I racconti della Bibliotechina Aurea Illustrata/La stella filante
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LA STELLA FILANTE
Un bel mattino dell'agosto 1900, una sorpresa inaudita portava al colmo la maraviglia dei buoni abitanti di San Francisco di California, la ricca e popolosa città che non ha rivali lungo le coste americane bagnate dalle onde dell'Oceano Pacifico.
Le vie immense che dividono quella città gigantesca, le piazze, i ponti, i tetti delle case, le terrazze e gli squares che sono così numerosi nella capitale della California, dopo una notte senza vento e perfettamente secca, erano apparsi coperti da miriadi e miriadi di biglietti multicolori, i quali non recavano altro che due lettere: Stella Filante!...
Come si può facilmente immaginare, un profondo stupore aveva invaso tutti gli abitanti di San Francisco.
La Stella Filante che cosa poteva essere? Un nuovo articolo a cui si faceva una réclame veramente americana? Ma chi aveva potuto, in sole otto o dieci ore, coprire l'immensa città di quei milioni di avvisi? Milioni? Non era esatto. Si trattava di miliardi e miliardi.
Per fare una dispensa simile, ci sarebbe voluto un esercito di distributori e migliaia di scale aeree per andarli a gettare perfino sui tetti.
Ora i nottambuli, che usavano rincasare alle due o alle tre ore della notte, asserivano con tutta serietà che nelle vie di San Francisco non avevano veduto altro... che dei gatti fuggire, ma nemmeno una squadriglia di distributori.
Chi poteva quindi aver inondato la città di quegli avvisi? E poi quali mezzi poteva aver impiegato, perché nessuno lo vedesse?
Quell'avvenimento, assolutamente straordinario, aveva scombussolato tutti; perfino gli scienziati ed i giornalisti.
La cosa non era apparsa naturale. La diavoleria e la stregoneria dovevano entrarci per qualche cosa. Comunque fosse la commozione fu immensa; la curiosità poi assolutamente enorme.
Il nome della Stella Filante era ormai sulle bocche di tutti. Se ne parlava nelle famiglie, negli alberghi, nei bars, nelle vie, nelle piazze, nei clubs.
La Borsa, dinanzi a simile commozione, non rimase indifferente e si fecero scommesse su tutta la linea, secondo l'uso degli americani.
La Stella Filante fu quotata come una cartella di rendita o come un'azione di miniere aurifere, senza poi che nessuno potesse sapere di che cosa si trattasse.
Era appunto questo il punto principale delle scommesse.
– Mille dollari che si tratta d'un nuovo genere di lucido!...
– No, cinquecento che si tratta d'una bestia fenomenale!
– Mai, millecinquecento che la Stella Filante è una celebre domatrice!
– No, deve essere un polipo di nuova specie. A chi tiene cinquemila dollari?
E queste erano le grida che echeggiarono per ventiquattr'ore nelle immense sale della Borsa della capitale californiana.
Erano trascorsi otto giorni da quell'avvenimento stupefacente, quando una nuova pioggia di cartellini multicolori, più abbondante della prima, coperse la città:
«Giovedì 21 agosto a mezzogiorno, nel Garden-square».
Fu un'altra vivissima commozione che scosse tutti gli abitanti, dai grandi centri ai sobborghi.
Mancavano tre giorni, essendo quella pioggia di nuovo genere avvenuta la notte del lunedì, tre giorni da trascorrere in un'impazienza impossibile a descriversi.
Una vera febbre si era impadronita di tutti. Non si lavorava quasi più in San Francisco; tutti gli affari erano stati sospesi con grave danno delle migliaia di navi che attendevano invano i carichi da disseminarsi in tutti i porti del mondo.
La polizia, impensierita, temendo qualche grave avvenimento, si era messa in moto per iscoprire gli autori di quella pioggia fenomenale, senza riuscire nell'intento. Le guardie, incaricate del servizio notturno, nulla avevano notato d'insolito nelle vie della capitale durante la notte del lunedì.
Avevano solamente veduto cadere dall'alto miriadi di avvisi che parevano trasportati dal vento, ma nessuna schiera di persone occupata a spargerli.
