I racconti della Bibliotechina Aurea Illustrata/Il piccolo guerriero del Transwaal

Il piccolo guerriero del Transwaal

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La Stella del Sud Il Re dei Re

IL PICCOLO GUERRIERO DEL TRANSWAAL


La guerra fra la potentissima nazione inglese e le due piccolissime repubbliche dell'Africa meridionale, l'Orange ed il Transwaal, era scoppiata tremenda.

Le piccole legioni degli antichi coloni olandesi, erano accorse animose, piene di fede nella santità della loro causa e di entusiasmo, in difesa delle loro frontiere, fieramente decise di difendere l'indipendenza delle loro repubbliche o di farsi sterminare fino all'ultimo sui campi di battaglia.

Come da noi nella gloriosa campagna del 1848, iniziata dal valoroso re del Piemonte, Carlo Alberto, contro l'austriaco, i boeri accorrevano ai campi abbandonando le loro terre e le loro fattorie. Vecchi che appena avevano la forza di reggere il fucile, ragazzi che non avevano mai conosciuti gli orrori della guerra e perfino le donne andavano ad ingrossare le piccole ma valorose schiere di Botha, di Delarey, Dewet, di Joubert e di altri generali boeri a cui spettava il difficile compito di far fronte al colosso inglese che rovesciava, sulle due povere repubbliche, centinaia e centinaia di reggimenti.

Fra i tanti ragazzi che si distinsero in quella lunga guerra durata quasi due anni e dove il valore di quei campagnuoli africani rifulse di gloria facendo stupire il mondo, è rimasto celebre Dik Herson, figlio d'un povero coltivatore dell'Orange.

Dik, al pari dei suoi piccoli compagni del distretto, aveva appreso ben presto la manovra delle armi.

Suo padre, che aveva combattuto più volte contro i negri e che aveva affrontato più volte i leoni ed i leopardi che si mostravano ancora numerosi, volendo fare del figlio un valoroso difensore della patria, a dieci anni gli aveva insegnato a sparare il fucile ed a sedici Dik era diventato un meraviglioso tiratore.

A cento metri con una palla spegneva una candela ed a duecento forava un fiorino d'argento, esercizi senza dubbio stupefacenti per noi ma comunissimi fra i boeri dell'Africa meridionale, i quali godono tuttora la fama di essere i primi bersaglieri del mondo.

Al principio della campagna, Dik aveva manifestato il desiderio di raggiungere l'esercito di Botha, uno dei più valorosi generali del Transwaal che aveva già inflitto alle armate inglesi sanguinosissime sconfitte in vari luoghi di quell'immenso territorio.

Suo padre però lo aveva forzato a rimanere a guardia della fattoria, promettendogli che in caso di necessità lo avrebbe fatto chiamare.

Dik non aveva osato contraddire l'ordine del padre ed era rimasto a casa, rodendo il freno come un giovane cavallo e mordendosi le pugna ogni volta che giungeva alla fattoria l'eco di qualche nuova battaglia guadagnata dalle piccole e valorose schiere delle due repubbliche.

Erano già trascorsi alcuni mesi, quando una sera si arrestava dinanzi alla fattoria un cavaliere boero. Era un vecchio combattente che aveva ricevuto, alcune settimane prima, una ferita ad un fianco ed una al braccio in uno scontro avvenuto sulle rive dell'Orange.

Batté alla porta, chiedendo ospitalità.

Le case boere, anche prima della guerra, si aprivano a due battenti a qualunque straniero che avesse chiesto ricovero e vitto. Quei bravi campagnuoli più ospitali ancora degli arabi, facevano sempre buon viso anche ad un pezzente che poteva essere anche qualche bandito.

Appena entrato, il vecchio soldato guardò Dik con particolare attenzione, poi gli chiese:

– Sei tu il figlio di Herson, il coltivatore di Hollar?

– Sì – rispose il giovane.

– Mi rincresce di doverti dare una brutta notizia che ti recherà molto dolore.

