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18 il baretti


Lettera sentimentale di Pilade.

Caro Oreste,

i familiari fantasmi, sono forse, a tentarmi? o una necessità sconosciuta o lo sgomento piuttosto, umano, della vita fuggente e del tempo disperso? Io Pilade per te, Oreste, non fui forse dapprima ne non un espediente o un pretesto: che, più che d’un pubblico, t’importava un filo seppur tenue di simpatia, materiata però e precisa. Ma fa poi che scopristi in me l’Amico, qualcosa di più che l’interlocutore obbligato, che il lettore tacito e attento, che il corrispondente segreto e fedele, le cose mutarono un poco; ed ora li sei andato facendo più discorsivo e facile, e tutto mi fa sperare che tu vada via via lasciando il tono della ribalta per quello dell’intima conversazione.

Se, come dici, il mio silenzio è tacita condizione fra noi, a tentarmi di romperlo saranno stati davvero i demoni. Ma rassicurati: che tosto saprò rientrarvi e per sempre. Nè d’altra parte, per la naturale impossibilità d’uscire da una cerchia di pensieri che considero per me solo importanti (ed è questa che mi persuade al silenzio) nulla troverai nel mio discorso che possa esser o parere un tentativo d'impormiti — che dico di stolto proselitismo.

Per me, può essere ch’io sia un mistico, come si dice, della pagina bianca; certo, intanto, sono un ozioso, che attende, forse, che il Signore lo allochi all’ultima ora per la sua vigna. Non ho abdicato, nè rinunziato, poiché ho fiducia in Dio, che è buono. Ma, libero e solo, sino ad oggi non ho conosciuto altra legge che non sia della mia volontà, esigente e mutevole. Neppure il silenzio, se ben guardi, è una legge, ma una necessità cui piego, docile, paziente e consenziente, il capo. Fui orgoglioso un tempo e certo peccai gravemente. Oro credo di non esserlo più. Oscurità profonda del cuore umano! Rammenti, Oreste, i sogni d’ allora? Come vasto, come aperto dinanzi a noi il mondo! Grandi azioni ci chiamavano, e una bella fiducia nelle imprese promesse. Ma l’ampiezza dell’orizzonte ci smarriva, e vanamente attendevamo che, sulla linea uguale, all’intorno, la terra emergesse. Oggi, tu dici, l’umore dei tempi ci penetra. Certo, l’inquietudine d’allora è venuta via via quietandosi in una lunga pazienza. Ma se su me stesso rifletto, Oreste, mi persuado facilmente che nulla, questa facile pazienza, è se non la vecchia connaturata pigrizia. Uguale, se non più grave di quello d’orgoglio, è il peccato di compiacenza, e porta con sè la sua pena. Troppo caro prezzo sarebbe pagare coll’irrigidimento la quiete raggiunta; a mezzo cammino imbrancar cogl’ignavi. Ah! se oncor ti riesce di evadere, Oreste, esci, fuggi all’aperto. Danza, mantieniti agile; guai se nell’immobilità comincia a stagnarti il sangue. Cambia figura piuttosto, secondo che dice Pascal: Changer de figure à cause de notre faiblesse. Ma se non ti mantieni svelto e leggero, ah! se ti chiudi nella stanza, vedi che ti intorpidisci, divieni obeso e pesante, e vanamente dalla tua finestra verrà il richiamo del cielo azzurro e della nuova primavera.

I libri! Sempre l’erudizione m’è pesata, ma di fronte ad essa provavo un tempo un senso di sbigottimento misto d’ammirazione e di vaga ripulsa. Oggi, di pochi libri e di poche letture mi appago; al frutto dell’albero della scienza non cercherò più di gustare. A te, Oreste, posso narrarlo. Dapprincipio non mi volevo dar pace d’esser pessimo lettore; tant'è, che in ogni periodo inciampavo; spesso, a mezza pagina, m’accorgevo di esser rimasto colla mente alle prime parole; mi costringeva a ricominciare da capo capitoli intieri. Questa lentezza, quest’apparente difficoltà, non che rassegnarmici, sono giunto oggi ad accettarla come essenziale e necessaria. Poche cose vere oramai bastano alla mia economia; che dico? una sola. E quella tale che volta a volta mi riempie di sè come stretta a me la tengo, come mi vi affido... Disamore, rinunzia? o non forse un inizio di saggezza, un addio per sempre a romantiche effusioni?