Molti ritardatari, che erano tornati alle loro case dopo la mezzanotte, avevano notato anche loro che quei cartellini cadevano dall'alto e niente di più.
Intanto la febbre della curiosità aumentava fra la popolazione californiana, e le più stravaganti scommesse si seguivano con furore. Vi erano state perfino delle dispute, delle zuffe e anche dei duelli!
La mattina del 21 agosto, tutta la popolazione era nelle vie. Fiumi di persone si rovesciavano senza posa negl'immensi giardini del Garden-square, a stento tenute a freno da un numero infinito di agenti di polizia.
Le autorità avevano preso misure eccezionali, facendo venire centinaia e centinaia di agenti da tutte le città vicine ed il Comando aveva consegnato parte delle truppe e disposti parecchi reggimenti d'artiglieria, coi loro cannoni, nei dintorni del parco, perché non erano mancati coloro i quali avevano fatto sorgere il dubbio che potesse trattarsi d'un movimento rivoluzionario abilmente preparato.
Il signor Melville, ispettore capo della pubblica sicurezza, venuto espressamente da Washington per ordine del governo, aveva fatto lasciare nel Garden-square un vasto spazio libero.
Avendo dovuto assumere la direzione delle innumerevoli squadre di agenti, aveva creduto necessario lasciare un certo spazio sgombro, poiché quel bravo ed intelligente funzionario, reputato uno dei migliori di tutta la Confederazione, aveva avuto un sospetto che forse nessuno condivideva, e cioè: che potesse trattarsi di qualche maravigliosa scoperta aerostatica.
A mezzodì il Garden-square era un mare di teste. Migliaia di migliaia di persone avevano occupato tutte le rotonde ed i viali, i boschetti e le aiuole, tutto calpestando e rovinando e pigiandosi come le acciughe nei barili. Anche le vie adiacenti erano zeppe di persone tumultuanti ed irrequiete che facevano sforzi sovrumani per sbucare nei viali del Garden-square. La polizia si trovava impotente e minacciava di venire soverchiata, e anche i reggimenti d'artiglieria, stretti da tutte le parti, correvano il pericolo di vedersi sfondare le linee, tanta era la spinta della folla.
A mezzodì un grido immenso, sprigionatosi da centinaia di migliaia di petti, si propagò da una estremità all'altra del parco, grido che si ripercosse in tutte le vie, sulle terrazze, sui tetti e perfino sulle tolde delle navi che erano gremite di curiosi:
– Guardate!... Guardate!...
Una linea oscura, non bene definita stante la distanza, era stata scorta in direzione dei monti della costa e s'avanzava verso la gigantesca città con velocità fulminea, ingrandendo a vista d'occhio.
Che cos'era? Nessuno avrebbe potuto lì per lì dirlo. Non si scorgeva pel momento, come dissi, che una linea che assumeva però rapidamente la forma d'un sigaro o d'un fuso con certi rialzi ai lati e sul dorso che potevano essere benissimo delle eliche. Scendeva dai monti con una rapidità incredibile. Era stata appena scoperta che già si cominciavano a discernere abbastanza bene le sue forme.
– Una nave aerea! – si gridava da tutte le parti. – Urrah!... Hip!...
– Mille dollari che è montata da cinque uomini!
– Duemila che è guidata da uno solo!
– Cinquemila che il suo comandante ha i capelli neri!
– Cinquecento che è biondo!
Si scommetteva con furore fra un pandemonio di urla, di acclamazioni frenetiche. Pareva che tutta quella gente fosse stata invasa da una pazzia fulminante.
L'ispettore Melville, immaginandosi che quella nave aerea scendesse nel Garden-square, con uno sforzo supremo aveva fatto respingere la folla che tentava d'invadere lo spazio libero, ordinando ai suoi agenti di servirsi delle loro mazze per tenere indietro i più impazienti.
La nave aerea intanto s'avvicinava sempre. Era ormai visibilissima a tutti.
Non si trattava d'uno dei soliti palloni. Era un fuso enorme, lungo una cinquantina di metri, munito di parecchi ordini di eliche disposte sui suoi fianchi e che giravano con velocità vertiginosa.
