I racconti della Bibliotechina Aurea Illustrata/Un dramma nel deserto

Un dramma nel deserto

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Sulla Costa d'Oro Lo schiavo della Somalia (storia vera)

UN DRAMMA NEL DESERTO


Il vecchio capitano Legrand aveva interrotto la sua passeggiata abituale che si limitava dalla murata di poppa all'albero maestro, e dopo d'aver accesa per la terza volta la sua monumentale pipa di porcellana fiamminga, s'era appoggiato al bastingaggio di babordo e indicandomi la costa, mi aveva detto con un certo tono pieno di mistero:

– Ecco là... guardate quel capo dalla punta biancastra... che notte, figliuolo mio!...

Io mi ero pure fermato, guardando il vecchio comandante, i cui lineamenti angolosi e assai abbronzati, dimostravano in quel momento una profonda emozione.

La nostra nave, reduce dai mari dell'Africa del sud, passava in quel momento, spinta da una leggera brezza di ponente, a circa tre miglia da quell'arida costa che fiancheggia il deserto di Sahara occidentale e che dai confini della Senegambia si estende fino all'Impero del Marocco.

Una costa veramente selvaggia, senza città, senza borgate, senza rifugi, cosparsa solamente di dune sabbiose e fronteggiata da banchi pericolosissimi, contro i quali si frangono, col rumore del tuono, le larghe ondate dell'Atlantico centrale.

Il capitano Legrand, un bel tipo di marsigliese, che navigava da quarant'anni, dopo alcuni istanti di silenzio, aveva ripreso, percuotendo furiosamente il bordo colla mano chiusa:

– È proprio là... dinanzi a quel capo, che hanno chiamato Bianco, che quei dannati ci hanno assaliti e spazzati via! Ah!... Se quella notte avessi avuto un paio di cannoni, avrei purgato il deserto da quelle canaglie!...

– Scusate, capitano – diss'io. – Di chi intendete parlare?... Io non ho capito ancora nulla.

Il capitano Legrand mi guardò come se fosse stupito che io non lo avessi ancora compreso, quindi mi disse:

– Ah!... È vero... voi quella notte non eravate con noi. Una vera fortuna, giovanotto, perché a quest'ora non sareste qui ad ascoltarmi. Sono sfuggito io solo dalle mani di quei pirati del deserto. Poveri compagni!... Chissà ora dove saranno!... Forse in qualche lontana regione dell'Africa centrale, se non saranno stati uccisi dai patimenti o dal bastone dei mercanti di schiavi.

– Capitano, – diss'io, – non avreste alcuna difficoltà a raccontarmi quell'istoria? Io la ignoro ancora, eppure m'interessa.

Il marsigliese gettò in aria alcuni buffi di fumo, mi prese sotto il braccio e mi condusse sul cassero dove era stata spiegata una tenda per riparare i timonieri dagli ardentissimi raggi del sole africano.

Si fece portare una bottiglia di birra, l'ultima che ancora possedeva e anche la più cattiva, ne tracannò un bicchiere facendo una smorfia, quindi riprese:

– L'istoria che sto per raccontarvi, rimonta a cinque anni fa, eppure, quantunque sia trascorso così lungo tempo, mi pare che sia avvenuta ieri.

«In quel tempo io comandavo un piccolo bastimento di cento tonnellate, affidatomi da un armatore di Marsiglia, e trafficavo lungo le coste del Senegal, vendendo ai negri anelli di rame dorato, pallottole e perle di vetro, vecchi fucili e cento altre cianfrusaglie facendo lauti guadagni. Avevo preso con me sette marinai, tutti marsigliesi ed un mastro, un pezzo d'uomo che faceva paura solamente a guardarlo e che possedeva una tale forza d'accoppare un bue con un solo pugno.

«Povero Mahot! La sua forza fenomenale doveva riuscirgli fatale, perché doveva essere la prima vittima di quei bricconi del deserto.

«Avevamo fatto ottimi affari nelle borgate senegalesi e, spacciato l'intero nostro carico, ci eravamo messi alla vela per raggiungere lo stretto di Gibilterra e rinnovare in qualche città della Spagna la nostra paccottiglia.

«Dapprima la navigazione era stata felicissima, quantunque il nostro piccolo legno fosse stato non poco tribolato dalle ondate dell'Atlantico, poi giunti in questi paraggi, fummo presi da una di quelle calme che sono così comuni nelle zone calde.