Dopo tutto, a me, tu lo sai, di letteratura poco importa. D’una morale? M’hanno detto che altri, oggi, forse molti, sentono il bisogno di questo terreno solido; che, pellegrini essi pure, si son messi in cammino. Ma ancora non li conosco, e i miei pochi amici veri, quelli, il cui tono non offende, la cui certezza se raggiunta non appare insolente, sono fuori del tempo. Non sono tuttavia cosi lontani come si vorrebbe credere. Furono detti, con una parola ambigua, moralisti. Un termine comune li ricongiunge a taluni moderni continuatori: ma la differenza è nel fine perseguito. Questi si son dati al culte du moi; quelli lo dissero, il moi, halssable. Me se ti fai più da presso, vedi come, contemperata di rigida austerità giansenista la ricerca, il moi costituiva già tutto il loro mondo. Con Dio, s’intende. Conoscere la miseria dell’uomo per render più grande la parte di Dio; conoscere la forza dell’uomo per trovare la via della liberazione: ecco l’uguale e dispari assunto; «L’homme disse l'auvenargues, est maintenant en disgrâce chez tous ceux qui pensent, et c’est à qui e chargera le plus de vices; mais peut-être cest-il sur le point de se reveler et de se faire restituer toutes ses vertus... et bien au delà». Ma Nietzsche, in questo au delà, vanamente ha cercato di vivere; la gioia vi è troppo forte perché in petto umano possa durare. Oreste, Oreste, come uscire da questo vicolo cieco? Un desiderio di fiducioso abbandono ci spinge, una chimera di cose durevoli e definitive, che poi l’inquietudine ti rende insopportabili non appena fan mostra d’esser stabilite. Le «nouritures terrestres»? Vanamente ho cercato di cedere, fervido, alle loro lusinghe. Prima d’averlo tentato, l’amarezza avevo del gioco. Bisogna dunque, secondo la grande parola, imparare ad amare. Ma se per amare le creature, bisognerebbe che nulla si frapponesse alla felice immediatezza del tuo senso; ed ecco invece che il moi gonfia, cresce, si allarga a dismisura e riempie ogni cosa di si, sino a toglierti la vista del mondo: ed esso non lo puoi amare, poiché è haissable. Dov'è mai il documento che lo giustifica, la carta che lo autorizza ad andare per le vie terrene? Ah! aggettivarsi una volta, dimenticare una volta sè stesso, riuscire a parlare in terza persona! Rammenta. Oreste, quando ci scrivevamo, il tono astratto delle mie lettere, e come personale sempre il mio discorso. Signore, chi mi libererà da me stesso?

So bene che per i moralisti questo vista della natura corrotta, sola, contava, chi sol col rientrare, en se faisant une extrème violence in sè stessa, l’anima può imparar l’umiltà. Oggi l’umiltà stessa non è sovente che un passeggero fervore. Ma tu ben sai che quando il fervore ricade rimane l’amara tristezza; è, fatto cauto oramai, cerco di star contento di un onesto commercio. I pochi libri che ancor leggo sono vagliati con cura. Nessuna intemperenza voglio che vi sia; ma un giusto senso dei limiti, una modestia sostenuta e cosciente. Ci deve guidare un'intelligente differenza verso i sentimenti troppo vaghi e ingiustificabili, ma ad un tempo verso le cose troppo chiare e troppo facilmente spiegate. Se la lettura di tali che furono i nostri maestri prediletti mi riesce oggi. Oreste, impossibile, la ragione n'è questa soltanto: che un mondo tutto risolto mi è inaccettabile, e che un'opera in cui una cruda luce penetri i più remoti angoli spazzando ogni ombra, ogni mistero, mi par voglia orgogliosamente obliare ciò che di ogni libro deve per me essere la parte essenziale: quella che abbiamo convenuto di chiamare, la parte di Dio.