– Venite da parte di mio padre? – chiese Dik, impallidendo.

– Sì – disse il vecchio soldato. – Reco a te la sua benedizione.

– È morto! – esclamò Dik diventando livido.

– È stato fucilato ieri mattina dagl'inglesi.

«L'altra sera, mentre noi ci trovavamo a guardia d'un guado, fummo improvvisamente assaliti da due reggimenti di fanteria montata, i quali, col favor delle tenebre, erano riusciti a girare la nostra posizione e prenderci.

«Noi non eravamo che in centocinquanta e gl'inglesi erano più di duemila e quattrocento, con due pezzi di cannone, e tuo padre, che era stato creato ufficiale sul campo di battaglia da Botha, ci comandava. La ritirata ci era impossibile. Il fiume, ingrossato da un acquazzone diluviale, non ci permetteva di guadarlo senza correre pericolo di annegarci.

«Tuo padre, che non conosceva la paura, ci diede il comando di far fronte alle masse nemiche, colla speranza che le fucilate e le cannonate potessero essere udite da qualche colonna dei nostri. Combattemmo terribilmente fra le tenebre, sotto una grandine di palle che seminavano la strage fra le nostre file.

«All'alba, dei centocinquanta non rimanevano in piedi che undici uomini, compreso tuo padre.

«Anche gl'inglesi avevano pagata ben cara la vittoria. Ammassi di cadaveri, uomini e cavalli, giacevano dinanzi a noi.

«Comprendendo che la resistenza a nulla sarebbe valsa, tuo padre, che era già stato ferito, si arrese dopo aver ottenuta la promessa che avremmo avuto salva la vita.

«Invece appena cedemmo le armi tuo padre fu preso, gli ordinarono di scavarsi la fossa e lo fucilarono senza giudizio affermando, a loro scusa, d'essere uno straniero ai servizi dell'Orange.

«Io ho raccolto il suo estremo sospiro, non avendolo la scarica dei soldati subito ucciso.

«Nella notte io riuscii a fuggire e sono venuto qui a portarti la sua benedizione.»

Il giovane Dik aveva ascoltato il vecchio soldato senza pronunciare una parola e senza versare una sola lagrima. Il dolore però che traspariva dal suo viso spaventosamente alterato era così intenso, che il soldato temette di vederlo impazzire.

– Coraggio, ragazzo – gli disse. – Sono casi che toccano in guerra.

– Grazie – rispose Dik, con voce strozzata. – Ditemi il nome del capitano inglese che ha ordinata la fucilazione di mio padre.

– È John Douglas, comandante del 4° reggimento della fanteria irlandese montata.

– Me lo ricorderò.

Portò al vecchio del pane, del latte e della carne fredda, poi prese il suo fucile, indossò nuove vesti, si cinse la cartucciera e sellò un cavallo.

– Dove vai, ragazzo? – chiese il vecchio, vedendolo rientrare così armato.

– A vendicare mio padre – rispose il valoroso giovane. – Ho sedici anni ed il fucile non mi pesa più e molti altri, anche più giovani di me, sono al campo. Voi, che siete invalido, rimanete a guardia della mia fattoria; io vado a prendere il vostro posto.

Ciò detto salì a cavallo e s'allontanò per nascondere le lagrime che ormai non era più capace di frenare.

Tre giorni dopo il ragazzo si presentava al generale boero Cronie, uno dei più intrepidi che aveva battuto terribilmente gl'inglesi a Colenso e a Ladysmith, coprendosi di gloria.

– Mio padre è morto per la patria, generale – disse Dik. – Io vengo a surrogarlo.

– Tu sei un giovane valoroso – gli rispose Cronie. – Tu non sarai meno degno del tuo povero genitore, la cui audacia era nota fra i miei soldati.

Fu assegnato al riparto degli esploratori, dove i ragazzi erano numerosi e rendevano servigi importantissimi.