«La nostra nave si era fermata come se fosse stata incatenata da qualche mostro sottomarino. Era molto se il flusso imprimeva una velocità d'un paio di miglia ogni ventiquattro ore.

«Dinanzi a noi si alzava, a meno di due miglia, quel capo che scorgete laggiù e che si chiama Bianco, mettendoci indosso non poche preoccupazioni, perché pareva che il flusso ci spingesse sempre più in quella direzione.

«Ci trovavamo in piena calma da sessanta ore, quando una sera vedemmo dei punti neri staccarsi dalla costa e dirigersi lentamente verso di noi.

«Mahot, il mio mastro, che li aveva scorti pel primo, era venuto ad avvertirmi.

«"Capitano" mi aveva detto, "si direbbe che delle scialuppe cerchino di abbordarci."

«La cosa mi pareva però talmente assurda, che non vi feci caso. Io sapevo che su questa costa non vi erano abitanti e tanto meno scialuppe.

«È raro vedere qualche beduino spingersi fra le rocce col suo cammello. Quei pericolosi abitanti del deserto non hanno mai amato il mare, quindi non mi credevo in dovere di prestar fede alle parole del mio bravo marinaio.

«Poco dopo però Mahot tornava nella mia cabina, dicendomi:

«"Capitano, non mi sono ingannato; delle scialuppe si accostano a noi".

«Mahot non era cieco, anzi aveva certi occhi da sfidare un cannocchiale. Balzai dal mio lettuccio e salii prontamente in coperta.

«La luna, che si era allora levata, illuminando superbamente l'oceano, permetteva di scorgere benissimo la costa africana e anche il capo Bianco.

«Il mio mastro non si era ingannato.

«Quattro scialuppe avevano lasciata la spiaggia e si dirigevano precisamente verso di noi.

«A prima vista, avevo supposto che si trattasse di marinai naufragati su questa costa inospitale e salvatisi su quelle barche. Il mio marinaio ancora una volta mi disingannò.

«"No, capitano" mi aveva detto. "Quegli uomini sono arabi del deserto e hanno anche delle armi. Non vedeste i loro mantelli bianchi, e scintillare ai raggi della luna delle canne di fucili?"

«"Forse verranno a proporci degli scambi" risposi io. "Abbiamo ancora una cassa di cianfrusaglie e la cederemo per alcuni montoni e del sale."

«Mahot non mi aveva risposto. Vidi però che non era affatto tranquillo.

«Un quarto d'ora dopo una di quelle scialuppe ci abbordava sotto la poppa, mentre le altre tre fingevano di continuare la loro corsa verso il largo.

«La barca che ci aveva accostati era montata da sette arabi del deserto neri come tizzoni, magri agili e nervosi, ed erano armati di lunghi fucili a pietra come usano ancora i nomadi del Sahara e di coltellacci un po' ricurvi chiamati yatagan.

«Uno di costoro salì la scala di corda che pendeva dal cassero e si issò fino sulla murata dicendomi:

«"La salute sia con te".

«"Cosa desideri?" gli chiesi, mentre Mahot svegliati i marinai s'era armato d'una sbarra di ferro, non avendo noi a bordo più alcuna arma da fuoco.

«"Siamo venuti a offrirti del pesce" mi rispose l'arabo. "Vuoi comperarlo? Ci darai in cambio del tabacco e della polvere da sparo."

«L'offerta mi parve tanto naturale, da allontanare da me ogni sospetto, quindi accettai senz'altro la proposta malgrado i gesti poco rassicuranti di Mahot.

«L'arabo ridiscese nella scialuppa, quindi risalì portando una cesta contenente delle superbe orate che parevano prese appena allora.

«Gli diedi in cambio una libbra di tabacco e una cinquantina di cariche di polvere, quindi lo congedai.

«La scialuppa stava per ripartire, quando l'arabo mi chiamò.

«"Prendete" disse gettandomi un cestello formato di foglie di palma. "Sono datteri eccellenti."

«Ciò detto la scialuppa si allontanò in direzione del capo Bianco mentre le altre tre continuavano ad avanzare nell'Atlantico. Forse andavano a pescare presso alcuni banchi sabbiosi che si trovavano molto al largo.

«"Cosa ne dici, Mahot, delle tue paure" chiesi al mio sospettoso marinaio. "Questi arabi del deserto sono più gentili dei senegalesi non ostante il loro aspetto brigantesco."

