I racconti della Bibliotechina Aurea Illustrata/Nel regno delle tenebre

Nel regno delle tenebre

../Nel paese dei diamanti ../Il ponte maledetto IncludiIntestazione 10 marzo 2018 75% Da definire

Nel paese dei diamanti Il ponte maledetto

NEL REGNO DELLE TENEBRE


Avete mai pensato, ragazzi miei, da dove proviene quella massa enorme di carbone pesante come le pietre, che mette in movimento tante macchine di colossali opifici, che spinge a corsa vertiginosa tante ferrovie e che fa sbuffare tante navi a vapore solcanti tutti i mari del globo? Da dove mai vengono quei bastimenti tutti neri, che rovesciano nei nostri porti marittimi quelle montagne di blocchi, che poi vengono disseminati per tutte le città d'Italia?

Forse non ci avrete mai pensato. Dunque ve lo dirò io. Tutto quel carbone si estrae dalle viscere della nostra terra. Da dove viene? Dalle miniere della Germania, del Belgio, della Francia e soprattutto da quelle dell'Inghilterra. Quest'ultimo Stato è quello che ne somministra in maggior copia. Si può dire che tutta la Scozia e tutto il Gallese non sono altro che immensi, inesauribili depositi di carbone, dove migliaia e migliaia di uomini lavorano giorno e notte da secoli, guadagnando milioni e milioni.

Nella Scozia soprattutto, vi sono delle vere città sotterranee che si prolungano per miglia e miglia nelle viscere del globo. Tutto è nero là dentro, perché pareti, pilastri, arcate e perfino le case sono costruite con blocchi di carbone.

Gallerie immense, che s'incrociano in tutti i sensi, che salgono e discendono, vi sono a migliaia, ed una folla d'uomini neri, seminudi, va e viene fra un frastuono continuo di macchine fischianti, di picconi percuotenti poderosamente le rocce, di scoppi di mine, di rotolare di carri carichi di minerale.

Ecco una miniera.

Il carbone, costituito da vecchi alberi sepolti forse da migliaia d'anni e pietrificati, vi si trova in abbondanza straordinaria in quei terreni della Scozia. È necessario però andarlo a cercare a profondità talvolta immense, a cinquecento e anche a mille metri sotto la superficie del suolo.

Che cosa importa? Si aprono pozzi, si scavano gallerie e si va a trovarlo. Si costruiscono abitazioni, si formano piazze aperte in pieno carbone, si piantano macchine per rendere l'aria più respirabile ai minatori che sono costretti a lavorare lontani dagli sbocchi, sovente si mettono in moto perfino delle piccole ferrovie e migliaia d'uomini lavorano senza posa per anni e anni e anche per secoli perché, come abbiamo detto, quei depositi sono sovente inesauribili.

Entro quelle caverne sconfinate, che passano sotto città, sotto fiumi e perfino sotto laghi, il lavoro non cessa mai. Che attività febbrile regna costantemente e squadre di lavoranti salgono e scendono senza posa per mezzo di gabbie e di barili che delle macchine innalzano fino alla bocca nei pozzi o che fanno scendere fino alle più profonde gallerie.

Che vitaccia però, fanciulli, miei, sono costretti a condurre quei poveri lavoranti! E quali spaventevoli pericoli devono affrontare per rapire alla terra quel prezioso minerale!

Ora una parte della miniera crolla improvvisamente e ne seppellisce un gran numero; ora delle filtrazioni improvvise di acque avvengono e inondano le gallerie, affogando i disgraziati che non hanno avuto il tempo di guadagnare i pozzi; ora invece è il grisou che determina delle esplosioni spaventevoli che sconvolgono l'intera miniera, che abbattono le case e le macchine, che guastano i pozzi, che fracassano le gabbie, che rovesciano le pareti.