Particolare interessante: non si vedeva alcuna traccia di fumo, quindi quel congegno misterioso doveva essere privo dei soliti motori a gas od a benzina adoprati in quest'ultimi tempi dai Santos, dai Severo, ecc., gl'inventori più o meno fortunati dei palloni dirigibili.
La nave che doveva chiamarsi la Stella Filante, come era stato annunziato da quelle migliaia e migliaia d'avvisi, giunta sopra il parco descrisse un giro allungato, affinché tutti potessero vederla a loro agio, poi scese lentamente nello spazio tenuto libero dall'ispettore Melville.
Era montata solamente da due uomini: da un bianco e da un negro, che manovrava il timone e aveva dimensioni mostruose; essa era di seta montata su un telaio.
Quattordici eliche, tutte di seta fortissima, si stendevano sui fianchi della nave, alcune disposte in senso verticale ed altre in senso orizzontale.
Un ponte correva sulla nave, da poppa a prora, difeso da una cancellata abbastanza alta per impedire le cadute.
L'uomo bianco era salito sul piccolo ponte di comando, dove si vedevano dei tubi e delle valvole che dovevano far parte di qualche macchina misteriosa, nascosta nel ventre della nave.
Era un giovine di venticinque a trent'anni, coi capelli bruni e la pelle invece bianchissima, d'aspetto molto robusto e di figura elegante, con due occhi nerissimi ed intelligenti.
Con un gesto della mano reclamò un po' di silenzio, ciò che non poté ottenere se non dopo parecchi minuti, poi, con voce chiara e cristallina, disse:
– Cittadini di San Francisco! Io sto per intraprendere la traversata dell'Oceano Pacifico con la mia Stella Filante, che io non esito a chiamare la nave aerea più perfetta e più sicura finora costruita nel mondo.
«Ho cinque posti che metto a disposizione dei miei concittadini al prezzo che essi stessi fisseranno. Se l'esperimento, come non dubito, riuscirà, formerò una compagnia di navigazione aerea, che assicurerà, meglio dei più rapidi piroscafi, una comunicazione costante fra le coste americane ed asiatiche.
«Chi vuole accompagnarmi si faccia innanzi. All'una pomeridiana la Stella Filante salperà senza ritardi per Shangai.»
L'effetto prodotto da quel discorso fu enorme. Centinaia di mani si agitavano in aria per farsi largo, mentre la folla lanciava urrah assordanti.
Il capitano della nave aerea era seduto tranquillamente sul ponte di comando, guardando impassibilmente la folla, come se fosse estraneo a quelle manifestazioni entusiastiche.
Dopo una buona mezz'ora, una quarantina di persone erano riuscite a entrare nello spazio riservato. C'erano dei giovani, dei vecchi e perfino alcune signore elegantissime. Allora s'impegnò fra quella gente una gara a colpi di biglietti da mille per disputarsi quei cinque posti che l'aeronauta aveva serbati per i suoi concittadini.
La vittoria rimase a cinque milionari, i quali avevano spinto il prezzo dei cinque biglietti alla bagattella di centoventimila dollari, prezzo certo superiore al costo della nave aerea.
Due erano proprietari di miniere d'oro, due altri ricchissimi negozianti di carni salate ed il quinto uno dei più noti armatori dei porti dell'Oceano Pacifico, proprietario di più di cinquanta navi.
Il capitano della Stella Filante li ricevette cortesemente a bordo della sua nave, per firmare gli chèques, importanti la cifra totale, poi con voce tuonante diede il segnale della partenza.
Il negro, che gli serviva d'aiutante, mise in moto la macchina misteriosa, le eliche cominciarono a turbinare con una velocità straordinaria e la nave s'alzò lentamente, descrivendo un circolo attorno al parco.
Quella macchina maravigliosa manovrava con una sicurezza da far stupire tutti. S'alzava, s'abbassava, descriveva curve e angoli, s'inclinava e riprendeva poco dopo il suo appiombo.
Certo nessun pallone avrebbe potuto gareggiare con quella Stella Filante. Il problema della navigazione aerea si poteva considerare come ormai definitivamente risolto.
La nave aerea, dopo aver eseguito parecchie evoluzioni sopra quel mare di teste, si diresse verso il porto, passando sopra le navi che erano pure cariche di curiosi non meno entusiasti di quelli che si accalcavano nel Garden-square.
