Il Baretti - Anno II, n. 4/Lettera sentimentale di Pilade

Alessandro Passerin D'Entrèves

Lettera sentimentale di Pilade ../Enrico Thovez ../Prebecquiana IncludiIntestazione 18 marzo 2020 100% Da definire

Enrico Thovez Prebecquiana

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Lettera sentimentale di Pilade.

Caro Oreste,

i familiari fantasmi, sono forse, a tentarmi? o una necessità sconosciuta o lo sgomento piuttosto, umano, della vita fuggente e del tempo disperso? Io Pilade per te, Oreste, non fui forse dapprima ne non un espediente o un pretesto: che, più che d’un pubblico, t’importava un filo seppur tenue di simpatia, materiata però e precisa. Ma fa poi che scopristi in me l’Amico, qualcosa di più che l’interlocutore obbligato, che il lettore tacito e attento, che il corrispondente segreto e fedele, le cose mutarono un poco; ed ora li sei andato facendo più discorsivo e facile, e tutto mi fa sperare che tu vada via via lasciando il tono della ribalta per quello dell’intima conversazione.

Se, come dici, il mio silenzio è tacita condizione fra noi, a tentarmi di romperlo saranno stati davvero i demoni. Ma rassicurati: che tosto saprò rientrarvi e per sempre. Nè d’altra parte, per la naturale impossibilità d’uscire da una cerchia di pensieri che considero per me solo importanti (ed è questa che mi persuade al silenzio) nulla troverai nel mio discorso che possa esser o parere un tentativo d'impormiti — che dico di stolto proselitismo.

Per me, può essere ch’io sia un mistico, come si dice, della pagina bianca; certo, intanto, sono un ozioso, che attende, forse, che il Signore lo allochi all’ultima ora per la sua vigna. Non ho abdicato, nè rinunziato, poiché ho fiducia in Dio, che è buono. Ma, libero e solo, sino ad oggi non ho conosciuto altra legge che non sia della mia volontà, esigente e mutevole. Neppure il silenzio, se ben guardi, è una legge, ma una necessità cui piego, docile, paziente e consenziente, il capo. Fui orgoglioso un tempo e certo peccai gravemente. Oro credo di non esserlo più. Oscurità profonda del cuore umano! Rammenti, Oreste, i sogni d’ allora? Come vasto, come aperto dinanzi a noi il mondo! Grandi azioni ci chiamavano, e una bella fiducia nelle imprese promesse. Ma l’ampiezza dell’orizzonte ci smarriva, e vanamente attendevamo che, sulla linea uguale, all’intorno, la terra emergesse. Oggi, tu dici, l’umore dei tempi ci penetra. Certo, l’inquietudine d’allora è venuta via via quietandosi in una lunga pazienza. Ma se su me stesso rifletto, Oreste, mi persuado facilmente che nulla, questa facile pazienza, è se non la vecchia connaturata pigrizia. Uguale, se non più grave di quello d’orgoglio, è il peccato di compiacenza, e porta con sè la sua pena. Troppo caro prezzo sarebbe pagare coll’irrigidimento la quiete raggiunta; a mezzo cammino imbrancar cogl’ignavi. Ah! se oncor ti riesce di evadere, Oreste, esci, fuggi all’aperto. Danza, mantieniti agile; guai se nell’immobilità comincia a stagnarti il sangue. Cambia figura piuttosto, secondo che dice Pascal: Changer de figure à cause de notre faiblesse. Ma se non ti mantieni svelto e leggero, ah! se ti chiudi nella stanza, vedi che ti intorpidisci, divieni obeso e pesante, e vanamente dalla tua finestra verrà il richiamo del cielo azzurro e della nuova primavera.

I libri! Sempre l’erudizione m’è pesata, ma di fronte ad essa provavo un tempo un senso di sbigottimento misto d’ammirazione e di vaga ripulsa. Oggi, di pochi libri e di poche letture mi appago; al frutto dell’albero della scienza non cercherò più di gustare. A te, Oreste, posso narrarlo. Dapprincipio non mi volevo dar pace d’esser pessimo lettore; tant'è, che in ogni periodo inciampavo; spesso, a mezza pagina, m’accorgevo di esser rimasto colla mente alle prime parole; mi costringeva a ricominciare da capo capitoli intieri. Questa lentezza, quest’apparente difficoltà, non che rassegnarmici, sono giunto oggi ad accettarla come essenziale e necessaria. Poche cose vere oramai bastano alla mia economia; che dico? una sola. E quella tale che volta a volta mi riempie di sè come stretta a me la tengo, come mi vi affido... Disamore, rinunzia? o non forse un inizio di saggezza, un addio per sempre a romantiche effusioni?

