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dotti a crederla veramente lavoro di questo storico dall’averne letto in Quintiliano, che molto la loda, le prime parole. Ma noi crediamo, come è paruto pure ad altri, che quegli che compose questa declamazione, per darle maggiore autorità, e per più agevolmente poter ingannare i lettori, si fosse ingegnato d’incominciarla con quelle medesime parole riferite dal retore romano. Il quale, essendo uomo di tanto fine discernimento quanto si mostra in giudicare de’ greci e de’ latini scrittori, non avrebbe certamente lodato questa miserabile filastrocca. Senza che, noi, vedendo che quasi tutti i più solenni critici hanno portato questa opinione, e considerando pure che questa scrittura non racchiude concetti degni di Sallustio, e che lo stile, fiacco sempre e gonfio, al tutto è dissimile da quello del principe degli storici romani, l’abbiamo pur tralasciata. Sicchè solo a quei sei de’ mentovati frammenti noi abbiamo dato luogo in questa nostra edizione, i quali sono stati e possono veramente esser riputati parto dell’ingegno di Sallustio. Questi sono stati voltati in toscano da’ due valorosi giovani, stati già nostri alunni, Bruto Fabricatore e l’ab. Giovanni Cassini; ed abbiamo fatto ogni opera perchè il lor lavoro non fosse al tutto indegno d’essere allogalo in questo libro. E due ragioni a così far ci mossero: chè doleaci in sino all’anima di vedere andar per le mani de’ giovani questi frammenti di Sallustio non diremo già volgarizzati, ma insozzati e guasti da un cotal Raggio da Chiaveri, e da un Negri, il quale, se è men barbaro e contorto del traduttor genovese, pari è a lui per cattivo gusto ed ignoranza di lingua e per fiacchezza di dettato: e l’Antonelli, librajo di Venezia, che tanti scempii volgarizzamenti ha dato in luce nella serie di autori latini, che colle versioni italiane va pubblicando, ha renduto più comune e generale ancora questa misera versione del Negri. Sicchè noi, che ci andiamo incessantemente affaticando per ricondurre sul buon sentiero degli studii l’i-