Ci siamo domandati a lungo. Oreste rammenta come questa parte abbia a farsi senza che s'aprono le dighe all’onda romantica. Se ancor oggi ciò ti preoccupi non sò; per me. il sentimento che la possibilità di un giusto adeguamento esiste, sta divenendo certezza e coincide con la riscoperta, salda realtà, di una cultura cristiana. Quanto questa via ci ricolleghi alla nostra terra ed alla nostra gente, lascio che tu me lo dica; ma sa bene dove avrei da rivolgermi se mi vedessi impegnato ad addurre i miei testi.

Ovunque saremo per volgere i nostri passi, Oreste questa della moralità è una domanda che ancora m’assilla. Mi riconosco dunque cattolico, se la questione delle opere e dei meriti conserva ancor oggi per me tutta la sua gravezza, nonostante ogni eresia. E, se ti piace, riconoscerò qui ancora, un accento — ma di tutti il più disconosciuto — d’Italia, nostra antica terra.

Vedi il Conquistatore, come sicuro il suo passo quando scende dall’espresso internazionale, per le nostre vie; il suo volto esprime la serena fiducia e la tranquilla indifferenza di chi possiede realtà semplici e chiare; poggiano i suoi piedi sulla terra, questa piccola terra attorno alla quale i mari son poco più d’uno stagno; irraggia intorno a sè veramente. — come un’aureola — «la santé de sa noble machine». Dio è con lui; se sorgesse un Hegel della sua gente direbbe che lo Spirito Universale ha eletto — oggi — il tuo popolo. Rammenti. Oreste, le nostre impressioni quando ci avveniva di sentirlo di fronte, questo altro e nuovo mondo: viaggiatori in kniker-bockers giù per la penisola — films di Los Angeles al cinematografo, avventurose, a lieto fine, moralif questo senso indefinibile che ti dà lo spettacolo di una bella e perfetta salute, che farà (a Jean Cadeau!) del marinaio sulla banchina del porto, della giocatrice di tennis a Houlgate, domani, un «souvenir de tristesse»?

Molti oggi abbracciano, entusiasti, la morale nuova; vogliono provarli anch'essi a marciar disinvolti. Dicono che grandi cose si preparano. Quanto a noi così poco chiediamo, che forse potremo, quando il tempo verrà, essere spettatori disinteressati.

Aspetto le tue lettere, Oreste. Esse mi comprovano la mia esistenza, e avviene talvolta che ne abbia bisogno.

Pilade.


PREBECQUIANA

D’ailleurs on a tort de croire qu'il > a, en littérature, des révélateurs apportant tout d’un coup dans leur écritoir une nouvelle école. Les transformations d‘une littérature marchent au contraire avec un lenteur sage; la châine est longue et inioterrompue; il y a toujours une foule d’écrivains transitoires, et si plus tard des lacunes existent, si certains auteurs apparaissent comme des créateurs indépendants, c’est que leus sinés sont tombés dans l’oubil ou qu’on ne songe pas à réublir tous les fils qui conduisent fatalement de l‘ancienne production à la production nouvelle.

ZOLA - Documents literaires (Chateaubriand).

Pochi o nessuno saranno contrari all’opinione esposta da Zola, nei suoi scritti teoretici, fino alla noia, che il romanticismo sorse in Francia per reazione al classicismo. Zola vi vede specialmente la reazione alla fredda retorica classicista che provocò l’esaltazione della passione per parte dei romantici; la reazione alla schiavitù delle regole, che provocò la scapigliatura romantica. Egli fa notare che vi fu anche una reazione contro la falsità del classicismo, che, a suo tempo, non era falso, essendo «l’image exacte de la société contemporaine» e ora non è più; e difatti, i romantici gridarono più volte nei loro manifesti che volevano portare sulla scena la vita tutta intéra, con i suoi pianti e con le sue risa. Ma sta il fatto che questo è tutto quello che fecero per avvicinare la letteratura alla vita; perchè alla retorica del classicismo vi sostituirono un’altra, la loro, che pertanto non era meno retorica della prima: fra le due reazioni, quella contro la falsità e quella contro la freddezza, quest’ultima soffocò quell’altra e ciò si spiega:

Non si può dire che una delle caratteristiche del classicismo non sia stato anche il lirismo; ma era una lirica soffocata, costretta da regole in una cerchia molto limitata, di modo che questa lirica non potè spiegarsi completamente e quindi non era ancor giunto il tempo della reazione contro il lirismo, perchè questo doveva ancora crescere e svilupparsi, anzi era impedito nello sviluppo da quelle regole, che non gli permettevano neppur di respirare. Per cui il primo grido dei romantici fu: Aria aria! Vogliamo la libertà! Abbasso gli oppressori! Abbasso le regole! Evviva l’anarchia!

Zola si meraviglia che, dopo un periodo lirico, ne segua un altro egualmente impregnato di retorica. «Malgrè tout son tapage». egli dice, il dramma romantico «reste l’enfant rèvoltè de la tragèdie»; «comme elle, il avait ses régles, ses poncifs, ses effets, des effets plus irritants encore, parce qu’ils etaient plus faux». E difatti il romanticismo in Francia non era la reazione contro la falsità classicista, ma contro la schiavitù delle regole, che impedivano al lirismo libero sviluppo e facevano si che il periodo lirico non avesse modo naturale e non fosse ancora in grado di provocare la reazione. Zola, vissuto in una epoca dove questa reazione stava appunto compicndosi e essendone lui stesso uno dei più attivi promotori, attribuisce al romanticismo solo l’ufficio di uno spazzino: spazzare il terreno dalle immondizie classiciste, perchè più tardi potesse entrare trionfalmente il naturalismo: e però si lamenta tanto delle immondizie lasciate dal romanticismo.

In Germania, da dove venne questa smania di pulizia, il romanticismo fu soprattutto il risveglio del sentimento nazionale, fu una reazione contro il giogo dello spirito latino, dapprima per parte di Lessing che scosse la cieca fiducia dei tedeschi nelle tragedie classiche; poi per parte di Herder, che esortò il suo popolo a esser se stessi, a essere tedeschi e fece loro intendere che anche loro potevano produrre qualche cosa di proprio, d’indipendente e con ciò diede un’ulteriore spinta al risveglio nazionale; e il romanticismo in Germania divenne principalmente un movimento nazionale. Fu opera nazionale quella di abbandonare l'antichità, in cui ebbero tanta parte i greci e i latini, mentre i germani non esistevano ancora per la storia, per rivolgersi al medioevo dove si scorge dappertutto l'impronta germanica, con il suo culto per la forza fisica, il suo rispetto della donna che poi degenerò addirittura in servaggio, la sua esagerazione. del sentimento dcll’onore ecc., tutte cose di cui vediamo le traode già nella Germania di Tacito.

La vita medioevale porta più che qualunque altra epoca le caratteristiche della razza germanica sicché per il rinascimento del sentimento nazionale tedesco non si poteva scegliere un periodo migliore. Non così per la Francia, dove il momento nazionale dovette perdere tutta la sua importanza. Per i francesi non era il medioevo il periodo più glorioso della storia; là non si trattava di scuotere il giogo straniero; non poteva essere una reazione contro la schiavitù spirituale imposta da un altro popolo. Al contrario, accogliendo il medioevo, vi si accolse un elemento snazionalizzante. E’ questa la ragione per cui in Germania, essendo il romanticismo principalmente una reazione contro lo straniero e contro il classicismo quale rappresentante dello straniero, non ci fu la preoccupazione della forma, mentre invece in Francia, dove mancava quasi del tutto la forma nazionale, esso si rivolse in special modo contro la ristrettezza delle regole classiciste e ebbe per conseguenza la lue lirica del 1830.

E ora che il lirismo aveva raggiunto il suo diapason, poteva subentrare la reazione, una corrente che fosse diametralmente opposta alla lirica cioè epica: il naturalismo.

