I rossi e i neri/Primo volume/XV
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XV.
Qui si racconta come il padre Bonaventura sapesse sfruttare le ribalderie de’ suoi simili.
Intanto il vecchio Vitali, la mercè degli accorgimenti del medico Mattei, andava risanando ad occhi veggenti. Egli aveva l’aspetto più florido, e la tosse cominciava a recargli meno molestia; per le quali cose è agevole argomentare che l’animo, fedele termometro della sanità del corpo, gli si era sollevato di molto.
Battista, il maggiordomo, era poi entrato cosiffattamente nelle grazie del padrone, che questi gli aveva già fatto un bel regalo, e gli aveva promesso di largheggiare di più, appena si fosse alzato dal letto.
Aloise andava tutte le notti a casa del nonno, per accompagnare il Mattei. A quest’ultimo era doluto un poco di dover andare così di soppiatto a visitare il banchiere, sapendo egli benissimo che la consuetudine comandava un certo riguardo tra colleghi, e non permetteva che uno vogasse all’altro sul remo. Ma qui, più che altrove, era necessario opporre astuzia ad astuzia, e non si trattava punto di uno dei soliti casi, nei quali il timore di offendere un pregiato collega debba legar le braccia di un medico e vietargli l’uso del suo nobile ministero.
E poi, Aloise lo aveva tanto pregato! Il Mattei era uno spirito generoso, il quale già si mostrava degnissimo di quella fede universale che gli è venuta di poi, e di quella fama scientifica che egli ha di presente grandissima, in Genova e fuori. Però, alla guisa di tutti i nobili intelletti, egli cedeva al fascino di quell’animo gentile che era Aloise di Montalto; laonde per lui, più che medico, era amico, e il corso di questa narrazione lo dimostrerà anche più largamente ai lettori.
L’infermo era contento, e gli si leggeva negli occhi come gli andasse a’ versi la cura del suo notturno Esculapio. Egli s’inteneriva perfino col nipote, e quasi piangeva al ricordo di Eugenia, la sua poco amata figliuola, la nobilissima madre di Aloise, mostrandosi pentito di non essere andato a darle l’ultimo bacio sul suo letto di morte.
E vedete un po’ come entrasse la gratitudine nel cuore di un egoista! Egli era tornato, in un suo discorso con Aloise, sull’argomento dei quattrini, esortando il nipote ad accettare qualche regaluccio.
— Tu avrai bisogno di un bel cavallo; — gli aveva egli detto. — Alla tua età e col nome che porti, non s’ha da guardar tanto nel sottile. S’ha da spendere con riserbo, ma non s’ha per contro da dimenticare la dignità del casato.
— No, caro nonno, — aveva risposto il giovine; — vi ho già detto che non voglio nulla, perchè non ho bisogno di nulla. In quanto a cavalli, ci ho Antar, il mio sauro, balzano di tre, che non cambierei con nessun altro di maggior prezzo. —
E Aloise tenne fermo sul niego. Era una buona azione quella che egli faceva in casa del nonno, e la sua buona azione doveva esser pura d’ogni speranza, e perfino d’ogni sospetto di ricompensa.
Il dottor Mattei non voleva nulla neppur egli, ed aveva detto al banchiere, il quale avrebbe voluto almeno pagargli le visite: — No, signor Vitali. Se io fossi il suo medico, piglierei cinque lire per visita come un altro, e non un quattrino di meno. Ma sono in cambio un medico di straforo, e qui non fatico nemmeno per la gloria. —
Non c’era verso di far mutar pensiero a quei due. Il vecchio banchiere si trovava così di sbalzo in mezzo a due galantuomini, e gli pareva di sognare.
Ma gli altri non dovevano star molto a tornare alla riscossa. Lo stesso giorno che avveniva il dialogo tra il Collini e il padre Bonaventura, sul terrazzo di quest’ultimo, ambedue si recarono in casa Vitali.
Il vecchio li accolse asciuttamente, siccome da parecchi giorni aveva uso di fare. Ascoltò i ragionamenti e le raccomandazioni del medico, le chiacchiere del Gallegos, e respirò soltanto appena vide che si congedavano.
