Il complesso del Castello Della Monica, che, come appena accennato, domina la città dall’alto del colle di San Venanzio, potrebbe apparire ai più, soprattutto se turisti, un autentico maniero feudale, munito di piccole torri, bastioni e fossati di protezione.
Contrariamente a quanto si potrebbe credere, il Castello è, invece, molto recente. Così come recente è anche, nonostante l’aspetto generale sia antico e parzialmente diroccato, tutto il Borgo Medioevale che sorge a valle, costituito da un gruppo di fabbricati di varie dimensioni che si ergono l’uno accanto all’altro, separati da aree scoperte chiuse da spessi muri perimetrali.
Tutto questo, che pare, a prima vista, realizzazione complessa dovuta al susseguirsi di intere generazioni di signori locali, è invece frutto di un’unica mente. Quella di Gennaro Della Monica.
Nato nel 1836, figlio di Pasquale, artista neoclassico e insegnante di disegno alla scuola cittadina, Gennaro fu mandato a Napoli, presso l’Accademia di Belle Arti, e successivamente si trasferì in Lombardia, in Svizzera e in Toscana; poco dopo il 1867 tornò a Teramo e vi si stabilì definitivamente.
Il continuo viaggiare e l’incontro proficuo con numerosi artisti dell’epoca, fra i quali spiccano i nomi di Morelli, di Palizzi, di Cammarano e di numerosi altri, contribuirono a formare in lui quella sorta di élitario distacco che costituì uno dei caratteri più noti del suo sentimento artistico, assieme ad una proverbiale franchezza nel cimentarsi con l’arte, sia come critica, sia come produzione.
Il periodo che, a unanime giudizio, è stato ritenuto il più interessante del lungo viaggio di Della Monica fu il soggiorno a Firenze, dove rimase dal 1860 sino alla partenza per Teramo. Egli fu influenzato moltissimo da questa sosta fiorentina, nella quale, in coerenza con le espressioni dell’idealismo romantico, Della Monica assaporò sentimentalismo, improvvisazione poetica e passione per l’esotico, per i paesaggi, per la rievocazione storica. A giudizio della critica, con buona probabilità il suo interesse per il medioevo, che caratterizzò abbondantemente la sua arte, si accrebbe proprio grazie al soggiorno toscano.
Se presumibilmente battaglie e paesaggi rappresentarono quasi esclusivamente il filo conduttore della sua produzione giovanile, gli anni della maturità lo spinsero alla realizzazione di una serie di opere di differente ispirazione. Meritano accenno, difatti, dipinti a tema religioso, come quelli presenti nelle chiese della Madonna della Cona e della Madonna delle Grazie, nonché in quella di Sant’Agostino, ed altre opere a tema politico-sociale, come la tempera nella sala della Corte d’Assise dell’ex Palazzo di Giustizia, ora Museo Archeologico, raffigurante Bruto che condanna a morte i figli. Questa grande rappresentazione, a parere critico, svela come, nonostante Della Monica non avesse interrotto drasticamente una produzione artistica basata su paesaggi e scene belliche, gli anni che seguirono il soggiorno a Firenze e che coincisero con il rientro a Teramo e con la maturità, anagrafica e artistica dell’Autore, furono per lo più interessati da una scia diversa, tutta incentrata sulla figurazione di soggetti politico-sociali.
Tornato, quindi, nella sua città natale, svolse attività di docente e fu protagonista a pieno titolo delle vicende locali. La sua immediatezza in fatto di produzione artistica, talvolta sferzante e castigatrice, riemerse nuovamente in questo periodo della sua vita, associata ora a quella concretezza della quotidianità che lo contraddistinse nella permanenza a Teramo. Si ricorda, ad esempio, fra gli scritti che Della Monica ci ha lasciato, il suo parere negativo in occasione del giudizio sulle modalità del concorso per il monumento al Re Vittorio Emanuele II, bandito a Teramo. Egli, probabilmente, non condivise il concetto stesso di monumento: «Io devo dichiarare», scrisse, «che crederei assai miglior cosa onorare il gran Re non già con una statua, ma con qualche opera di beneficenza duratura».