«Il mio marinaio crollò la testa senza dire nulla. Certamente non era ancora convinto e pur troppo quel brav'uomo la vedeva più lunga di me.

«Se avessi badato ai suoi sospetti, la catastrofe che doveva colpirci più tardi, sarebbe stata forse evitata.

«Perdurando la calma, imbrogliammo le vele e ci preparammo la cena.

«Le orate venduteci dagli arabi erano veramente superbe e noi tutti, che da due settimane non avevamo inghiottito un sol pezzetto di carne fresca, desideravamo ardentemente di mangiarle.

«Furono subito arrostite e divorate, quindi io divisi fra i mie uomini i datteri regalatemi dall'arabo.

«Non erano trascorse due ore quando vidi accostarmisi Mahot, pallido, trasfigurato. Colle mani si stringeva il petto come se avesse voluto soffocare degli atroci dolori.

«"Capitano" mi disse, con voce rotta. "Gli arabi ci hanno avvelenati."

«Guardai il marinaio con spavento. Anch'io da alcuni minuti provavo degli acuti dolori e sentivo gl'intestini a rivoltarmisi, mentre mi pareva che un fuoco mi ardesse nel petto.

«"Che sia vero, Mahot?" chiesi.

«"Sì, capitano, quei cani hanno avvelenati i pesci ed i datteri. Guardate: tutti i nostri marinai si contorcono come serpenti."

«Era vero: i miei uomini si rotolavano pel ponte mandando gemiti soffocati, come se tutti fossero stati colti dal mal di mare.

«Mi sentii gelare il sangue nelle vene e rizzarmisi i capelli. Ormai non vi era alcun dubbio: quei miserabili ci avevano avvelenati per impadronirsi poi della mia nave senza dover impegnare un combattimento.

«Mentre io aiutato da Mahot, cercavo di far coraggio ai marinai somministrando a loro degli emetici, udimmo una violentissima scarica e delle palle passarono fischiando sopra la nostra nave, troncando alcune corde della vela di trinchetto.

«"Capitano, gli arabi!" gridò Mahot.

«Cercai di sollevarmi per impugnar qualche arma; invece le forze mi tradirono e caddi in mezzo ai miei marinai. Dolori intollerabili mi straziavano le viscere.

«"Capitano, compagni, alle armi!" gridava ancora Mahot. "Ci abbordano."

«Nessuno di noi si mosse; non potevamo alzare nemmeno un braccio.

«Intanto i colpi di fucile si succedevano con maggior frequenza e udivamo anche le urla selvagge degli arabi.

«Ad un tratto vidi alcuni uomini varcare le murate e precipitarsi in coperta e Mahot levare in alto la sua sbarra di ferro e percuotere con vigore sovrumano.

Udii confusamente delle urla, poi nuovi colpi di fucile, quindi più nulla.

«Ero caduto privo di sensi.

«Quando tornai in me non mi trovai più a bordo della mia nave. Ero disteso sulla sabbia del deserto, solidamente legato ad un piuolo piantato profondamente al suolo.

«Dinanzi a me s'alzava una tenda araba, di forma quadrangolare, a tetto piatto ed un palo sulla cui cima era stato conficcato il cranio ancora sanguinante d'un uomo.

«Guardai quell'orribile trofeo ed un urlo d'angoscia e di furore mi sfuggì: avevo riconosciuto quella testa: era quella del mio marinaio, del mio bravo Mahot.

«Udendo quell'urlo un arabo era uscito dalla tenda, tenendo in mano un lungo fucile a pietra.

«Era un negro di alta statura, colla testa coperta da un turbante ampio e adorno di frange ed il corpo avvolto in un candidissimo mantello.

«Vedendo che io mi contorcevo tentando di spezzare i legami, l'arabo mi puntò sul petto il fucile, dicendomi:

«"L'uomo che comandava la nave corre incontro alla morte".

«"Uccidimi come hai uccisi i miei compagni, miserabile ladrone" urlai.

«L'arabo mi guardò con stupore.

«"I tuoi compagni non sono morti" mi disse poi. "L'uomo quando è morto non vale più nulla, mentre quando è vivo si può venderlo a buone condizioni."

«"Non sono morti i marinai?" gridai io.

«"Non abbiamo commesso questa sciocchezza."

«"E quella testa, non apparteneva ad uno dei miei uomini, al mio bravo Mahot?" urlai mentre lagrime di rabbia e di dolore mi irrigavano le gote.