I marinari, schierati sui pennoni, salutavano gli aeronauti con urrah interminabili, mentre le signore sventolavano fazzoletti e gli uomini che le accompagnavano, lanciavano degli hip rimbombanti.
– Signori – disse il comandante, voltandosi verso i cinque milionari, che parevano spaventati di aver avuto poco prima tanto coraggio. – Stiamo per lasciare le coste americane e lanciarci attraverso l'Oceano Pacifico, diretti alle Sandwich. Se qualcuno di voi non si sente di seguirmi lo dica prima che io metta la prora della mia Stella Filante verso occidente.
I cinque milionari si guardarono uno con l'altro. Forse tutti, ora che l'entusiasmo cominciava a sbollire, avrebbero preferito trovarsi nelle loro sontuose dimore, magari seduti su una soffice poltrona dinanzi ad una tavola bene imbandita; ma non ebbero il coraggio di lasciar indovinare i loro pensieri. Non era quello il momento di mostrarsi paurosi, né di coprirsi di ridicolo.
I loro concittadini avrebbero fatto sulle loro spalle delle ben grasse risate se li avessero veduti tornare. No, era troppo tardi per ritirarsi.
– Signore, – disse James Krok, il più ricco ed anche il più attempato dei cinque milionari, – non so che cosa potrà succedere, e se noi toccheremo vivi le coste asiatiche, credo che nessuno di noi chiederà di scendere.
– Non abbiate alcun timore – rispose l'aeronauta. – Avete già veduto come manovra la mia Stella Filante e potete essere certi di giungere sani e salvi sulle terre del Celeste Impero. Noi mostreremo al mondo la possibilità di poter attraversare gli oceani, con piena sicurezza e come ormai il difficile problema della navigazione aerea sia stato sciolto e dagli Americani.
– Vorreste almeno dirci che specie di macchina adoprate per far funzionare le vostre eliche e per sviluppare una forza così immensa da sollevare un fuso di metallo che deve pesare non poco?
– E che non fa fumo e che a quanto pare non consuma carbone? – aggiunse Giacomo Berthon, il ricchissimo armatore.
– È un segreto che pel momento non vi posso svelare interamente – rispose l'aeronauta. – Posso per ora dirvi solamente quale è il gas che dà forza alla mia macchina.
– Un gas! – esclamarono i cinque milionari stupiti.
– Sì, o signori, la mia macchina non è mossa dall'elettricità, come forse avete supposto non vedendo fumo uscire né dalle valvole, né dai tubi, né da alcuna materia combustibile. Io ho adoprato solamente l'idrogeno liquefatto, che sono riuscito solamente ad immagazzinare in cilindri d'acciaio d'una resistenza incalcolabile e nulla di più.
«Questa scoperta affatto recente, della liquefazione dell'idrogeno, mi ha dato la forza necessaria per imprimere alla mia macchina una potenza finora sconosciuta e alle mie eliche una velocità assolutamente fantastica.
«Se il Santos Dumont e tutti gli altri, invece dei loro motori a petrolio od a benzina, avessero utilizzato la forza d'espansione dell'idrogeno liquefatto, forse sarebbero riusciti a risolvere la vecchia questione della navigazione aerea.
«Ed ora, signori, andiamo a fare la nostra corsa attraverso l'immenso Oceano Pacifico. Vi prometto, se non succedono incidenti, di farvi compiere il viaggio in cinque soli giorni.»
Si curvò sulla ringhiera e mostrò ai cinque milionari, ancora stupefatti, il porto di San Francisco, che era ormai diventato così piccolo da scambiarlo con uno stagno perduto su una costa. La città, invece, ormai non si vedeva più.
– È incredibile! – esclamò l'armatore. – Io credevo che ci librassimo ancora sopra la baia.
– Andiamo con la velocità di un treno diretto, signori miei – disse il capitano della Stella Filante. – Le nostre eliche di poppa ci spingono, mentre quelle che agiscono orizzontalmente ci tengono sollevati. Le ali di un'aquila o di un condor non funzionerebbero meglio, e tutto ciò lo dobbiamo alla forza immensa che sviluppa l'idrogeno, che è sette volte superiore a quella che potrebbe fornirci una macchina a vapore della forza di venti cavalli. La frase «più pesante dell'aria» per noi non sussiste più.
