Il Baretti - Anno II, n. 8/Rupert Brooke
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Letteratura inglese
RUPERT BROOKE
«Scomparve — scrisse di Rupert Brooke Winston Churchill durante la guerra — gioioso, versatile, senza paura, modellato con classica simmetria d’anima e di corpo... La sua voce armoniosa fu soffocata d’un colpo; di essa non rimase che l’eco e la musica: ma essi non morranno».
Safe shall be my going. Secretly armed against all death’s endeavour; Safe though all safety’s lost; safe where men fall; And if these poor limbs die, safest of all.
Nei suoi versi c’è spesso una cerebralità evidente, una struttura raffinata, caratterizzata talora (nella prima produzione), da accenni che rivelano certo influsso francese alla Verlaine («I’d Watched the sorrow of the evening sky... »), accoppiato al culto, professato verso i vent’anni, della letteratura «ninetyish » — Pater, Wilde e Dowson. Di questo suo «decadentismo» si rise — e ne rise anche lui — ma un’ombra gli rimase; se per decadentismo almeno s’intende certa ricercata fusione dell’elemento romantico colla raffinata preziosità della cesellatura e del suono.
Ma accanto a tale ombra — che nei suoi componimenti posteriori s’attenua per una più fusa ricchezza — la vena spontanea, lirica, soverchia subito le impressioni di preziosità; è un Brooke di giovinezza, di entusiasmo, di sensibilità e di passione. Riso, pianto, amore, dolore, humour — desiderio: versi luminosi, sensibili, ora trionfanti di colore in sonetti illuminati come figure di messali — ora pacati in piane andature classicheggianti — ora brevi, spezzati, incalzanti, in canzoni improvvise zampillate dal più rosso cuore del poeta; come quell’indimenticabile Rima di Grantchester, cantata a gola piena in un’ora di nostalgia.
La mescolanza e la varietà degli elementi nell’arte del Brooke non tolgono l’equilibrio all’insieme, che rimane in prevalenza classico di linea e di tendenza. Audace finché si vuole, rimbaudiano anche, come nel criticato sonetto «A Channel Crossing», (una ragazzata per «épater le bourgeois»), l’educazione ricevuta, il culto dei modelli de! passato, gli concedono una linea che non di rado in certi sonetti come The Soldier ricorda il Keats più genuino. Curiosa quindi riesce l’apparente antipatia di Rupert per il cantore d’Endimione, che in una lettera scritta da Figi, nel Pacifico, dov’era andato sulle orme di Stevenson, definisce «sciropposo». * Sciropposo?» Meno agile, meno nervoso, meno moderno certo del biondo poeta di Rugby; che però non si rendeva conto di essergli assai vicino anche nelle sue audacie moderniste.
Come Keats, Rupert ha il culto della Bellezza in senso mistico con toni entusiastici. «Che cos’è il pessimismo? — scriveva da Rugby nel 1910 all’amico Keeling. «Io, per quel che mi riguarda...sento in me stesso un irrompente senso di antipessimismo. Il rimedio (per il pessimismo)... è il Misticismo, o la Vita, non so bene.
E spiega il suo concetto:
«Esso consiste nel considerare la gente e le cose per sè stesse... Sento lo straordinario valore e importanza di tutte le persone che incontro, e di quasi tutto ciò che vedo... M’aggiro per i luoghi, seggo in un treno, e vedo dovunque la gloria e la bellezza essenziale della gente che mi circonda. Posso osservare per esempio un sudicio mercante attempato per delle ore — e amare tutte le sudice rughe sudorose del suo mento, e ogni bottone della sua giacca piena di frittelle... Vi dico che un gottoso mercante di Birmingham è splendido, desiderabile, immortale..»
E poco oltre:
«Mezz’ora di vagabondaggio per una strada, un paese o una stazione ferroviaria rivelano tanta Bellezza che non è possibile non sentirsi irrompere nell’anima un travolgente senso di gioia...».
Rupert ama le cose con un fervore e una semplicità infantile. Il mondo è meraviglioso. Il sole, i profumi, le luci, i sentori, i campi ed il cielo sono affascinanti. Spicca dall’albero della vita il turgido frutto — e lo addenta ridendo, come un ragazzo, senza sensualità. Una delle sue poesie più tipiche — «The Great Lover» — parla di tutto ciò che egli ama:
«I bave been so great a lover: filled my days «So proudly with the Splendour of Love’s praise; e il lungo elenco di cose che segue rivela tutta una gamma di sensibilità: come una chitarra dalle mille corde, percosse tutte insieme ed ognuna vibrante d’una musica e d’una vita diversa.