«"Quel gigante aveva accoppati cinque dei nostri e noi per non farci sterminare, lo abbiamo moschettato."

«"Povero Mahot!" esclamai.

«"E gli altri sono vivi" rispose l'arabo.

«"E la mia nave?" chiesi.

«"L'abbiamo abbruciata per ricavare il ferro, che qui, nel deserto, vale più dell'oro e dell'argento."

«"Ladri!" esclamai io furibondo.

«L'arabo alzò le spalle ridendomi sul viso, poi accostatosi a me con due colpi di coltello mi tagliò le corde, dicendomi:

«"Pel momento siete libero; già non fuggirete, ne sono persuaso".

«E mi lasciò, rientrando nella sua tenda.

«L'arabo sapeva bene che una fuga non l'avrei mai tentata. La libertà accordatami non avrei potuto in alcun modo utilizzarla, perché dinanzi a me stava lo sconfinato oceano e dietro di me l'immenso deserto, arido, senza piante, senza pozzi, senza abitanti.

«Se avessi voluto allontanarmi, non sarei andato di certo molto lontano. La sete e la fame m'avrebbero molto presto finito.

«Approfittai di quella momentanea libertà per mettermi in cerca dei miei compagni.

«L'accampamento dei pirati del deserto si componeva di quattro grandi tende, formanti un duar, collegate le une alle altre da una siepe spinosa.

«Vi erano parecchi cammelli da corsa e da carico, questi con una sola gobba gli altri con due, più massicci di forme e pochi montoni neri che pascolavano le rade erbe dure e pregne di salsedine che spuntavano fra le dune.

«Oltrepassai il duar e mi diressi verso la spiaggia dove vedevo alzarsi dei vortici di fumo.

«La mia povera nave, arenata su un banco di sabbia che la marea aveva lasciato scoperto, terminava di consumarsi.

«I suoi alberi, le sue murate, il suo ponte erano ormai scomparsi e altro non rimaneva che uno scafo informe, quasi già carbonizzato.

«Sulla spiaggia gli arabi avevano ammucchiato tutto il ferro che avevano potuto ricavare per trasformarlo più tardi in punte di lance, in coltelli, scuri ed altro.

«I miei marinai erano stati impiegati in quel faticoso lavoro. Dovevano cacciarsi fra il fumo, scegliere le ferramenta e trascinarle alla spiaggia aizzati da legnate che fioccavano fitte sulle loro spalle quando si arrestavano un momento per riprendere lena.

«Quando quei disgraziati mi videro, mi gridarono:

«"Capitano, dov'è Mahot?..."

«"Morto" risposi io con voce triste.

«"Sarebbe stato meglio che fosse toccata anche a noi l'egual sorte" disse uno di loro.

«Ci fermammo tre giorni sulle rive dell'Atlantico, lavorando come cani e ricevendo in contraccambio legnate in quantità e per pasto un po' di miglio cucinato in acqua e qualche pugno di datteri.

«Al quarto, non essendovi più ferro da estrarre dalla nostra nave, il capo degli arabi, colui che mi aveva liberato dai legami, ci radunò dinanzi la sua tenda e mostrandoci la testa ormai disseccata del povero Mahot e già priva degli occhi, ci disse:

«"Se non volete subire l'egual sorte, preparatevi a partire".

«"Dove vuoi condurci?" chiesi io, atterrito.

«"Nei paesi dove il sole si leva, al di là del paese degli Ahggar."

«"E che cosa intendi fare di noi? Perché vuoi condurci così lontano dal mare?"

«"Chi sei tu?" mi chiese l'arabo dardeggiando su di me uno sguardo feroce.

«"Un uomo libero" risposi io.

«"No, ora sei un miserabile schiavo che ha forse meno valore d'un cammello."

«"Io schiavo?" proruppi furioso.

«Avevo ormai compreso cosa voleva far di noi quel miserabile ladro del deserto. Dopo d'averci incendiata la nave, ucciso Mahot, voleva ora trascinarci in mezzo al deserto per venderci a qualche sultano dell'interno dell'Africa.

«A quel pensiero mi sentii prendere da un terribile desiderio di strangolare quel miserabile.

«I miei compagni erano stati legati, io invece avevo le mani libere. Senza pensare al pericolo a cui mi esponevo, perché anche riuscendo a sbarazzarci del capo ve n'erano ben altri pronti a surrogarlo e non badando che alla mia ira, mi scagliai improvvisamente addosso al miserabile, afferrandolo strettamente per la gola.