Con simili affermazioni, le quali ora ci rappresentano perfettamente l’avversione dell’Autore per l’arte semplicemente fine a se stessa, egli rivelò ancora una volta il suo atteggiamento anticonformista in fatto di produzione e di critica, oltre a guadagnarsi notorietà nella sua Teramo, dove venne considerato certamente come personaggio degno di nota.
Compiendo, comunque, un passo indietro, non è superfluo ricordare che fu proprio l’esperienza e l’incontro con luoghi e artisti differenti e, in principal modo, il soggiorno fiorentino, a formare in Della Monica quel particolare gusto architettonico e pittorico che egli poi avrebbe seguito, di lì a breve, nel progetto e nella realizzazione del suo Castello.
In effetti, non incontrò molti consensi la costruzione, avviata nel 1889 e conclusa nel 1917, di tale struttura, frutto dei sogni e delle fantasie medioevali del suo Autore.
«Pura invenzione senza alcun criterio architettonico» fu, anzi, definito il Borgo Medioevale dallo storico d’arte Guglielmo Aurini. Eppure Gennaro Della Monica dedicò a questa difficile realizzazione tutto ciò che aveva: la sua ricchezza, il suo ingegno, la sua creatività, la sua imprevedibilità, la sua energia. Ultimata l’opera, non riuscì più a separarsene, insensibile ormai alle favolose offerte degli ammiratori stranieri che, nel frattempo, erano venuti a conoscenza del progetto.
Estremamente articolato, l’edificio principale è stato comunemente definito neomedioevale o neogotico, immerso com’è nei canoni degli stili romantici che avevano, all’epoca, promosso l’onda artistica del gothic revival.
Il fabbricato centrale, che effettivamente è l’elemento più rilevante dell’intero complesso, fu studiato sin nei minimi dettagli e fu decorato dallo stesso Della Monica con dipinti e affreschi, a parete e su altre superfici, di varia ispirazione. Comparvero, difatti, scene storiche, locali ed extralocali, trompe-l’oeil imprevedibili, ritratti degli antenati e immagini di favolosi e strani servitori che accolgono l’ipotetico estraneo già sulle scale.
Egli riuscì a progettare anche nei più piccoli particolari ogni angolo e ogni dettaglio: dallo studio generale degli edifici, alle decorazioni delle minuscole logge e delle finestre biforate, dal ponte levatoio al giardino del Castello.
Nonostante la sua realizzazione fosse una copia quasi perfetta dei manieri medioevali autentici, Della Monica non si volle accontentare della sola imitazione. Fece, pertanto, incastonare nel fabbricato frammenti di ruderi autentici che aveva acquistato: vennero sistemati colonnine, capitelli, sculture e piccoli resti di passati gloriosi. Man mano che, dunque, la realizzazione della struttura progrediva, egli volle provvedere personalmente alle decorazioni pittoriche sulla facciata della piccola chiesa, sulle vetrate che chiudono le bifore, sulle pareti dell’atrio e dell’oratorio, sui corridoi, sui soffitti delle stanze e persino sul legno scuro del pregevole letto nuziale.
Egli, conformemente all’immagine suggestiva che aveva riprodotto con il suo Castello, avrebbe certamente voluto popolare tutto il suo Borgo Medioevale di fantasmi, animando scene di vita dell’epoca. In alcune vecchie fotografie, difatti, si riesce a notare lo stesso Della Monica vestito di un semplice saio da monaco all’esterno della chiesa del Castello. Ogni dettaglio, ogni uomo, anche se stesso, sarebbe stato per lui una comparsa necessaria nella grande scenografia che era riuscito a concretizzare. Il tempo, tuttavia, non gli fu sufficiente: Gennaro Della Monica si spense nel 1917, ascoltando l’eco lontana e dolorosa della guerra.
Il vecchio Pittore con la barba ormai bianca e folta varcò per l’ultima volta la soglia del suo Castello, tra una folla di parenti, amici e concittadini, in un tramonto d’estate, uscendo così per sempre dal suo sogno romantico.
