Il Catilinario ed il Giugurtino/Frammenti/Ai giovani studiosi delle latine e delle toscane lettere

Basilio Puoti

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Ai giovani studiosi delle latine e delle toscane lettere
Frammenti Frammenti - Orazione del console M. Emilio Lepido al popolo romano contro Silla
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AI GIOVANI STUDIOSI


DELLE LATINE E DELLE TOSCANE LETTERE



BASILIO PUOTI


Prima di farvi a leggere ed a raffrontar con l’originale la versione de’ Frammenti di Sallustio, è mestieri, giovani studiosi, che di alcune cose siate da noi avvertiti. Oltre alla Guerra di Giugurta ed alla Congiura di Catilina, Sallustio scrisse pure la Storia della repubblica romana dall’anno 675 di Roma, in cui Silla lasciò la dittatura, insino all’anno 688, nel quale, essendo consoli M. Emilio Lepido e L. Volcazio Tullo, Gneo Pompeo, per la legge Manilia, andò a governare la guerra contro di Mitridate. Ma, con grave nostro danno, questa, che era la maggior opera di questo eloquentissimo e profondo scrittore, fu distrutta dal tempo, e sol pochi brani ne giunsero a noi, de’ quali la più parte dal dotto Paolo Manuzio e da Ludovico Carrione furono con somma cura e diligenza raccolti dalle opere de’ grammatici e di altri antichi scrittori che riferivan luoghi di questo eccellente storico. Ma, oltre a questi, che sono assai brevi e monchi, sei ce ne ha di maggior conto e più da pregiare, i quali sono due Epistole e quattro Concioni [p. 172 modifica]e furono rinvenuti in un codice della Vaticana, il quale comprendeva anche il Catilinario ed il Giugurtino: e Pomponio Leto, che li rinvenne, fu il primo a darli in luce. Nel medesimo codice eran riferite ancora due altre brevi scritture senza nome di autore; ed al Leto piacque pure di pubblicarle, mettendo in fronte ad una di esse Ad Caesarem senem de republica, all’altra Ad C. Caesarem Oratio de republica. I comentatori, che presero a sporre e dichiarare le opere di Sallustio, alcuni avvisarono che queste due scritture fossero pure fattura di lui, e di questo novero fu tra i primi il Douza, il quale non temè di dire: E summo paleo similior nunquam potest aqua aquae sumi, quam haec ipsa sunt, et altera illa, quae de sallustianis naufragiis reliqua Deorum nobis benignitas fecit. Ma il Corzio, che venne dipoi, contrasta al Douza, e risolutamente dice che non sa intendere come un uomo che sia alquanto pratico dello stile e del pensar di Sallustio possa credere opera di questo storico quelle due misere declamazioni. Nè con men grave errore pensa il Corzio che sieno state attribuite a Tacito da Ludovico Carrione, e seguita dicendo che sono da tenere spregevole lavoro di qualche retore o di qualche giovane impostore, quando le lettere latine erano già scadute. Gli altri, e spezialmente il De Brosses ed il Burnouf, si sforzarono parimente di dimostrarle lavoro di Sallustio, e molto le lodarono. Ma non pertanto noi non sappiamo accordarci con questi due valenti uomini, e, senza timor d’errare, seguitando il Corzio, le abbiamo tralasciate. E siamo di credere di non averne a riportar biasimo da’ dotti ed intendenti uomini, i quali, se vorranno solo discorrere quelle due scritture, non potranno non crederle affatto indegne del maraviglioso scrittore della Guerra di Giugurta e della Congiura di Catilina. Ancora in molte edizioni di Sallustio è riferita come sua opera la Declamazione contro di Cicerone; e molti furono in [p. 173 modifica]dotti a crederla veramente lavoro di questo storico dall’averne letto in Quintiliano, che molto la loda, le prime parole. Ma noi crediamo, come è paruto pure ad altri, che quegli che compose questa declamazione, per darle maggiore autorità, e per più agevolmente poter ingannare i lettori, si fosse ingegnato d’incominciarla con quelle medesime parole riferite dal retore romano. Il quale, essendo uomo di tanto fine discernimento quanto si mostra in giudicare de’ greci e de’ latini scrittori, non avrebbe certamente lodato questa miserabile filastrocca. Senza che, noi, vedendo che quasi tutti i più solenni critici hanno portato questa opinione, e considerando pure che questa scrittura non racchiude concetti degni di Sallustio, e che lo stile, fiacco sempre e gonfio, al tutto è dissimile da quello del principe degli storici romani, l’abbiamo pur tralasciata. Sicchè solo a quei sei de’ mentovati frammenti noi abbiamo dato luogo in questa nostra edizione, i quali sono stati e possono veramente esser riputati parto dell’ingegno di Sallustio. Questi sono stati voltati in toscano da’ due valorosi giovani, stati già nostri alunni, Bruto Fabricatore e l’ab. Giovanni Cassini; ed abbiamo fatto ogni opera perchè il lor lavoro non fosse al tutto indegno d’essere allogalo in questo libro. E due ragioni a così far ci mossero: chè doleaci in sino all’anima di vedere andar per le mani de’ giovani questi frammenti di Sallustio non diremo già volgarizzati, ma insozzati e guasti da un cotal Raggio da Chiaveri, e da un Negri, il quale, se è men barbaro e contorto del traduttor genovese, pari è a lui per cattivo gusto ed ignoranza di lingua e per fiacchezza di dettato: e l’Antonelli, librajo di Venezia, che tanti scempii volgarizzamenti ha dato in luce nella serie di autori latini, che colle versioni italiane va pubblicando, ha renduto più comune e generale ancora questa misera versione del Negri. Sicchè noi, che ci andiamo incessantemente affaticando per ricondurre sul buon sentiero degli studii [p. 174 modifica]l’italiana gioventù, abbiamo creduto di dovere arrecar qualche compenso a questo male, che certo non è di lieve momento. Onde con sommo studio e diligenza facemmo volgarizzar questi frammenti, e ci siamo ingegnati di ajutar dell’opera nostra i giovani traduttori. L’altra ragione che c’indusse ad aggiungere il volgarizzamento de’ frammenti di Sallustio alla versione del Catilinario e del Giugurtino, fu, come dicemmo nella Lettera al chiarissimo Marchese di Montrone, di dare a’ giovani maestri una certa norma nell’esercitare i loro discepoli in tradurre dal latino in italiano e dall’italiano in latino. E però abbiamo aggiunto alla versione l’originale latino ancora, il quale non rinvenendosi facilmente nelle edizioni di Sallustio che vanno per le mani di tutti, abbiamo creduto non disutil cosa il dargli luogo in questo nostro libro. In che fare non ci siamo stati contenti ad una edizione solo dell’originale, ma in tutte le migliori siamo andati scegliendo quelle letture che ci son parute meglio accordarsi tra loro, e siamoci sforzati di emendarlo ancora nel punteggiamento. Da ultimo, perchè più profittevoli tornassero a’ giovani questi frammenti, a ciascuno di essi abbiamo posto in fronte un Argomento, dove brevemente sono sposte le cose che fanno mestiere per poter quelli bene ed agevolmente intendere.

State sani, miei carissimi giovani, e riprendete questo nuovo anno con alacrità i vostri studii.

Il Gennajo del 1814.