«La mia mossa era stata così improvvisa, che l'arabo non aveva avuto il tempo di afferrare il fucile.

«Cadde ed io con lui, serrando sempre più le mie dita attorno al magro collo di lui.

«I miei compagni, impotenti a recarmi qualsiasi soccorso, si erano trascinati dinanzi alle tende per arrestare i compagni del capo, i quali già accorrevano da tutte le parti.

«Io intanto lottavo col furore della disperazione, schiacciando sotto di me l'assassino del mio povero Mahot.

«Lo udivo rantolare sotto la stretta e vedevo il suo volto diventare più nero d'un tizzo consunto mentre gli occhi, spaventosamente dilatati, gli uscivano dalle orbite.

«Stavo per finirlo, quando gli arabi, respinti i miei marinai, mi piombarono addosso coi coltelli in pugno, strappandomi di mano il loro capo assai malconcio.

«Venni subito legato, bastonato a sangue e quindi trascinato sotto una tenda. Mi consideravo ormai perduto, perché ero certo che il capo arabo non mi avrebbe perdonato quella strozzatura.

«Da uno dei miei guardiani fui informato che in quel momento si stava decidendo la mia sorte. I più vecchi s'erano radunati nella tenda del capo per deliberare.

«Venne la sera senza che io nulla potessi sapere. Erano trascorse otto ore d'aspettativa piene d'angoscia.

«Finalmente, quando sorse la luna, vidi gli arabi sellare i cammelli ed i mahari e sciogliere le tende.

«Ebbi un lampo di speranza. Se si preparavano a partire senza avermi messo a morte, voleva forse significare che avevano rinunciato a vendicare l'ingiuria fatta al loro capo.

«Vidi partire i primi cammelli carichi di ferraglie, poi alcuni altri portanti le tende ed i vecchi tappeti, quindi i miei disgraziati compagni legati come galeotti, poi gli arabi.

«Presso di me non erano rimasti che due uomini.

«Il cuore mi batteva forte e sentivo la fronte coprirmisi d'un freddo sudore, non ostante la temperatura da fornace che regnava fra le dune di sabbia.

«Cosa stava per accadere? Perché non mi avevano condotto via coi compagni?

«Avevo interrogato più volte i miei due guardiani senza ottenere la menoma parola.

«Dagli sguardi però che mi lanciavano, compresi che a me era riserbata qualche triste sorpresa.

«Finalmente, quando già gli arabi erano lontani, e stavano per scomparire dietro i monticelli di sabbia che segnavano il principio del gran deserto, vidi comparire il capo munito d'una zappa e d'una vanga.

«La terribile espressione d'odio che stava scolpita sul suo viso, la ricorderò sempre, vivessi mille anni. I suoi sguardi mandavano baleni e le sue labbra, contratte come quelle delle tigri, mostravano i denti.

«"Ora" mi disse, guardandomi ferocemente, "a noi due."

«"Uccidimi" gli risposi. "Farai poca fatica perché sono legato."

«"Ucciderti!" esclamò. "La morte procurata da un colpo di coltello o di fucile sarebbe troppo dolce. Ho serbato qualche cosa di meglio per te, vedrai."

«Ad un suo cenno, i due arabi che vegliavano presero la zappa e la vanga e cominciarono a scavare una buca profonda.

«Io assistevo esterrefatto, istupidito, a quei sinistri preparativi. Cosa volevano farne di me? Seppellirmi vivo forse? No, perché la morte sarebbe stata troppo rapida e l'arabo aveva detto che voleva farmi soffrire a lungo.

«Come descrivervi le angosce passate in quei terribili momenti? Mi sarebbe impossibile dirvele.

«Quando la buca fu profonda oltre un metro e mezzo, quei miserabili mi afferrarono e senza sciogliermi le braccia né le gambe, mi deposero in quello scavo, seppellendomi fino alle spalle.

«A operazione compiuta solamente la mia testa compariva dalle sabbie.

«Ah! L'atroce supplizio! Tremo anche in questo momento a pensarlo.

«Il capo, per un inaudito raffinamento di crudeltà, collocò dinanzi a me, ad un metro di distanza, un vaso ricolmo d'acqua, ed una cesta contenente dei datteri, poi mi salutò colla mano, dicendo:

«"Ora mangia e bevi se lo puoi".