Bonaventura vedeva tutto, notava tutto, epperò aveva notati anche i modi asciutti del vecchio banchiere; ma fece le viste di non badarvi, contento di saperne la cagione e di poter rimediare con un colpo maestro. Giunto nell’anticamera, pigliò il maggiordomo in disparte, e scambiò con lui queste parole:
— Battista, vi aspetto a casa mia, e subito.
— Per far che?
— Ho da parlarvi di cose gravi. —
Battista era uomo che capiva il latino; però, sebbene intendesse dove l’altro voleva andare a battere, stette saldo e rispose:
— O perchè non può Ella dirmele qui? Io ho da assistere il padrone, e non posso venire da Lei.
— Non potete? — disse ironicamente il padre Bonaventura, aggrottando le sopracciglia.
— Non posso, — ripetè Battista, rizzando il capo e facendo il muso lungo una spanna.
— Ah non volete venire? Badate, messer Battista! Ho da informarvi di certe cartelle di rendita che sono state vendute per venticinque mila lire; le quali venticinque mila lire sono state affidate, perchè fruttino, al banco Cardi Salati e compagni. O che? Non mi fate più cipiglio? La superbia è svampata tutta quanta? —
Altro che superbia svampata, come diceva padre Bonaventura! La faccia di Battista, a quelle parole, era diventata di tutti a colori, o temperanza di colori, dal bianco al pavonazzo. Egli balbettò alcune parole scomposte, e si lasciò cadere su d’una sedia.
— Non temete, Battista! — gli disse il padre Bonaventura con accento più rimesso e mettendogli una mano sulla spalla. — Se voi obbedirete, io sarò muto come una tomba. Venite dunque, io vado ad attendervi. —
Mezz’ora dopo. Battista, pallido e reggendosi a mala pena sulle gambe, entrava nello studio del padre Bonaventura, camera malinconica, coperta tutta intorno di scansie zeppe di libri, e senz’altro ornamento tranne un gran crocifisso che stava a piombo sulla scranna del gesuita, e che noi portiamo opinione avrebbe fatto assai meglio a cascargli addosso, in cambio di starsene appiccato alla parete.
— Battista, — gli disse il padre Bonaventura, alzando il capo dalla scrivania, e assumendo un’aria tra inquisitoria e patema, — io sono molto scontento dei fatti vostri.
— Signore!... — balbettò il maggiordomo.
— Voi tradite il vostro padrone: — proseguì il gesuita. — Sì, voi; non istate a farmi quelli occhiacci stralunati. Io lo so di buon luogo. Voi date il vostro padrone in balìa dei suoi nemici.
— E quali nemici può avere il mio padrone? — si provò a chiedere il maggiordomo.
— Meno chiacchiere! Voi lo sapete meglio di me. Il marchesino di Montalto è tornato in casa di suo nonno, e voi lo avete aiutato a ciò. E ditemi ora: quanto v’ha egli promesso di farvi lasciare, sul testamento del vecchio?
— Signor Bonaventura, — rispose Battista, appigliandosi a queste ultime parole, — io non so che cosa Ella voglia dire....
— Badate, badate! Io so che ricevete tutte le notti il Montalto; e quando ve lo dico io....
— Non sa nulla del medico! — pensò in cuor suo il maggiordomo; — costui tira ad indovinare, ed io non sarò così bietolone da lasciarmele cavare di bocca. —
Fatta questa preparazione mentale, Battista si sentì più animo a rispondere:
— Non è vero! —
Ma il padre Bonaventura aveva meditata la sua progressione oratoria, e la dimenticanza del nome del medico non era che un artifizio retorico.