Il grisou è il pericolo maggiore. Questo è un gas infiammabile che si sprigiona dal carbone e che si accumula nelle gallerie; che si spezzi una lampada di sicurezza, che un minatore imprudente accende e scoppia come una polveriera. E quante vittime allora! Si può dire che non v'è famiglia di minatori scozzesi o gallesi che non abbia perduto, in quelle tremende catastrofi, uno o più dei suoi membri.

Vi narrerò ora un fatto raccapricciante, che non m'è mai sfuggito dalla memoria, narratomi da un vecchio minatore scozzese di New-Castle, la città del carbone che fornisce ogni anno carichi a migliaia di navi.

L'avevo già osservato parecchie volte, colpito dalle orribili cicatrici che gli deturpavano il viso. Tutta la pelle della parte sinistra appariva granulosa e livida, come se i tessuti primitivi fossero stati distrutti dal fuoco e gli mancava anche un occhio.

Anche le sue mani portavano delle granulosità strane e le punte delle dita erano come consumate.

Come uomo era un colosso, alto quanto un patagone, con spalle larghissime ed un torace da orso grigio.

In quell'epoca non faceva più il minatore e campava la vita caricando carbone sulle navi e non doveva passarsela male. Colla sua forza, che doveva essere prodigiosa, lavorava per due.

Una domenica, giorno di riposo rigoroso in Inghilterra e specialmente nella Scozia, vedendolo passeggiare sulla calata colla sua eterna pipa in bocca, lo chiamai a bordo offrendogli del tabacco turco che ero riuscito a sottrarre alla vigilanza dei doganieri del porto, non meno curiosi di quelli del nostro bel paese.

Fra una chiacchiera e l'altra, lo indussi a raccontarmi in seguito a quale caso aveva perduto l'occhio e aveva riportato quelle indelebili cicatrici.

– Devo tutto ciò al grisou, signore – mi rispose. – E posso dire di essere stato ancora fortunato, mentre trecento dei miei compagni lasciarono la pelle in fondo alla miniera di Ross.

Aspirò alcune boccate di fumo, rigettandolo poi lentamente per meglio gustare l'aroma del tabacco turco, poi vedendo che io rimanevo silenzioso, interrogandolo cogli sguardi, riprese, sedendosi di fronte a me.

– Sapete che il grisou è la bestia nera delle miniere carbonifere. Quando scoppia, cagiona catastrofi formidabili che fanno un bel numero di vedove.

– Lo so – risposi.

– Quello che è toccato a me, signore, non lo augurerei al mio più mortale nemico. Se non sono impazzito è stato un vero miracolo, ma egual fortuna non è toccata a quel povero Bill. L'ho visitato un'ora fa e il suo cervello è sempre guasto e credo anche che non andrà più a posto.

– Chi era quel Bill? – chiesi.

– Il compagno di lavoro, un altro che è riuscito a salvarsi, l'unico dopo me.

«Erano quattro anni che mi trovavo nella miniera di Ross, una delle più importanti della Scozia e che impiegava non meno di milleduecento operai.

«In quel tempo, erano avvenute parziali inondazioni poiché parte delle gallerie passavano sotto un ampio stagno e le filtrazioni si manifestavano di frequente, tuttavia nessuno non aveva mai udito a parlare che fosse avvenuto alcuno scoppio.

«Il giorno terribile purtroppo venne e che disastro causò nella miniera!

«Era mezzogiorno. Al mattino alcuni lavoranti avevano fatto scoppiare una grossa mina in una delle più lontane gallerie, per far saltare un masso di carbone, già isolato dagli intaccatori e che pesava parecchie centinaia di tonnellate.

«Gli ingegneri avevano subito constatato che il grisou, quel maledetto gas detonante, usciva in gran copia dai frammenti di quel blocco. Si sprigionava con dei leggeri scoppiettìi ed essendo più leggero dell'aria, si accumulava sotto le interminabili vôlte delle gallerie.

«L'allarme era stato dato, unitamente alla raccomandazione di far attenzione alle lampade e di non accenderle nel caso che alcune si spegnessero.

