Idilli (Teocrito - Pagnini)/XXIII

XXIII

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Teocrito - Idilli (III secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Luca Antonio Pagnini
XXIII
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L’INNAMORATO

OPPURE LO SVENTURATO IN AMORE

Idillio XXIII

Cert’uomo innamorato oltr’uso amava
     Inumano garzon di buon aspetto,
     Ma di troppo dissimili costumi.
     Egli abborrìa l’amante, e nulla avea
     Di mansueto, nè sapea qual Nume
     Si fosse Amor, nè quai tien archi in mano,
     Nè quai vibra a’ garzoni acuti dardi.
     Truce era ognor ne’ motti, e negl’incontri.
     Nè ristoro alle fiamme era, o del labbro
     Un brillar dolce, o un lampeggiar sereno
     D’occhi, o la rosea guancia, o le parole,
     Ovvero i baci, onde s’allevia amore.
     Ma qual fera selvaggia, che s’adombra
     De’ cacciator, tal egli in ver l’amante
     Al tutto si mostrava. Avea ritrose
     Le labbra, il guardo bieco e dispettoso.
     Per la bile d’aspetto si cangiava,
     Smarriva di color, tutto era orgoglio.
     Ma qual s’ei ne venisse ognor più bello,
     Più di sè stesso inuggiolìa l’amante.
     Or questi infine all’amorose ambasce
     Non più reggendo a lagrimar portossi
     Sotto l’infausto albergo. E pria la soglia
     Baciò, poi sciolse alle parole il corso:
O garzon fiero ed aspro, alunno vero
     Di cruda lionessa, o cor di pietra,
     Troppo indegno d’amor. Ecco gli estremi
     Don ch’io vengo a recarti, il mio capestro.
     Non più farò dispetto all’ire tue:

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     Men vo là dove mi dannasti, e dove
     È quel comune agli amator rimedio,
     Siccome è fama, la gran via di Lete.
     Ma quand’io tutto ancor me l’assorbissi,
     Non però fora il mio desir estinto.
     Or lascio alle tue porte un lungo addio.
     Veggio ben l’avvenir. Vaga è la rosa,
     E il tempo l’avvizzisce; la viola
     Di primavera è bella, e presto invecchia.
     Candido è il giglio, e al suo cader marcisce.
     Bianca è la neve, e dopo il gel si squaglia.
     Vezzosa ancora è giovenil bellezza;
     Ma ha corta vita. Verrà ben quel tempo,
     Quando amerai tu pur, quando arso il core
     Verserai pianti amari. Ah! questo almeno,
     Fanciul, non mi negar favore estremo.
     Quando all’uscir di casa mi vedrai
     Sull’antiporto appeso, ah! non fuggire
     Questo meschin, ma ti sofferma, e piangi
     Un breve istante, e sovra me versate
     Due lagrimette, scioglimi dal laccio:
     Per entro alle tue vesti mi rinvolgi,
     E copri, e dona a me l’ultimo bacio.
     A me spento non nieghino tal grazia
     Le labbra tue. Non dubitar che in vita
     Non verrò, se a baciarmi ancor ti pieghi.
     Scava una tomba, che il mio amor ricopra:
     E nel partir dimmi tre volte: Amico,
     Ora ten giaci: e questo pur, se il vuoi:
     Perduto ho il caro amico. E scrivi ancora
     Il motto, ch’io ti lascio espresso in versi.
     „Questo infelice, o passeggiero, è stato
     „da Amore ucciso. Tu sofferma il passo,
     „E di’ pietoso: questi amò un ingrato.
     Ciò detto, prende uno scannel di pietra,
     E accosto al muro pianta il crudo sasso

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     Infino a mezzo l’uscio; in alto lega
     Sottil cordino, e ne fa laccio al collo.
     Fa la predella ruzzolar lontano
     Di sotto a’ piedi; appeso resta, e muore.
     Ben tosto il giovinetto l’uscio aperse,
     E vide nel cortile appeso il corpo.
     Nè al fresco caso intenerissi o pianse.
     Ma strofinate al morto le sue vesti
     Alla palestra corse, indi lontane
     A ritrovar n’andò gli amati bagni.
     Capitò pur dov’era il nume offeso.
     Perocchè in cima all’acque Amor si stava
     Su piedestal di pietra. Il simulacro
     Tombolò giuso, e il reo fanciullo ancise.
     Porporeggiava il sangue, e su per l’acque
     La voce del garzon saliva a nuoto:
Gioite, amanti: l’odiatore è spento.
     Ami chiunque è amato: Amor punisce.