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PROLOGO

Mercurio.

     Giove, che vive e regna suso in cielo,
come voi qui (la sua mercede) in terra,
m’avea mandato qui per i lamenti
ch’escono ognor qua giù da le gran mandre
dei filosofi nudi e dei poeti;
i quai, già incominciati, or più che mai
spessi e piatosi al ciel passando a schiere,
ne turban si che m’avean commesso,
tutti a una voce, ch’io venga a pregarvi
e persuader che, per nostra quiete,
per vostra gloria e per piata, vogliate
dar fine a tai miserie ond’essi ogni ora,
discacciati e mendici e disperati,
minaccian sotterrare i nostri onori.
E però quegli onde ciascuno ha vita
aria voluto ch’io vi protestassi,
quando non provediate ai lor bisogni,
che, senza alcun rispetto, lasceria
cadervi a dosso lo sdegno Aretino:
a cui die forza fulminare i nomi
nel modo ch’egli suol talor per ira
fulminar l’alte torri. Ma, trovato
certi ch’ora qui voglion recitare
una comedia per vostro diporto,
per non mescolar cose altro che allegre,
lascerò questo ufficio. E perché un certo