«Conoscete le lampade di sicurezza delle nostre miniere?»

– Sì – risposi. – Hanno intorno una reticella di metallo che impedisce al gas di comunicarsi alla fiamma.

– Benissimo – rispose il minatore. – Io mi trovavo quel giorno in una galleria isolata, assieme al mio amico Bill, un bravo e robusto giovinotto del Gallese, che mi era assai affezionato.

«Dovevamo isolare un masso di carbone e preparare la mina. Il lavoro era aspro ed anche difficile in causa delle numerose filtrazioni che si manifestavano continuamente nella volta, quantunque ci trovassimo a trecentosessanta metri sotto la superficie del suolo.

«Udendo a suonare la campana del riposo, avevamo deposti gli attrezzi per recarci a fare colazione, quando improvvisamente udimmo una spaventevole detonazione, seguita da urla acute di:

«"Fuggite! Il grisou! Il grisou!" Bisogna essere vissuti in una miniera per comprendere lo spavento che desta nei minatori quel grido. Esso annuncia un disastro che nessuna forza umana può attenuare.

«Il rombo, propagatosi attraverso le gallerie, era stato tale, che le traverse di sostegno erano subito cadute in parecchi luoghi.

«Io e Bill afferrammo le nostre lampade e ci precipitammo a corsa vertiginosa per raggiungere la galleria principale che metteva capo ai pozzi.

«Stavamo per giungervi quando vedemmo passare dinanzi, a corsa disperata, i minatori. Urlavano spaventosamente, si urtavano atterrandosi gli uni sugli altri, calpestando senza pietà quelli che cadevano, solo preoccupati di guadagnare via e di raggiungere le gallerie superiori.

«Erano appena passati, lasciandosi indietro non so quanti compagni morti e contusi, quando avvenne un altro scoppio, dieci volte più assordante del primo.

«Parve che l'intera miniera ci crollasse addosso e udimmo un fragore pauroso di mura e di gallerie che venivano abbattute, poi una tromba di fuoco spazzò tutto, sfondando sul suo passaggio le barriere e gli ostacoli che incontrava.

«In un momento mi trovai avvolto fra le fiamme e poi scaraventato non saprei dirvi dove, da una forza irresistibile.

«Mi ero coperto il viso per salvare gli occhi, ma il grisou acceso mi aveva già colpito, carbonizzandomi istantaneamente tutta la parte sinistra e le dita.

«L'occhio poi si era crepato come se fosse stato trapassato dalla punta di un ferro rovente.

«Lo strazio che provai in quel momento, non ve lo saprei descrivere e forse non potreste nemmeno immaginarlo.

«Per un caso inaudito, la forza dell'esposizione mi aveva lanciato in un luogo dove le filtrazioni avevano inondato parte della galleria, sicché il fuoco che si era comunicato alle mie vestimenta, si spense d'un colpo solo. Fu una vera fortuna; diversamente sarei morto abbruciato. Al mio amico Bill non era toccata egual sorte: se l'era cavata con delle semplici ustioni di poca entità.

«La tromba di fuoco non lo aveva investito trovandosi in quel momento dietro di me e se i suoi abiti si erano incendiati, almeno la sua carne era stata risparmiata e soprattutto i suoi occhi.

«Non so quanto rimasi stordito, in mezzo alla pozzanghera. Fui tratto di là da Bill, il quale mi aveva cercato per parecchi minuti a tentoni, giacché devo dirvi che il rombo aveva spente e frantumate le nostre lampade.

«Un fumo acre e pesante aveva invaso la miniera. I depositi della polvere delle mine dovevano essere scoppiati.

«Rimanemmo parecchio tempo sbalorditi, immobili, atterriti da quell'esplosione che, secondo il nostro giudizio, doveva aver rovinata l'intera miniera.

«L'istinto della conservazione ci diede un po' di animo.

