Snodgrass, animato da uno spirito veramente cristiano, ed affine di non prendere alcuno all’impensata, annunziò con voce altissima ch’egli stava per cominciare e con la massima deliberazione procedette a cavarsi il soprabito. Immediatamente fu circondato e assicurato; e, per rendere la debita giustizia così a lui come al signor Winkle, bisogna dire ch’essi non fecero il menomo tentativo per liberar sè stessi e il signor Weller, il quale, dopo una molto energica resistenza, sopraffatto dal numero fu preso prigioniero. il corteggio si riformò, i portantini ripresero in mano le stanghe e la marcia ricominciò.

L’indignazione del signor Pickwick durante tutta questa scena non conobbe limiti. Appena gli venne fatto di scernere Sam che dava addosso alle guardie e si dimenava come un ossesso; nè più di questo poteva vedere, perchè gli sportelli della portantina non si aprivano e le tendine non andavano nè su nè giù. Finalmente, con l’aiuto del signor Tupman, gli venne fatto di sfondar l’imperiale, e allora montando in piedi sul sedile e tenendosi saldo come meglio poteva col farsi sostegno della spalla dell’amico, il signor Pickwick incominciò ad arringare la moltitudine, intrattendosi sull’atto ingiustificabile di cui egli era vittima innocente, e facendo loro notare che il suo domestico era stato il primo ad essere assalito. E in quest’ordine pervennero all’abitazione del magistrato: i portantini trottando, i prigionieri camminando appresso, il signor Pickwick arringando, e la folla schiamazzando.