In tutti i paesi dell'Europa vi fu in letteratura, allo scorcio del settecento e al principio dell'ottocento, una tendenza verso una visione più realistica: ma come in Francia s'erano manifestati più che altrove i furori lirici, è naturale che la reazione naturalista si sia sviluppata pienamente solo coli. Negli altri paesi quei primi tentativi non ebbero grandi conseguenze. E quando anche in quei paesi, si potè constatare l'esistenza del movimento naturalista, esso non era già un ulteriore'sviluppo di quei primi tentativi, ma il riflesso della letteratura francese. Così Carlo Immermann segna in Germania quella prima tendenza al realismo, ma non si può dire che il naturalismo di Gerardo Hauptmann derivi direttamente da Immermann. Esso è piuttosto importazione francese, con qualche influenza nordica. Queste influenze però egli le ha accolte e elaborate in modo di farne opera originalissima; in lui non si trova il naturalismo internazionale di Zola: i suoi personaggi sono dei veri tedeschi, e più ancora: essi sono solo degli slesiani. Mentre nel naturalismo francese le figure analizzate potrebbero essere di qualunque paese. Hauptmann ha reso originali i suoi lavori creando dei tipi, più che nazionali, regionali.

Lo stesso si dica dell’Italia, dove il naturalismo del Verga non è certo derivato da quella visione più realistica che si trova nelle teorie del Tommaseo, nei quadri l’assieme delle Baruffe Chiozzote goldoniane e in tanti altri; il naturalismo di Verga proviene da Zola. E anche lui, come Hauptmann, ha resa grande e originale la sua opera descrivendo la popolazione di una regione limitata; anzi, forse i suoi siciliani hanno un carattere anche più regionale dei popolani di Hauptmann.

(Non conoscendo l’inglese, non ho avuto occasione di farmi neppure un’idea delle relazioni che passano tra il realismo di Dickens e quello della George Eliot. Anche riguardo al naturalismo russo, conosco bensi, attraverso traduzioni, parecchie opere di Dostojewski, Gorki, Andreief e Cecow, ma non so ancora quali siano i loro precedenti. Quanto alle altre nazioni poi, come gli spagnoli o i portoghesi, ne sono del tutto all’oscuro).

Il genere letterario più epico è il racconto, la novella, il romanzo; quello meno epico è la poesia lirica, che già per l’attributo «lirica» si rivela come l’antitesi dell’ «epica». In mezzo fra questi sta la drammatica, che può avere delle parti puramente epiche, dell' altre puramente liriche. Essendo il metodo naturalista un movimento di carattere essenzialmente epico, era naturale ch’esso producesse dapprima lo sviluppo del romanzo, e poi appena quello del teatro. E infatti mentre il romanzo nel 1856 dà già la Madame Bovary, ch’è l’espressione fra le più avanzate del romanzo naturalista, il teatro non conta ancora nulla che gli possa stare, a pari in questo movimento, chè certo il teatro d’Augier, per quanto sia molto realistico in confronto alle opere teatrali contemporanee, non lo è quanto la Madame Bovary. In ultima analisi il suo non è un teatro naturalista; le sue commedie non sono che commedie di costumi, «comedies de moeurs», con scopi didascalici morali.

Zola fa, in un articolo inserito nel volume Le roman experimental, una breve storia del teatro francese dell’ottocento. Scribe mette, per reazione all’Immobilità classica, un gran movimento nelle sue commedie. Egli fece dell’arte drammatica un’arte da prestigiatore. Dal momento che si oppose l’azione ai racconti e che quella divenne fin più importante degli stessi personaggi, si cadde nella commedia d’intrigo, con i suoi colpi di scena, le sue illogicità psicologiche e i suoi scioglimenti inaspettati. Scribe ha esagerato il nuovo principio detrazione considerandola come in cosa principale.