Dalla scomparsa del suo Autore, il Castello iniziò subito ad essere oggetto di racconti fiabeschi, miti e leggende non sempre accertate. Si racconta ancora oggi, ad esempio, della famosa profezia fatta all’Artista da una zingara di cui si era innamorato, in base alla quale egli sarebbe morto il giorno stesso in cui avesse terminato la costruzione del Castello, motivo per cui vennero sempre progettati nuovi piani e padiglioni. In questo modo, forse, si poteva dare una spiegazione, più o meno razionale, al perché la struttura dell’opera fosse stata concepita così asimmetricamente e priva di un preesistente filo conduttore unitario. Della Monica, però, scomparve senza poter eseguire la realizzazione e la decorazione dei nuovi ambienti già previsti dalla sua fantasia, a dispetto della funesta previsione dell’amata.
Un’altra leggenda che da decenni timidamente circola sul Castello muove i suoi passi dall’accennata presenza di reperti storici autentici incastrati nelle pareti e di raffigurazioni pittoriche e scultoree che, all’interno della struttura principale, rappresentano scene belliche, religiose e momenti delle guerre di crociata che furono condotte dai Papi e dai Sovrani europei fra il 1095 e il 1291.
L’intero Castello, in più punti, è ricco di affreschi, bassorilievi e figurazioni varie che immortalano quelle epoche e, talvolta, specifici episodi storici. Inoltre, in qualche settore della struttura, compaiono affreschi che mostrano singoli cavalieri medioevali. Esemplare è il dipinto a parete che è visibile al di sopra dell’arco che collega il giardino con l’ingresso di Viale Cavour. In molti, secondo la tradizione, hanno visto in quell’affresco la raffigurazione di un cavaliere del celebre Ordine del Tempio. Un templare. Ragione per la quale quell’arco è stato familiarmente denominato «arco del cavaliere». Secondo questa tradizione, dunque, questo Castello così ricco di immagini di cavalieri crociati e di templari non sarebbe solamente un inno al romanticismo neogotico ottocentesco, bensì sarebbe una sorta di componimento poetico realizzato in loro onore e, dietro la bella apparenza di un’estetica medioevale miniaturizzata, si celerebbe in realtà, magari in qualche sotterraneo inaccessibile, più di un segreto appartenente ai vecchi ordini cavallereschi dei quali, qualcuno dice, lo stesso Della Monica fu seguace clandestino.
Dopo la morte dell’Autore, comunque, il Consigliere Provinciale e storico dell’arte Vincenzo Bindi propose di trasferire la sede del museo cittadino dal Palazzo della Camera di Commercio in Corso San Giorgio al Castello Della Monica, ma l’idea non ebbe alcuna esecuzione.
E così, anno dopo anno, gli eredi del Costruttore continuarono a conservare gelosamente questo meraviglioso patrimonio, e lo fecero sino al 1978, quando il nipote di Gennaro, al fine di evitare divisioni dell’edificio che, frazionato tra i vari eredi non avrebbe potuto essere destinato ad un uso logico ed utile, decise di cedere il Castello al Comune di Teramo, d’intesa con l’allora Sindaco Di Paola, ricevendo in cambio alcuni terreni in località Piano della Lenta.
Ai fini dell’attuazione della permuta, si rese necessaria l’approvazione, nel 1976, della variante n°8 al P.R.G. del Comune di Teramo, la quale rese edificabile il terreno ceduto ai Della Monica, poiché era, in precedenza, soggetto a vincolo come zona sportiva e contestualmente introdusse un vincolo di inedificabilità nell’area circostante il Castello, precedentemente classificata come edificabile.
Sebbene però il Comune di Teramo avesse già la proprietà di tale edificio dal 1978, ne acquisì il possesso materiale solo nel 1996, tramite la consegna delle chiavi presso gli uffici municipali: il tutto corredato da una missiva che Gennaro Della Monica, nipote del più famoso Gennaro, Autore dell’opera, inviò al Sindaco in data 31 gennaio 1996.
Negli anni successivi al 1987, poi, l’allora Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali, per il tramite dell’allora Soprintendenza ai Beni A.A.A.S. di L’Aquila, pose il vincolo al Castello, ai sensi della legge 1 giugno 1939 n. 1089, all’epoca ancora vigente.