«"Bill" dissi, obliando le mie atroci sofferenze. "Cerchiamo di giungere ai pozzi. A quest'ora si deve lavorare alacremente al di fuori e forse degli uomini, dei coraggiosi, stanno scendendo per salvare i superstiti."

«"Potrai camminare?" mi chiese il giovane minatore.

«"Ti seguirò" gli risposi. "È crollata la galleria?"

«"Non mi pare."

«"Andiamo e senza perdere tempo."

«Mi legai un fazzoletto attraverso il viso mutilato e soffocando i dolori atroci che mi martirizzavano, mi spinsi risolutamente innanzi.

«Si brancolava nel buio. Le lampade della galleria principale si erano tutte spente e una oscurità orrenda regnava dovunque. Eravamo come marinai perduti sul mare senza direzione alcuna, senza una bussola.

«Appoggiando le mani alla parete destra della galleria, ci avanzammo cautamente e senza parlare. Temevamo che la nostra voce, ripercossa, facesse cadere la vôlta della galleria. Avevamo percorso una trentina di passi, quando udii Bill a gridare:

«"Siamo nella galleria principale".

«Come lo aveva indovinato? Non saprei dirvelo. Indovinato è la vera parola, noi marciavamo fra la più profonda oscurità, senza sapere dove andassimo.

«Si trattava di sapere dove si trovavano i pozzi.

«A destra od a sinistra? La cosa vi parrà strana per uomini vissuti quattro anni in quella miniera, eppure fosse la confusione ed il terrore che regnavano nei nostri cervelli od altro, non lo sapevamo. Bill mi prese per una mano, non sapendo più io dove mi trovassi e mi trasse con sé, facendomi descrivere parecchi giri.

«La galleria era larga e non era cosa facile trovare le sue pareti, se persistevano ancora. La violenza dell'esplosione poteva averle abbattute su una vastità immensa.

«Procedemmo a casaccio. Io soffrivo orribilmente e non so che cosa avrei dato per avere un po' di acqua da applicare alle mie piaghe.

«Mi feci coraggio e seguii l'amico. Dove andavamo? Verso i pozzi o ci addentravamo nelle gallerie? Era impossibile a saperlo fra quell'oscurità.

«Ad un tratto inciampammo in un ostacolo che ci fece cadere entrambi.

«"È un morto" mi disse Bill. "E non sarà né il primo, né l'ultimo."

«Lo saltammo via senza provare alcuna ripugnanza. Che cos'era un morto, mentre forse ve n'erano delle centinaia disseminati per la miniera? Si sarebbe detto che in noi si fosse spenta ogni sensibilità in quel momento.

«Proseguimmo sempre a casaccio, spinti dalla speranza di arrivare ai pozzi. Eravamo certi che il salvataggio doveva essere stato organizzato dagli ingegneri e dai minatori delle squadre notturne che non erano ancora discesi nei pozzi.

«Avanzammo così per parecchio tempo, poi sentii che Bill si arrestava.

«"Non vai innanzi?" gli chiesi.

«"Abbiamo sbagliata la via" mi rispose. "Dinanzi a noi v'è un ostacolo."

«"Non siamo giunti ai pozzi?"

«"No."

«Quella risposta mi agghiacciò il sangue. Ci eravamo dunque smarriti a quattrocento metri sotto la superficie del suolo? Chi avrebbe potuto salvarci? L'idea della morte in quel momento mi si presentò dinanzi, eppure fino allora non ci avevo pensato. Giacché il grisou ci aveva risparmiati, mi pareva impossibile di dover morire in mezzo a quell'orribile oscurità.

«"Bill" dissi. "Sei certo di aver raggiunta la galleria principale?"

«"Non ho alcun dubbio" mi rispose.

«"Da quale parte hai deviato?"

«"Non lo so. Con questa oscurità mi riesce impossibile dirigermi."

«"Che sia un ammasso di macerie, quello che ci sbarra la via?"

«"No, è una parete" mi rispose.

«"Allora invece di giungere ai pozzi noi ci siamo cacciati in una galleria trasversale."

