Il Caso/Gnoseologia del Caso
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IV.
Gnoseologia del Caso.
Perchè l’universo ci apparisse come del tutto libero dalla ombra del caso, il pensiero dovrebbe, partendo da un qualunque particolare X, poter giungere per interno movimento a qualunque altro particolare y o z ecc., il quale, appunto perchè generato dal pensiero, apparirebbe ad esso come necessario. Ma ciò è assolutamente impossibile perchè il pensiero non può generare da sè nessun particolare. Tutto quello che esso può fare è, partendo da più particolari assunti come dati, affermare sotto e oltre la loro diversità, squalificata come apparenza, la loro sostanziale identità. Pensare è nient’altro che identificare. Per il pensiero B appare necessario quando esso riesce a mostrare che B, che in apparenza sembra distinto da A, è, in fondo, nient’altro che A, sì che dato A è dato B, B essendo nient’altro che A.
Ma partire da A per arrivare a B in quanto almeno in apparenza distinto da A, questo è quello che il pensiero non può fare, perchè il pensiero non può generare da sè il molto nemmeno come pura apparenza. Il pensiero annulla le distinzioni nell’unità, non può generarle dall’unità. Le presuppone, le assume come date, ma per negarle fin dove gli è possibile. Il pensiero non è soddisfatto che dell’assoluto Uno. Ma arrivarci sarebbe per esso suicidarsi come pensiero, perchè è pensiero solo in quanto e fino a quando è affermazione dell’Uno attraverso il Molto negato, ma perciò stesso presupposto, come Molto.
Necessario appare il Molto quando in esso il Pensiero riesce a scorgere l’Uno: ma il Molto puro e l’Uno puro in quanto termini tra cui il pensiero si libra sono per esso, fino a che esso si libra fra loro, caso puro, contingenza assoluta, che c’è perchè c’è, di cui il Pensiero in quanto tale non può darsi nessuna spiegazione: spiegare, infatti, significa precisamente ridurre il Molto all’Uno, e quindi lo spiegare non ha presa sul Molto puro e sull’Uno puro che, come tali, sono inesplicabili.
La natura stessa del Pensiero d’essere mero riduttore del Molto all’Uno lo condanna a non poter liberare mai dalla macchia della contingenza le sue creazioni. Contingente il Molto, contingente l’Uno, e in ogni atto di riduzione del Molto all’Uno — nel che consiste il pensiero — è contingente per lo meno l’apparenza del Molto che mette in moto la macchina della riduzione del Molto all’Uno, cioè il pensiero. Di qui la radicale condanna da cui è colpita ogni costruzione sistematica dell’universo: perchè il Pensiero potesse edificare un sistema del Mondo dovrebbe poter dall’Uno discendere ai particolari, generarli dal suo proprio seno, e questo, come abbiamo visto, gli è assolutamente, per la sua stessa costituzione, vietato.
Perchè il Mondo apparisse sotto l’angolo dell’assoluta necessità, il Pensiero dovrebbe esser lui a generare il Vario. Ma il Pensiero è Pensiero appunto perchè esso è negatore del Vario e riduttore del Vario all’Uno.
Il Pensiero marcia in direzione diametralmente opposta al Reale. Esso risale la china che il Reale discende. Tanto di necessità esso vede nel Reale quanto di vario, molteplice, particolare, individuale, hic et nunc determinato, cioè di reale, esso nega e sopprime. Esso non può assimilarsi il Reale che a patto di ucciderlo in ciò che lo fa Reale. Il Reale è il cibo del pensiero: e ha la sorte d’ogni cibo, di essere annullato nella sua peculiarità e ridotto all’organismo cui fa da cibo. Appunto perciò il Reale in quanto tale non può non apparire al Pensiero come il non — necessario, il contingente, l’imprevedibile, ciò che c’è e poteva benissimo non esserci.
Il Reale è il farsi del Molto dall’Uno — il Pensare è disfare il Molto nell’Uno. Pensare non è fare: è dis-fare.