Dopo tutto, a me, tu lo sai, di letteratura poco importa. D’una morale? M’hanno detto che altri, oggi, forse molti, sentono il bisogno di questo terreno solido; che, pellegrini essi pure, si son messi in cammino. Ma ancora non li conosco, e i miei pochi amici veri, quelli, il cui tono non offende, la cui certezza se raggiunta non appare insolente, sono fuori del tempo. Non sono tuttavia cosi lontani come si vorrebbe credere. Furono detti, con una parola ambigua, moralisti. Un termine comune li ricongiunge a taluni moderni continuatori: ma la differenza è nel fine perseguito. Questi si son dati al culte du moi; quelli lo dissero, il moi, halssable. Me se ti fai più da presso, vedi come, contemperata di rigida austerità giansenista la ricerca, il moi costituiva già tutto il loro mondo. Con Dio, s’intende. Conoscere la miseria dell’uomo per render più grande la parte di Dio; conoscere la forza dell’uomo per trovare la via della liberazione: ecco l’uguale e dispari assunto; «L’homme disse l'auvenargues, est maintenant en disgrâce chez tous ceux qui pensent, et c’est à qui e chargera le plus de vices; mais peut-être cest-il sur le point de se reveler et de se faire restituer toutes ses vertus... et bien au delà». Ma Nietzsche, in questo au delà, vanamente ha cercato di vivere; la gioia vi è troppo forte perché in petto umano possa durare. Oreste, Oreste, come uscire da questo vicolo cieco? Un desiderio di fiducioso abbandono ci spinge, una chimera di cose durevoli e definitive, che poi l’inquietudine ti rende insopportabili non appena fan mostra d’esser stabilite. Le «nouritures terrestres»? Vanamente ho cercato di cedere, fervido, alle loro lusinghe. Prima d’averlo tentato, l’amarezza avevo del gioco. Bisogna dunque, secondo la grande parola, imparare ad amare. Ma se per amare le creature, bisognerebbe che nulla si frapponesse alla felice immediatezza del tuo senso; ed ecco invece che il moi gonfia, cresce, si allarga a dismisura e riempie ogni cosa di si, sino a toglierti la vista del mondo: ed esso non lo puoi amare, poiché è haissable. Dov'è mai il documento che lo giustifica, la carta che lo autorizza ad andare per le vie terrene? Ah! aggettivarsi una volta, dimenticare una volta sè stesso, riuscire a parlare in terza persona! Rammenta. Oreste, quando ci scrivevamo, il tono astratto delle mie lettere, e come personale sempre il mio discorso. Signore, chi mi libererà da me stesso?

So bene che per i moralisti questo vista della natura corrotta, sola, contava, chi sol col rientrare, en se faisant une extrème violence in sè stessa, l’anima può imparar l’umiltà. Oggi l’umiltà stessa non è sovente che un passeggero fervore. Ma tu ben sai che quando il fervore ricade rimane l’amara tristezza; è, fatto cauto oramai, cerco di star contento di un onesto commercio. I pochi libri che ancor leggo sono vagliati con cura. Nessuna intemperenza voglio che vi sia; ma un giusto senso dei limiti, una modestia sostenuta e cosciente. Ci deve guidare un'intelligente differenza verso i sentimenti troppo vaghi e ingiustificabili, ma ad un tempo verso le cose troppo chiare e troppo facilmente spiegate. Se la lettura di tali che furono i nostri maestri prediletti mi riesce oggi. Oreste, impossibile, la ragione n'è questa soltanto: che un mondo tutto risolto mi è inaccettabile, e che un'opera in cui una cruda luce penetri i più remoti angoli spazzando ogni ombra, ogni mistero, mi par voglia orgogliosamente obliare ciò che di ogni libro deve per me essere la parte essenziale: quella che abbiamo convenuto di chiamare, la parte di Dio.

Ci siamo domandati a lungo. Oreste rammenta come questa parte abbia a farsi senza che s'aprono le dighe all’onda romantica. Se ancor oggi ciò ti preoccupi non sò; per me. il sentimento che la possibilità di un giusto adeguamento esiste, sta divenendo certezza e coincide con la riscoperta, salda realtà, di una cultura cristiana. Quanto questa via ci ricolleghi alla nostra terra ed alla nostra gente, lascio che tu me lo dica; ma sa bene dove avrei da rivolgermi se mi vedessi impegnato ad addurre i miei testi.

Ovunque saremo per volgere i nostri passi, Oreste questa della moralità è una domanda che ancora m’assilla. Mi riconosco dunque cattolico, se la questione delle opere e dei meriti conserva ancor oggi per me tutta la sua gravezza, nonostante ogni eresia. E, se ti piace, riconoscerò qui ancora, un accento — ma di tutti il più disconosciuto — d’Italia, nostra antica terra.

Vedi il Conquistatore, come sicuro il suo passo quando scende dall’espresso internazionale, per le nostre vie; il suo volto esprime la serena fiducia e la tranquilla indifferenza di chi possiede realtà semplici e chiare; poggiano i suoi piedi sulla terra, questa piccola terra attorno alla quale i mari son poco più d’uno stagno; irraggia intorno a sè veramente. — come un’aureola — «la santé de sa noble machine». Dio è con lui; se sorgesse un Hegel della sua gente direbbe che lo Spirito Universale ha eletto — oggi — il tuo popolo. Rammenti. Oreste, le nostre impressioni quando ci avveniva di sentirlo di fronte, questo altro e nuovo mondo: viaggiatori in kniker-bockers giù per la penisola — films di Los Angeles al cinematografo, avventurose, a lieto fine, moralif questo senso indefinibile che ti dà lo spettacolo di una bella e perfetta salute, che farà (a Jean Cadeau!) del marinaio sulla banchina del porto, della giocatrice di tennis a Houlgate, domani, un «souvenir de tristesse»?

Molti oggi abbracciano, entusiasti, la morale nuova; vogliono provarli anch'essi a marciar disinvolti. Dicono che grandi cose si preparano. Quanto a noi così poco chiediamo, che forse potremo, quando il tempo verrà, essere spettatori disinteressati.

Aspetto le tue lettere, Oreste. Esse mi comprovano la mia esistenza, e avviene talvolta che ne abbia bisogno.

Pilade.