Rupert ama
La rùvida crosta d’un pane amico — Cibi dai molti sapori — Arcobaleni — L’azzurro fumo amaro del legno — Gocce radiose di piova nella frescura dei fiori... — Le lisce fresche lenzuola che allontanano i pensieri — Il bacio maschio e ruvido delle coperte — Legni granulosi — Nuvole ammassate — La fredda bellezza d’una macchina — Il ristoro dell’acqua bollente — Pellicce al tatto — Il buon odore dei vecchi abiti.
Buche nel suolo — Voci cantanti — Dolore del corpo subito lenito... — Sabbie ferme — La fredda gravità del ferro — ... Il sonno — Luoghi elevati... — Querce — Bacchette scortecciate di fresco — Pozze d’acqua luminosa fra l’erba...
***
La sua vita fu chiara e cordiale. Nato a Rugby nel 1887 ebbe una fanciullezza felice, in ambiente schietto e studioso (suo padre era insegnante del luogo), fra i libri e i giochi atletici. Era entusiasta, esuberante, pieno di vita e di gaiezza; aveva un culto per gli amici, di cui si formò una cerchia elettissima.
Nel 1906 lasciò Rugby per Cambridge dove compì gli studi con frequenti intermezzi e scappate alla vicina «home» di Grantchester (« The old Vicarage»). Nel 1911 pubblicò i primi Poems, variamenti accolti dalla critica. Nello stesso anno viaggiò nel Continente — Francia, Germania e Italia - tornando in patria nell'ottobre. Dappertutto dove si recava scriveva agli amici lettere che accoppiano al calore e all’entusiasmo uno stile incisivo. Tornato dal viaggio continentale nel tardo autunno 1911, trova l'«Old Vicarage» un po' freddo; e scrive a un amico: «Il giardino è immensamente autunnale, triste, misterioso, angusto... Lungo i suoi sentieri mi sento come una mosca su una partitura della Quinta Sinfonia».
Nel maggio 1913 salpa per New-York, il Canada, Vancouver, San Francisco e il Pacifico, in un viaggio che doveva durare oltre un anno. E’ questa la parentesi dei Mari del Sud — Honolulu, Samoa, le isole Figi — a cui appartiene la sua più significativa produzione poetica, Retrospect, e The great Lover.
Fu una parentesi meravigliosa della sua vita. Le sue lettere rivelano quanto egli subisse il fascino delle isole profumate ed esotiche care allo Stevenson. In taluni luoghi — come a Tahiti — si fermò parecchi mesi. «L’Europa s'allontana da me in modo da far spavento» scriveva da Tahiti. «Ho trovato il più meraviglioso luogo del mondo per lavorare e per vivere: una spaziosa veranda su una cerula laguna — una banchina di legno su un'acqua chiara e profonda pei tuffi — e pesci colorati che ti nuotan fra le dita dei piedi... Barche e canoe, fiumi, pesca alla lenza e alla rete — e un cibo ideale: strana pescagione e legumi deliziosi...».
Il distacco da Tahiti per il ritorno fu una pena. «... Fu solo ieri... pensando che avevo lasciato per sempre dietro di me la Croce del Sud... che mi resi conto che m’allontanavo per sempre dalla delicatezza, dalla bellezza e dalla bontà di questa gente: dall’odor delle lagune, dallo scarlatto dei « flamboyants » tropicali, e dal bianco e dall’oro di altri fiori...; mi resi conto che tornavo verso l’America piena di rudezze, di cose repellenti, di gente brutta, di civiltà e di corruzione...».
Nel giugno 1914 era di ritorno in patria; e nell’autunno combatteva già in Belgio colle truppe inglesi. Tornato in Inghilterra agli inizi dei 1915, poco dopo veniva inviato nei Dardanelli col corpo di spedizione alleato. Morì davanti all’isola di Siro a bordo nella nave-ospedale francese « Duguay Trouin » di un colpo di sole preso a Porto Said: dolcemente, come un ragazzo che non s’accorga della fine, dopo aver composto gli ultimi pochi sonetti dove l’esuberanza della sua produzione anteriore si compone di una gravità quasi presaga della fine.
A Siro Rupert Brooke venne sepolto il 23 aprile, giorno di Shakespeare e di San Giorgio.
Andrea Damiano.