— Ah, non è vero? E come va dunque che egli ci si trova, e lo accompagna sempre il medico Mattei? Come va che voi andate a comprare altri medicamenti, secondo le ricette del vostro medico clandestino? Sareste per avventura sonnambulo, da non ricordarvi più di giorno quello che fate di notte tempo? —
Il maggiordomo non seppe più oltre schermirsi, e rimase muto, in quella che Bonaventura proseguiva la sua perorazione in questo modo:
— Voi siete su d’una mala strada, Battista. Vi mettete a tenere il sacco all’erede, prima che sia morto il nonno; al quale frattanto si abbrevia la vita con quelle medicine che non ardiscono mostrarsi alla luce del sole. Se fossero tali da risanare l’infermo, il vostro Montalto e il suo complice non si nasconderebbero nelle ombre della notte, e voi non vi fareste a mentire, a negar quello che io so, senza bisogno che lo confermiate voi.
— Orbene, — disse il maggiordomo, che non vedeva più scampo, — poichè Vossignoria lo sa, non c’è più ragione che io m’ostini a negarlo. Ma posso giurarle che io mi sono piegato per obbedienza al signor Vitali, e con idea di far bene. Il signor Aloise è un gentiluomo; il dottor Mattei è un medico molto stimato, ed io non posso credere che abbiano perversi disegni. Essi alla perfine non vorranno andar mica in galera!...
— Ah! ci andrete voi, messer Battista, se a me salterà il grillo di parlare delle vostre prodezze. Ricordatevi quello che io v’ho accennato testè nell’anticamera del signor Vitali, e che v’ha tirato qui tutto mogio e tremante. Dove avete rubato il denaro che sta a frutto per voi nel banco Cardi Salati?...
— Sono i miei risparmi; — rispose il maggiordomo turbato, che non si studiava nemmeno più di negare i fatti, tanta appariva la certezza del suo inquisitore.
— Ah, i vostri risparmi! E quando mai, in venti anni di servizio, con moglie e figli alle costole, si possono risparmiare venticinquemila lire? Voi avete quarantasei anni; siete maggiordomo da otto anni, e prima eravate un semplice valletto. Dove l’avete guadagnato quel gruzzolo? Probabilmente lo scrigno di casa Anselmi, donde vi hanno scacciato, senza farvi peggio (che l’avrebbero largamente potuto), ne saprà qualche cosa. Anche certa argenteria, mancata quindici anni or sono in casa Priamar, se potesse parlare ne direbbe di belle sul conto vostro; e finalmente uno studio accurato sui conti di casa del signor Vitali, che andate derubando a man salva da otto anni, metterebbe il suggello alla vostra probità esemplare. Orbene, messer Battista, osate dire ancora che sono i vostri risparmi? —
Ad ogni nuova ribalderia appostagli da quel giudice severo del padre Bonaventura, il disgraziato impallidiva sempre più; perchè le erano tutte autentiche, e meritavano di essere bollate davvero. Ma donde aveva potuto risaperle, il padre Bonaventura, tutte queste prodezze, che egli, il reo, credeva morte e sepolte da un pezzo? Certo egli era un negromante, che se la intendeva con gli spiriti maligni. Però la testa gli girava come un arcolaio; sentiva alle tempie il sangue picchiar nelle arterie; la camera gli si allungava stranamente davanti agli occhi; la persona del suo inquisitore si rimpiccioliva, in quella che la voce di lui gli suonava cupa e minacciosa come rombo di temporale in lontananza.
L’interrogazione beffarda, con cui il padre Bonaventura chiuse il discorso, comandava una risposta sollecita, e Battista dovette alzare il capo, mostrando una faccia così livida che mai la somigliante non fu veduta davanti ad una Corte d’Assise. Lo sciagurato cadde ginocchioni e, giungendo le mani in atto supplichevole, gridò:
— Signore, ho moglie e quattro figli! Per carità non mi rovini!...
— Sì, — continuò l’altro, per dargli il colpo di grazia, — avete una moglie che va attorno, vestita di seta e di velluto. In casa vostra si fa scialo d’ogni ben di Dio. Vostra figlia, la maggiore, ne fa di tutti i colori, sotto quello di trovare un marito. Ecco i vostri guai, le vostre disgrazie! E per sovramercato, ci avete venticinque mila lire da mettere al dodici per cento, presso gli usurai che ne cavano il cinquanta. Una entrata sicura di tremila lire all’anno.... eh, non c’è male! Senza contare quello che guadagnate onestamente, e quello che pensate di arraffare ancora.... Perchè voi, signor Battista, non siete uomo da volervi fermare a mezza strada; non è egli vero?