La Stella Filante ideata da quell'americano, si comportava anche meglio di una ferrovia. Andava con tutta sicurezza, senza sbalzi, senza un rumore, obbedendo alle minime variazioni dell'immenso timone che era maneggiato dal negro.
La costa californiana era scomparsa sotto l'orizzonte e l'oceano si stendeva in tutta la sua immensità dinanzi agli aeronauti. Qualche nave appariva di quando in quando e vedendo quel mostro di nuova specie solcare lo spazio con la velocità di un alcione, sparava qualche colpo di cannone, non immaginando certo quei marinari che potesse trattarsi d'una nave aerea montata da uomini.
Alle otto della sera, quando il sole scomparve, la Stella Filante si trovava già a quattrocento miglia dalla costa californiana. Quale nave avrebbe potuto rivaleggiare con lei?
I cinque milionari cominciavano a rassicurarsi pienamente e anche ad entusiasmarsi. Ormai pareva loro possibile la creazione di una linea attraverso l'Oceano Pacifico, pel trasporto dei passeggieri. La prova era evidente, lampante.
La navigazione aerea sembrava loro assicurata, mercé quella maravigliosa invenzione.
Santos Dumont ed i suoi seguaci potevano dar fuoco ai loro palloni e andarsi a nascondere. L'America li aveva pienamente sconfitti.
Durante la notte la Stella Filante continuò la sua corsa velocissima verso occidente ed i cinque americani poterono dormire placidamente nelle piccole e graziose cabine che si trovavano nell'interno del fuso.
Il domani la Stella Filante si librava sull'isoletta di Maria Lascara, uno scoglio immenso perduto nell'Oceano Pacifico settentrionale, abitato solamente da granchi di mare e da un numero infinito di uccelli marini.
Stava per sorpassarla, quando un incidente, che doveva avere più tardi terribili conseguenze, accadde.
Per una causa sconosciuta ai cinque milionari, tutte le eliche di tribordo si erano improvvisamente fermate, mentre delle sorde detonazioni rimbombavano nell'interno della nave aerea, dalla parte dove si trovava la macchina misteriosa. Il capitano della Stella Filante si era precipitato verso le valvole, chiudendole precipitosamente, mentre il negro spiegava rapidamente un immenso paracadute.
La nave aerea si era squilibrata, facendo cadere uno sull'altro i cinque milionari e scendeva con una rapidità tale da temere che dovesse sprofondare di colpo negli abissi dell'Oceano Pacifico.
Il paracadute si era subito spiegato e per buona fortuna opponeva una forte resistenza, moderando la discesa del fuso.
– Signore! – gridò l'armatore, che si era alzato pallido come un morto. – Siamo perduti?
– Un semplice accidente che non perderà nessuno – rispose il capitano della Stella Filante, il quale aveva riacquistato la sua tranquillità. – Si tratta d'un guasto avvenuto nella macchina, che io riparerò facilmente. Non spaventatevi: scendiamo sull'isola.
Il vento che soffiava da ponente portava la nave aerea verso lo scoglio, mantenendo sempre ben teso il paracadute. Essa scendeva, ondeggiando, e calava sopra una spianata che era contornata da bellissimi alberi di cocco.
I cinque milionari, a malgrado le assicurazioni del comandante, e la tranquillità del negro, non si sentivano troppo sicuri e si chiedevano con ansietà se il loro viaggio attraverso l'Oceano Pacifico dovesse finire miseramente su quell'isolotto deserto, non visitato probabilmente da alcuna nave.
Mezz'ora dopo la Stella Filante si posava in mezzo alla spianata, senza che gli aeronauti risentissero alcun urto.
Miriadi di uccelli marini fuggivano da tutte le parti e dei granchi enormi dalle zampe pelose scendevano precipitosamente dagli alberi di cocco, rifugiandosi in mare.
– Scendete e se desiderate, cacciate – disse il comandante, facendo portare dei fucili. – Io ed il mio aiutante ripareremo il guasto.
