e furono rinvenuti in un codice della Vaticana, il quale comprendeva anche il Catilinario ed il Giugurtino: e Pomponio Leto, che li rinvenne, fu il primo a darli in luce. Nel medesimo codice eran riferite ancora due altre brevi scritture senza nome di autore; ed al Leto piacque pure di pubblicarle, mettendo in fronte ad una di esse Ad Caesarem senem de republica, all’altra Ad C. Caesarem Oratio de republica. I comentatori, che presero a sporre e dichiarare le opere di Sallustio, alcuni avvisarono che queste due scritture fossero pure fattura di lui, e di questo novero fu tra i primi il Douza, il quale non temè di dire: E summo paleo similior nunquam potest aqua aquae sumi, quam haec ipsa sunt, et altera illa, quae de sallustianis naufragiis reliqua Deorum nobis benignitas fecit. Ma il Corzio, che venne dipoi, contrasta al Douza, e risolutamente dice che non sa intendere come un uomo che sia alquanto pratico dello stile e del pensar di Sallustio possa credere opera di questo storico quelle due misere declamazioni. Nè con men grave errore pensa il Corzio che sieno state attribuite a Tacito da Ludovico Carrione, e seguita dicendo che sono da tenere spregevole lavoro di qualche retore o di qualche giovane impostore, quando le lettere latine erano già scadute. Gli altri, e spezialmente il De Brosses ed il Burnouf, si sforzarono parimente di dimostrarle lavoro di Sallustio, e molto le lodarono. Ma non pertanto noi non sappiamo accordarci con questi due valenti uomini, e, senza timor d’errare, seguitando il Corzio, le abbiamo tralasciate. E siamo di credere di non averne a riportar biasimo da’ dotti ed intendenti uomini, i quali, se vorranno solo discorrere quelle due scritture, non potranno non crederle affatto indegne del maraviglioso scrittore della Guerra di Giugurta e della Congiura di Catilina. Ancora in molte edizioni di Sallustio è riferita come sua opera la Declamazione contro di Cicerone; e molti furono in