«Bill non mi rispose. Lo udii a muoversi, camminare innanzi ed indietro per alcuni minuti, poi tornò verso di me e mi mise le mani sul petto dicendomi con profonda angoscia:

«"Harry, credo che per noi tutto sia finito. Come potremo guidarci senza una lampada? Io non so più dove andare".

«"Ritorniamo" gli risposi. "Forse i pozzi non sono stati rovinati dalla spinta del grisou e poi pensa che a quest'ora devono aver organizzato il salvataggio. Procura di salire sempre e di raggiungere le gallerie superiori."

«Ci rimettevamo in marcia, tenendoci per mano. La nostra situazione era spaventevole eppure non volevamo morire senza aver tentato l'impossibile. L'idea di poter, presto o tardi, giungere alla superficie del suolo e rivedere il sole, si era così tenacemente radicata in me, che non sentivo quasi più i dolori prodottimi dalla fiammata del grisou.

«Per cinque o dieci minuti continuammo a camminare, tenendo una mano appoggiata alla parete. Di quando in quando urtavamo contro qualche cadavere e cadevamo l'uno sull'altro.

«Ve n'erano molti dei morti nelle gallerie. Quei disgraziati, sorpresi nella loro fuga dalla tromba di fuoco, erano morti sul colpo, carbonizzati sull'istante.

«Dopo un certo tempo sentii che Bill si era nuovamente arrestato. Lo udii mandare una esclamazione di furore.

«"Ebbene, Bill, amico mio, che cosa c'è di nuovo?" gli chiesi.

«"È impossibile avanzare" mi rispose.

«"Un'altra parete?"

«"Sì!"

«"Ma dove andiamo noi?"

«"Non lo so."

«"Siamo discesi o siamo saliti?"

«"Non lo saprei dire."

«Mi sentii rizzare i capelli sul capo e stringermi il cuore da un'angoscia indescrivibile.

«Era dunque la fine?

«Rimanemmo silenziosi parecchi minuti. Il terrore ci agghiacciava il sangue.

«"Bill" diss'io finalmente. "Cerchiamo una lampada. Senza un po' di luce noi ci perderemo nei labirinti delle gallerie e non usciremo più mai dalla miniera. È impossibile che non ve ne sia qualcuna presso i minatori che sono stati investiti dal fuoco. Hai qualche zolfanello?"

«Lo udii frugarsi nelle tasche, poi mandare un grido di trionfo.

«"Ne ho trovato uno" disse.

«Ai minatori, appunto per impedire delle disgrazie, è severamente proibito di tenerne; pure è raro che qualcuno non ne possegga in fondo alle tasche essendo, più o meno, tutti fumatori arrabbiati e appena fuor dai pozzi s'accendono le pipe.

«Uno era troppo poco. Se si fosse spento o l'umidità della galleria l'avesse reso inservibile? Nondimeno era meglio che non averne alcuno.

«"Non perderlo, Bill" gli dissi.

«"Lo tengo in pugno e non lo lascerò cadere" mi rispose. "Vale meglio d'una pepita d'oro."

«Si trattava di trovare ora una lampada. La cosa non era difficile. Ve ne sono delle migliaia nelle miniere e tutti i lavoranti ne portano una e anche due.

«Chissà quante se ne dovevano trovare nella galleria principale, percorsa dai minatori fuggenti.

«Ritornammo sui nostri passi per la terza volta, tirando calci a destra ed a sinistra colla speranza d'urtare contro qualche lampada dimenticata o lasciata cadere.

«Continuavamo ad inciampare. Ora erano dei picconi che giacevano al suolo abbandonati, ora dei massi di carbon fossile che noi non potevamo evitare non essendo capaci di distinguere assolutamente nulla.

«Finalmente cademmo su un gruppo di morti. Ve n'erano molti, ammonticchiati gli uni sugli altri e ci sbarravano il passo.