«Pensai con uno sforzo prodigioso di liberarmi dalle sabbie che mi opprimevano da tutte le parti, rendendomi difficile la respirazione. Fu uno sforzo vano. Allora folle di rabbia, sputai addosso al miserabile.

«A quell'insulto, afferrò il fucile, drizzando la canna verso la mia fronte, poi lo abbassò.

«"No" disse. "La morte sarebbe troppo dolce."

«"Uccidimi, dunque!" urlai.

«"No."

«"Squarciami il collo col tuo pugnale e bevi il mio sangue, tigre."

«"No."

«"Che tu sii maledetto!"

«L'arabo sogghignò, si gettò a bandoliera il fucile, salì sul suo cammello e si allontanò senza nemmeno volgersi indietro.

«I suoi compagni l'avevano già preceduto.

«Folle di rabbia e di terrore, gli urlai dietro tutte le ingiurie immaginabili. Non ebbi alcuna risposta.

«A poco a poco li vidi rimpicciolire sulla sterminata distesa di sabbie, quindi scomparire in mezzo alle collinette.

«Ero solo, abbandonato, impotente a fare qualsiasi movimento, destinato a morire lentamente di fame e di sete coll'acqua ed i datteri dinanzi agli occhi.

«Tentai nuovamente di scuotere la sabbia per liberare almeno le braccia, invece non riuscivo nemmeno a muoverle.

«La luna intanto tramontava e le tenebre scendevano sul deserto.

«Il silenzio era profondo; solamente a lunghi intervalli udivo in lontananza le onde dell'oceano a rompersi contro il capo Bianco.

«Mi colse una paura orribile. Paventavo la comparsa di qualche fiera.

«I leoni sono rari nel deserto di Sahara, non s'incontrano che nelle oasi e là dove vi sono dei pozzi, però le jene si mostrano numerose nei pressi dell'oceano.

«Qualcuna poteva venire e divorarmi il cranio senza che io potessi fare un solo movimento per difendermi.

«Eppure invocavo la morte!

«La notte trascorse in continui terrori. Vi erano certi momenti in cui credevo di essere diventato pazzo.

«Finalmente il sole sorse proiettando sulle sabbie i suoi raggi brucianti.

«La mia posizione invece di migliorare diventava di ora in ora più atroce.

«Il caldo mi saettava come se volesse farmi scoppiare il cervello, la sete mi tormentava, e non potevo in alcun modo estinguerla quantunque dinanzi a me vedessi scintillare l'acqua del vaso.

«Quanto rimasi in quella buca? Io non lo seppi mai. Una specie di sincope, prodotta dal caldo terribile, mi aveva colto.

«Quando tornai in me, vidi alcuni uomini ammantellati curvati nella mia buca e molti cammelli e udii una voce che mi diceva:

«"Chi siete voi, povero uomo?"

«Non erano nemici; erano trafficanti marocchini passati per di là per puro caso.

«Mi disseppellirono, mi portarono sotto una delle loro tende e mi diedero da bere dell'acqua mescolata con caffè e rhum, poi mi fecero inghiottire certe pallottole di farina impastata con miele.

«Poche ore dopo io avevo ricuperato interamente le mie forze.

«Quando quei marocchini udirono la mia istoria, si guardarono l'un l'altro, poi un nome sfuggì dalle loro labbra.

«"Ben-Zaf!"

«"Chi è questo Ben-Zaf?' chiesi.

«"Il più crudele arabo del deserto, uno dei più sanguinari pirati" mi fu risposto. "Disgraziati gli uomini che cadono nelle loro mani."

«"Allora non rivedrò più mai i miei marinai?" chiesi con angoscia.

«"Non pensate più a loro" mi rispose il capo della carovana. "Sono perduti per sempre!"

«Quaranta giorni dopo noi giungevamo nel Marocco dove mi separai dalla carovana per recarmi a Tangeri. Colà mi indirizzai al console francese, per informarlo di quanto era accaduto, interessandolo a occuparsi della liberazione dei miei compatrioti.

«Furono vani tentativi. Il governo del Marocco mi indennizzò della perdita della mia nave e niente di più.»

– E non si potrà sapere più nulla dei vostri disgraziati compagni? – chiesi io.

Il capitano con un manrovescio fracassò la bottiglia contro le pareti della cabina, poi alzandosi in preda ad una viva agitazione, disse:

– Più nulla, e forse a quest'ora saranno morti!

E uscì, mentre un singhiozzo gli lacerava il petto.