I tre tiranni/Prologo
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PROLOGO
Mercurio.
Giove, che vive e regna suso in cielo,
come voi qui (la sua mercede) in terra,
m’avea mandato qui per i lamenti
ch’escono ognor qua giù da le gran mandre
dei filosofi nudi e dei poeti;
i quai, già incominciati, or più che mai
spessi e piatosi al ciel passando a schiere,
ne turban si che m’avean commesso,
tutti a una voce, ch’io venga a pregarvi
e persuader che, per nostra quiete,
per vostra gloria e per piata, vogliate
dar fine a tai miserie ond’essi ogni ora,
discacciati e mendici e disperati,
minaccian sotterrare i nostri onori.
E però quegli onde ciascuno ha vita
aria voluto ch’io vi protestassi,
quando non provediate ai lor bisogni,
che, senza alcun rispetto, lasceria
cadervi a dosso lo sdegno Aretino:
a cui die forza fulminare i nomi
nel modo ch’egli suol talor per ira
fulminar l’alte torri. Ma, trovato
certi ch’ora qui voglion recitare
una comedia per vostro diporto,
per non mescolar cose altro che allegre,
lascerò questo ufficio. E perché un certo
parasito, ch’avea da parlar prima,
sorbito ha Bacco in modo che sta in dubbio
s’egli è nel nostro mondo o in quel d’altrui,
hanno voluto che da parte loro
io venga a dirvi quel che intenderete,
se m’ascoltate alquanto. Alti e cortesi
spettator degni, una comedia nova
(nova, dico, non mai più vista o letta
o in alcun degli antichi ritrovata)
vi apporto, piena di giuochi e d’amore:
il cui tittol, per oggi, sarà in vece
di quel che s’avria a dirvi in argumento
de l’istoria, perché voglio esser breve.
u Son tre superbi e potenti signori
c’han de la vita nostra in mano il freno
e la governan come piace a loro.
E perché spesso, anzi il più de le volte,
non giustamente in noi s’incrudeliscono,
onde ci vien disnor, disagi e morti,
l’autor di questa, che vorria mostrarvi
la natura di loro, i loro effetti,
li finge in tre persone che di pari
contendeno ad un fine; e cosi volse
chiamarla I tre tiranni. E questi sono,
come vedrete, Amor, Fortuna ed Oro.
Ma, perché ben sappiate la sua mente,
gli è piaciuto scostarsi cosi alquanto
dal modo e da l’usanze degli antichi:
che, dove han sempre usato essi che il caso
e tutto quel che pongono in comedie
possa essere in un tempo o in un di solo,
questi ora vuol che la presente scena,
sicondo che richiede la sua favola,
servi a più giorni e notti in fine a uno anno.
E, benché si potesse aperto dire
che gli è cosi piaciuto, ha pur in vero
qualche ragione in sé: perché, si come
si vive or con la vita del di d’oggi
e non di quegli che fùrno già un tempo,
e son vari i costumi, pare onesto
con questi le poesie, le prose, i versi,
li stili e l’uso ancor del recitare,
sicondo i tempi, si mutino e innovino.
Né vi offendano 1 nomi inusitati,
perché, per adattargli a le persone
e loro uffici, gli ha tratti dal greco:
e questo dice dei latini antichi
essere usanza; e in ciò gli ha seguitati.
Io vi direi più cose da sua parte;
ma il tempo passa. Questa qui è Bologna.
Chi ’1 crederà ch’oggi in si picciol luogo
si sia ristretta? E pur è con effetto:
e in modo tal che si superba e grande
forse non fu mai Troia, Atene o Roma.
Qui sta Crisaulo nobile; e qui Lucia;
qua Girifalco; e di là Pilastrino.
Eccol che viene in qua. Se sta in cervello,
potrete intender da lui meglio il tutto.
Siate sempre felici.