Ifigenia in Aulide (Euripide - Romagnoli)/Terzo stasimo
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coro
Strofe
Sul flauto libio, sopra la cetera
dei balli amica, sui cavi biodi
contesti nella sampogna, il cantico
di nozze espresse dolci melodi
quando le Pierïe Dive, dai riccioli
belli, al festino dei Numi vennero,
battendo in danza dell’aureo sandalo
la lieve pesta,
quel dí che a nozze moveva Pèleo,
Tètide e il germine d’Èaco esaltando nei loro cantici,
su l’alpe dei Centauri,
nella Pelia foresta.
E il dardanio fanciullo,
di Giove al talamo dolce trastullo,
il frigio Ganimède,
dal fondo grembo all’anfore
d’oro, attingeva il nèttare.
E, su la sabbia candida
volgendo in giro il piede,
danzaron l’imenèo
le cinquanta figliuole di Nerèo.
Antistrofe
Cinte le chiome di verdi foglie,
stringendo in pugno tronchi di pino,
venne l’equestre stuol dei Centauri,
di Bacco ai calici colmi, al festino
dei Numi. Ed alte grida levarono:
«Figlio di Nèreo, Chiron, veridico
vate dei cantici febèi, pronostica
che un tuo figliuolo
sarà purissima luce pei Tèssali,
che coi Mirmídoni guerrieri, armati di scudo e lancia,
a saccheggiar di Priamo
giunge il celebre suolo,
cinto dell’armi d’oro
d’Efesto delle mani lavoro.
A lei la genitrice
ne farà dono, Tétide
ond’ebbe il vital gèrmine.
Celebreranno i Dèmoni,
quell’imenèo felice
del figliuol di Pelèo,
della marina figlia di Nerèo».
Epodo
A te la chioma ricciola bella
gli Achivi, o vergine, ghirlanderanno,
come a vitella
variopinta, che giunga intatta
dai suoi rocciosi montani spechi,
a te la tenera gola di sangue cospargeranno.
Né fra sampogne tu, né fra gli echi
di pastorali canti crescesti.
Per qualche eletto giovine d’Inaco,
te crebbe, pura
sposa, materna gelosa cura.
Qual forza avranno piú
verecondia e virtú,
quando trionfa l’empio,
né gara è fra i mortali, perché s’eviti
lo sdegno dei Celesti?