«Bill si curvò e si mise a cercare fra quei miseri che esalavano un odore nauseante di carni abbruciate.

«Un grido di trionfo mi avvertì che il mio compagno aveva trovato quello che cercavamo.

«"Una lampada?" chiesi, con voce trepidante.

«"Sì, Harry" mi rispose Bill. "L'ho trovata appesa alla cintola d'un uomo."

«Aprì a tentoni la rete metallica, poi appoggiò lo zolfanello sui calzoni. Stava per farlo strisciare, quando un pensiero lo arrestò.

«"Harry" mi disse con voce spaventata. "Se vi fosse ancora del grisou?"

«A quella domanda mi sentii gelare il sangue.

«Il maledetto gas poteva essersi nuovamente radunato nelle gallerie e prendere fuoco. L'esplosione doveva aver aperte nuove brecce nelle masse carbonifere e dell'altro grisou poteva essere sfuggito.

«Rimanemmo qualche tempo silenziosi. Non sapevo che cosa rispondere alla giusta osservazione del mio prudente compagno.

«"Ascoltami, Bill" gli dissi finalmente. "Senza un po' di luce noi non potremo raggiungere i pozzi; tanto vale tentare la sorte. Morire bruciati d'un colpo solo o lentamente di fame è tutt'uno, anzi preferisco andarmene presto piuttosto che adagio adagio. Succeda quello che si vuole, accendi la lampada. Abbassati contro il suolo. Tu sai che il grisou sta sempre in alto."

«Bill mi strinse la mano, profondamente commosso.

«"Se non ci vedremo più" mi disse, "addio, camerata."

«Si curvò verso terra e cominciò a strofinare dolcemente la capocchia dello zolfino. Il mio cuore tremava e mi sentivo correre pel corpo dei brividi.

«Se l'umidità avesse guastato quel misero stecco? Se la capocchia si fosse staccata senza accendersi?

«Ad un tratto brillò un punto che sparse all'intorno un piccolo lampo poi una fiammella che tosto si allargò diventando d'un azzurro intenso.

«"Il grisou!" esclamai. "Bada, Bill!"

Un colpo secco mi annunciò che la lampada era stata prontamente chiusa. Il minatore, che dal colore della fiammella si era accorto della presenza del terribile gas, con una rapidità incredibile aveva accesa la lampada, spegnendo subito lo zolfanello.

«Un momento di ritardo e di esitazione e forse noi saltavamo fra un uragano di fuoco.

«Non finirò mai di lodare il sangue freddo di quel bravo giovane. Un altro, al suo posto, in quel momento d'angoscia avrebbe forse perduta la testa.

«La luce! Finalmente dopo due ore di oscurità perfetta potevamo vederci e dirigerci.

«Bill fece cadere su di me i raggi che proiettava la lampada. Un grido di commiserazione gli uscì.

«"Mio povero Harry!" esclamò. "Come sei stato colpito dal grisou! Quanto devi soffrire!"

«"Non occuparti delle mie bruciature" gli risposi. "Cerchiamo invece di uscire e presto da questo inferno."

«Malgrado le mie proteste, il mio camerata mi fasciò alla meglio il viso, strappandosi una manica della camicia che unse coll'olio di una lampada trovata semispezzata ai piedi d'un minatore.

«"Grazie, Bill" gli dissi, con voce commossa. "Ora mi sento meglio e posso seguirti. Sai dove ci troviamo?"

«Il mio compagno guardò le pareti della galleria.

«"Se non m'inganno" disse dopo qualche po', "dobbiamo essere vicini al deposito numero 7."

«Dinanzi a noi stava una vera catasta di morti. Quei disgraziati minatori dovevano essere stati raggiunti dal fuoco in quel punto e tutti erano caduti.

«Che orribile spettacolo! Avevano le vesti bruciate, i volti anneriti e screpolati dall'intensità della fiammata, le mani raggrinzate sulle gote.

«Voi sapete che il grisou produce dei gas asfissianti. Se non uccide di colpo il minatore, lo soffoca poco dopo.