L'occasione era troppo bella per non approfittare. I cinque milionari, un po' rassicurati, presero le armi e si sparsero per l'isolotto dove gli uccelli si mostravano sempre più numerosi, senza manifestare alcuna apprensione per l'arrivo di quegli esseri a due gambe che forse non avevano mai veduti prima.
Avevano cominciato a sparare, quando udirono delle grida partire dal luogo ove si trovava la Stella Filante, poi uno scoppio terribile che fece fuggire uccelli e granchi, quindi videro una fiammata immensa che subito si spense fra una fitta nuvola di fumo.
I cinque californiani, esterrefatti, si erano precipitati verso la spianata, dove poco prima si allungava la nave aerea.
Tutto era scomparso: uomini, fuso, eliche, timone, come se una mina di potenza inaudita avesse lanciato in aria ogni cosa. Solamente qua e là, a varie distanze, si scorgevano dei pezzi di metallo contorti, dei frammenti di tubi, delle schegge di legname e dei brandelli di seta ancora fumanti.
La Stella Filante, quella macchina maravigliosa, che pareva avesse sciolto definitivamente il difficile quesito della navigazione aerea, era scomparsa insieme col suo inventore!... Il segreto di quella scoperta così importante, che avrebbe dovuto portare una vera rivoluzione nel mondo e nei sistemi di locomozione fulminea, era morto per sempre.
Che cosa poteva essere avvenuto? Era scoppiata la macchina od i cilindri ripieni d'idrogeno liquido? Forse una e gli altri insieme.
Invano i cinque milionari cercarono qualche avanzo dei due poveri aeronauti. I loro corpi dovevano essere stati sminuzzati da quel tremendo scoppio.
Ed ecco i cinque disgraziati, che già si credevano di calare pacificamente sulle coste asiatiche, fra l'ammirazione delle popolazioni gialle, tramutati in Robinson.
Meno male che possedevano dei fucili, un po' di munizioni, che i volatili ed i granchi abbondavano prodigiosamente e che in certe depressioni dello scoglio si era radunata un po' d'acqua piovana che poteva durare per qualche mese.
Erano d'altronde uomini da non scoraggiarsi. Come la maggior parte dei ricchissimi americani, nella loro gioventù ne avevano passate delle brutte e non erano nati con i milioni in tasca.
Si misero quindi di comune accordo all'opera per costruirsi un ricovero, a fine di mettersi al riparo dagli ardori del sole e anche dall'umidità della notte, quantunque non dubitassero che il loro isolamento non dovesse durare a lungo.
I loro parenti, non ricevendo più alcuna notizia da Shangai, avrebbero certamente indovinato che qualche catastrofe doveva essere avvenuta e non avrebbero indugiato a mandare navi per cercarli.
Ed infatti, non erano trascorsi cinque giorni dall'avvenuta catastrofe, quando udirono un colpo di cannone rimbombare sull'oceano.
Una grossa nave a vapore s'accostava all'isolotto, sparando per attirare l'attenzione delle persone che vi si potevano trovare. Il capitano, avendo scorto del fumo innalzarsi sopra la capanna costruita dai milionari e sapendo che quell'isola non era mai stata abitata, aveva diretto la nave verso di essa, supponendo che vi fossero naufraghi.
E, caso veramente straordinario, quella nave era una di quelle appartenenti al ricco armatore, che tornava dai porti della Cina con un carico di sete.
Potete figurarvi la sorpresa del comandante, nel trovare il suo armatore rifugiato su quell'isolotto in compagnia dei due negozianti di carni salate e dei due proprietari di miniere.
I cinque ricconi furono tosto condotti a bordo, la nave riprese la sua corsa verso le spiagge americane e sette giorni dopo entrava nella baia di San Francisco.
I cinque milionari invano cercarono di scoprire chi poteva essere quell'audace aeronauta che, senza quel disastro, avrebbe risolto la questione della dirigibilità delle macchine volanti e degli aerostati.
La grande scoperta era morta col suo inventore, ed i suoi disegni dovevano essere stati distrutti dall'esplosione dei serbatoi d'idrogeno liquido.
Una colonna formata da rocce corallifere, strappate al suolo dell'isolotto e fatta innalzare dai cinque milionari, ricorda solo che in Maria Lascara periva il più grande degl'inventori moderni.