— Signor Bonaventura, per carità.... per tutto quello che ha di più sacro in questo mondo, non mi rovini! Sono padre di famiglia.... Le dirò tutto.... Le racconterò tutto quello che desidera sapere da me....
— Che cosa volete narrarmi che io non sappia a menadito? — ribattè il padre Bonaventura. — Ma via, raccontate pure; dalla vostra schiettezza argomenterò se meritate che io vi usi misericordia.
— Oh, non dubiti, Vossignoria! — gridò il maggiordomo. — Non dimenticherò una parola. Il signor Vitali fu quegli che mi mandò a cercare il nipote, ed io l’ho obbedito. Saranno adesso venti giorni da quella notte che il marchese di Montalto è venuto in casa, e s’è rappattumato col nonno. La notte appresso tornò, insieme col medico Mattei, il quale ha esaminato l’infermo e la cura del signor Collini. Il signor Giovanni, non so perchè, non aveva più fede in quest’ultimo.
— Ah, ah! — esclamò il padre Bonaventura. — E che cosa gli hanno detto quei bravi signorini?
— Che la cura era sbagliata. Anzi, a dirla schietta, il signor Aloise pareva che sospettasse della onestà del medico Collini, come ho potuto argomentare da certe sue parole. Insomma, che le dirò? hanno ordinato, lì su due piedi, una cura diversa.
— Lo so, lo so. Ma come hanno potuto venirne a capo, se l’infermo continuava a bere della solita pozione?
— Oh, questo si fece per darla ad intendere. Il medico Mattei ha levato l’acònito dalla emulsione del Frank. Io seguitavo a comperarne, giusta la ricetta del signor Collini, ma la gettavo via subito, mettendo nella boccia quell’altra più semplice, o più innocente, come la chiamava il dottor Mattei che l’aveva ordinata. Questo, come le ho detto, era un artifizio perchè durasse l’inganno.
— Ma qui non è tutto, certamente! — esclamò il padre Bonaventura, piantando gli occhi addosso alla sua vittima, come se volesse divorarsela.
— Sì, c’è il rimanente. Hanno levato il signor Giovanni dalla dieta, raccomandando che fosse nutrito di cibi succosi, dandogli anche a bere del vino con infusione di china. Ed ecco in qual modo lo hanno sollevato dalla sua fiacchezza.
— Volete dire che lo hanno tirato più presso alla sepoltura, — interruppe il gesuita.
— Questo poi non lo so; non avrei mai potuto immaginarlo; — rispose il maggiordomo, facendosi incontro alla ipocrisia del padre Bonaventura. — Anch’io me ne stavo all’apparenza.
— E l’apparenza inganna! — soggiunse il gesuita. — Voi per esempio, messer Battista, ne siete la prova lampante. Chi al vedervi, non vi direbbe un onest’uomo? Battista chinò il capo e non rispose nulla.
— Ma via, a tutto c’è rimedio. Avete confessato il mal fatto; ed io voglio usarvi misericordia, se mi promettete di attenervi ai miei comandi.
— Son pronto a tutto! — rispose umilmente Battista.
— Orbene, aspettatemi un po’. — E così dicendo il padre Bonaventura si alzò, e corso all’uscio, disparve, lasciando il povero maggiordomo pauroso ed incerto in mezzo alla stanza.
Il dottor Collini stava in quell’altra camera dove il padre Bonaventura era andato a cercarlo, e tenendosi presso all’uscio aveva origliato tutto quel dialogo. Però egli non ebbe mestieri di molte spiegazioni del maestro, per dirgli con accento di sicurezza:
— Non dubitate, padre mio; ho già rimediato a tutto, purchè quest’uomo voglia servirci.
— In quanto a ciò, ve ne sto io mallevadore. Venite dunque. Ed ambedue entrarono nello studio, dove ebbero col maggiordomo del signor Vitali una conversazione edificante, la quale i nostri lettori avranno soltanto ad indovinare, da quello che ne avvenne di poi.