«Noi, per un caso veramente prodigioso, eravamo sfuggiti a quell'atmosfera avvelenata, dileguatasi prima che potesse espandersi nelle gallerie laterali. È probabile che la grande umidità che regnava nel luogo dove noi ci trovavamo, avesse opposto un ostacolo sufficiente.

«Scalammo rabbrividendo quella massa di morti e camminando velocemente, raggiungemmo dopo alcuni minuti la galleria principale, quella che metteva ai pozzi.

«Anche là vi erano numerosi morti e tutti avevano le vesti arse ed i visi neri. Raccogliemmo un'altra lampada che era rimasta intatta e affrettammo il passo.

«Un silenzio profondo regnava nella immensa miniera. Non più colpi di picconi, non più detonazioni di mine, cigolare di carri, sbuffare di macchine. Il grisou tutto aveva spento e tutto distrutto.

«Vi erano qua e là carri rovesciati, vagoncini contorti; cadaveri di cavalli e di mule, ammassi di carboni dispersi come se la mano d'un titano avesse scagliati quei pezzi in tutte le direzioni. Lo scoppio d'una polveriera non avrebbe fatto di più. E che rovine anche nelle gallerie!

«Le vôlte erano crollate, gli assiti ed i puntelli erano stati divelti e perfino le massicce pareti presentavano profonde spaccature dalle quali usciva ancora, scoppiettando leggermente, il gas maledetto.

«Fu dopo una buona ora che giungemmo presso uno dei pozzi. Un atroce disinganno ci aspettava.

«La gabbia giaceva al suolo colle catene spezzate e la profonda apertura era stata otturata da un ammasso di rottami e di traverse.

«Guardai Bill cogli occhi smarriti.

«"È finita" gli dissi. "Noi non potremo più mai giungere alla superficie del suolo."

«"Gl'ingegneri e gli operai non saranno rimasti inoperosi" mi rispose il giovane. "E poi vi è il pozzo n. 4 che noi potremo raggiungere. Può darsi che quello sia sgombro."

«"Se lo fosse, gl'ingegneri sarebbero già discesi" dissi.

«Bill crollò il capo e non rispose.

«Rimanemmo qualche tempo in quel luogo, girando come pazzi intorno alla gabbia che giaceva al suolo fracassata, poi senza parlare ci allontanammo per cercare il pozzo n. 4.

«Una profonda angoscia ci aveva invasi. Se anche quel pozzo era rimasto ostruito, che cosa sarebbe accaduto di noi? Avrebbero potuto i nostri compagni giungere in tempo per salvarci? Che alla superficie della terra si lavorasse alacremente per riaprire le comunicazioni colla miniera, non vi era da dubitare. Ma quando avrebbero potuto discendere? Ecco la grande questione.

«Sarebbero stati necessari molti giorni per sbarazzare i pozzi da quell'enorme quantità di macerie e noi come avremmo potuto vivere nel frattempo che non avevamo nulla, assolutamente nulla da porre sotto i denti.

«L'idea di dover morire di fame in fondo a quella tenebrosa miniera ci atterriva. Sarebbe stato meglio che il grisou ci avesse fulminati sul colpo.

«Anche nelle altre gallerie regnava un disordine spaventevole. Muraglie e pilastri abbattuti, montagne di carbone disperse e poi morti e poi morti ancora a gruppi, a cataste. Vi era da impazzire dallo spavento.

«Ci eravamo messi a correre, ansiosi di giungere al secondo pozzo, la nostra ultima speranza. Bill di quando in quando si arrestava, desideroso di concedermi un po' di riposo, ma io gli facevo cenno di proseguire.

«Già, sia per la grande ansietà che mi aveva preso o la paura della morte, non provavo ormai più alcun dolore per le mie ferite.

«Di passo in passo che ci avvicinavamo al pozzo le nostre inquietudini e le nostre angosce aumentavano pel fatto che quella parte della miniera pareva che avesse sofferto più dell'altra.