Sardou ha allargato il suo quadro, ma non pertanto è l’erede di Scribe è il rappresentante dell’azione a teatro. Riporto di nuovo alcune frasi di Zola: «Sa grande qualité est le mouvement; il n’a pas la vie, il a le mouvement, un mouvement endiablé qui emporte les personnages et qui arrive parfois à faire illusion sur eux; on les croirait vivants, ils ne sont que bien montès, allant et venant comme des piéces mecaniques parfaites ». Con tutto ciò Zola trova che anche lui giovò alla causa «lei naturalismo. «Il est un de ces ouvriers dont j’ai parlé, qui sont de leur temps, qui travaillent suivant leur force à une formule qu’ils n’ont pas eu le géme d’apporter tout entière. Sa parte personnelle est l’exactitu de de la mise en scène, la representaiion matèriche la plus exacte possible de l’existence de tous les jours. S’il triche en emplissant les cadres, il n’en a pas moins les cadres euxmemes, et c’est deja quelque chose. Pour moi sa raison d’étre est surtout là. Il est venu a son heure, il a donne au publique le goùt de la vie et des tableaux taillés dans la réalité».

Venendo a parlare di Dumas figlio, secondo Zola, egli rese dei grandi servigi alla causa del naturalismo. Poco mancò, dice, che non trovasse la formola completa e la realizzasse. «On lui doit les études physiologiques du théàtre: lui seul a osé jusqu’ici montrer le sexe dans la jeune Bile et la bète dans l’homme». Ma il bisogno di predicare e quello di far valere il suo spirito ha guastato ogni cosa. «L’esprit a gàté M. Dumas. Un homme de géme n’est pas spirituel, et il fallait un homme de génie pour fixer magistralement la formule naturaliste. E poi «il n’hesite jamais entre la réalité et une exigence scénique; il tord le coup à la réalité. Sa théorie est que peu importe le vrai, pourvu qu’on soit logique. Une pièce devient un problème a resoudre; on part d’un point, il faut arriver à un autre point, sans que le public se fache». Insomma ebbe il torto di esser un ciarlatano spiritoso e paradossale c di avere la pretesa di far della morale sulla scena. Il male è che sono proprio queste le sue caratteristiche principali.

Anche a Emile Augier nocquero le sue intenzioni educative. Nella prefazione alle Lionnes Pauvres p. e. egli stesso confessa d’aver scritta quella commedia per biasimare certe donne viziose che si fanno mantenere i loro lussi «la un amante; in quella del Fils de Giboyer, di aver voluto fare una censura dell’ipocrisia degli ambienti clericali ecc. Forse sono state queste sue intenzioni di buon pedagogo a impedirgli di liberarsi sufficientemente dalle convenzioni. Per quanto egli abbia saputo liberarsene tanto da rendere certi ambienti con molta verità «l’osservazione, non raggiunse quel grado di perfezione, che allora era già stato raggiunto, nel romanzo; chè non gli mancano certi personaggi convenzionali, come la candida e ricca verginella che vuol esser sposata per i suoi quattrini, o il Riovane con degli scrupoli esagerati per il suo onore; c’è molto spesso il trionfo del buono e il castigo del malvagio; gran parte dei suoi personaggi sono o tutti buoni o tutti cattivi e cose simili: per farla breve, egli non sa percepire e rendere in modo sufficientemente veritiero i fatti che vuol analizzare. Per trovare in Francia un lavoro teatrale che soddisfi pienamente in questo riguardo, ci vuole una lunga e dolorosa attesa, attraverso gran numero di tentativi non riusciti, vale a dire bisogna aspettare fino al 1882.

Enrico Elia.


Tra i giovani triestini che si avvicinarono prima della guerra alla letteratura italiana Enrico Elia fu uno dei più originali. Nel volume degli Scritti, pubblicati due anni or sono a cura della sorella ci sono due novelle fortemente significative. La sua vita artistica è stata interrotta dalla guerra, dalla morte in campo. Umberto Saba ci ha mandato da Trieste i documenti più importanti della formazione letteraria di questo giovinetto eccezionale. A noi sembra bello che egli partecipi con questi frammenti di uno studio su Becque ricco di strana maturità, alla vita del Baretti.

NOVITÀ:


GIUSEPPE PREZZOLINI

GIOVANNI PAPINI


Sì spedisce franco di porto a chi manda vaglia di lire 6 all’editore Gobetti - Torino.