«Ero certo che il grisou aveva prodotto in quel luogo una nuova esplosione. Ed infatti gli scoppi erano stati due ed il secondo più violento del primo.

«Finalmente giungemmo al pozzo. Che colpo e che momento terribile fu quello! Anche la nostra ultima speranza era perduta.

«Tutte le pareti di rivestimento erano crollate e formavano una montagna di rottami, sotto i quali doveva essere rimasta sepolta la gabbia.

«Ogni comunicazione colla superficie del suolo era intercettata. Non ci rimaneva che di attendere la morte, giacché non avevamo più alcuna fiducia che gl'ingegneri ed i loro uomini potessero giungere fino a noi.

«Vi erano colà centinaia di tonnellate di macerie che non si potevano togliere che con grandi sforzi ed impiegando molti giorni.

«Guardai Bill. Era spaventosamente pallido.

«"Coraggio, mio povero amico" gli dissi.

«"Non ne ho più" mi rispose. "Quando gl'ingegneri giungeranno qui, noi saremo morti."

«Si sedette su un masso di carbone prendendosi il capo fra le mani e non parlò più.

«Io, sfinito, lo avevo imitato.

«Quanto tempo rimanemmo così immobili? Un'ora od un giorno? Molto tempo di certo, poiché le lampade si erano spente per mancanza d'olio quantunque io avessi accesa anche la seconda a rischio di far scoppiare il grisou che era tornato ad ammassarsi nella miniera.

«Fui strappato dalla mia immobilità da un sordo rumore che udivo proprio sopra la mia testa. Pareva che dei picconi battessero le pareti del pozzo.

«Dapprima dubitai e credetti di essermi ingannato, poi balzai in piedi gridando:

«"Bill! Bill! Il soccorso sta per giungere!"

«"Ah!" si limitò a rispondermi e non si mosse.

«I colpi raddoppiavano e diventavano sempre più distinti. Pensai che lo strato di rottami non fosse così enorme come dapprima avevo creduto. Pazzo di gioia, sicuro ormai che il soccorso fosse vicino, feci colle mani portavoce e gridai con quanta forza avevo:

«"Aiuto! Aiuto!"

«I colpi erano cessati. Tesi gli orecchi poi udii una voce, che mi parve lontanissima, a gridare:

«"Chi sei?"

«"Harry Betfort."

«"Sei solo?"

«"Con un compagno."

«"E gli altri?"

«"Tutti morti."

«"Veniamo in tuo soccorso: abbi pazienza."

«"Bill!" gridai. "Scuotiti!"

«Non ottenni risposta alcuna. Credetti che vinto dalla fatica e dall'emozione si fosse addormentato e non mi occupai più di lui.

«Ascoltavo invece ansiosamente i colpi di picconi che mi annunciavano una non lontana liberazione.

«Quanto era lungo il tempo, eppure i miei salvatori dovevano lavorare con accanimento.

«Di quando in quando mi interrogavano poi riprendevano il faticoso e anche pericoloso lavoro.

«Mi ero tirato da una parte, perché le macerie continuavano a franare sotto il peso dei minatori.

«Due ore dopo un raggio di luce filtrò improvvisamente. Si era prodotta una frana e aveva aperto uno squarcio.

«Vidi confusamente degli uomini scendere fino a me, poi mi sentii afferrare e sollevare in alto, quindi un improvviso torpore invadermi.

«Mi svegliai nell'infermeria dei minatori, in un candido letto, col viso e le mani avvolte in bende.

«Rimasi colà quindici giorni. Quando uscii seppi che Bill era stato ricoverato in un manicomio.

«Il disgraziato era diventato completamente ebete!

«In quanto a me diedi un addio al pericoloso mestiere del minatore e non misi più mai un piede nelle miniere: e come vedete ho mantenuto la parola.

«Oggi io sono un caricatore di carbone e vi rimarrò sempre.»