Agili, svelti, valorosi non meno dei vecchi combattenti, montati su piccoli cavalli scelti con cura e velocissimi, sfuggivano più facilmente alle imboscate che tendevano a loro senza tregua gl'inglesi che potevano disporre d'un numero di combattenti venti volte superiori a quelli che avevano ai loro ordini i bravi generali boeri.

Dik si era subito fatto notare per la sua maestria nel cavalcare, per la sua resistenza e pel suo sangue freddo. Quantunque fosse uno dei più giovani, dopo poche settimane si era guadagnata una grande stima.

Aveva sventato parecchie sorprese tentate dalla fanteria montata inglese, che stava sempre all'erta per poter sorprendere il piccolo corpo di Cronie.

Nella sanguinosa battaglia di Spinkop aveva ricevuto, senza tremare, il battesimo del fuoco, arrampicandosi fra i primi su per quei formidabili bastioni di rupi, dove gl'inglesi si tenevano sicurissimi e dove invece subirono la più terribile disfatta, lasciando sul terreno migliaia e migliaia di cadaveri.

Dopo però tante clamorose vittorie, i tristi giorni erano venuti anche per gl'intrepidi boeri.

Minacciato da forze enormi, schiaccianti, l'esercito boero aveva dovuto frazionarsi e battere in ritirata dinanzi alle infinite masse inglesi guidate da Lord Robert, il più valente generale che avesse l'Inghilterra.

Dik non si era separato da Cronie, pel quale aveva ormai un affetto di figlio.

Lo aveva seguìto nella sua ritirata attraverso l'Orange e sempre colla speranza che un giorno le vicende della guerra lo mettessero, per caso, di fronte all'assassino di suo padre.

Il nome di John Douglas non gli era più uscito dal cervello e mattina e sera se lo ripeteva, per paura di scordarselo.

Intanto la campagna cominciava a volgere alla peggio, se non per gli altri generali almeno pel piccolo esercito guidato da Cronie.

Impacciato dal numero enorme di carri e di bestiame, l'esercito a poco a poco, senza avvedersene, si era lasciato circondare senza speranza di poter uscire dal cerchio di ferro che lo minacciava da tutte le parti.

Erano sessantamila uomini con cinquanta cannoni che si preparavano a massacrare i quattromila boeri di Cronie se rifiutavano la resa.

Il generale boero non si era per questo perduto d'animo. Rifugiatosi coi suoi valorosi su una collina dominante il corso del Tugela1 che in quei giorni non era guadabile a causa d'un acquazzone furioso, si era preparato a sostenere coraggiosamente l'impari lotta con quell'entusiasmo che solo l'amor della patria calpestata dallo straniero può infondere. Si era proposto di morire sotto le rovine dei suoi ridotti e di far stupire non solo l'esercito inglese, bensì anche il mondo intero, piuttosto che arrendersi.

Mentre i suoi uomini scavavano frettolosamente dei profondi fossi per mettersi al coperto dalle artiglierie inglesi e ammassavano sulla cima della collina i loro duemila carri ed i loro diecimila buoi, tentava di organizzare la ritirata verso il fiume, sperando in un rapido decrescimento delle acque.

L'onore di quell'ardua esplorazione era stato affidato al drappello di avamposti di cui faceva parte il piccolo Dik, che era stato, quantunque così giovane, già nominato cornetta di campo, grado che equivaleva a quello di alfiere.

Il drappello, composto d'una cinquantina di cavalieri, per la maggior parte giovanissimi e ormai rotti a tutte le fatiche ed a tutti i pericoli, la notte che doveva precedere la battaglia lasciava tacitamente il campo ed eludendo la vigilanza delle avanguardie inglesi, riusciva a giungere sulla riva del fiume.

Ancora una delusione aspettava quei prodi. Il fiume correva torbido e velocissimo chiudendo l'ultimo scampo delle valorose schiere di Cronie e per di più le rive erano guardate da forti riparti di fanteria montata.

Alcuni esploratori mandati innanzi erano riusciti a sorprendere una sentinella inglese trovata addormentata ed il soldato, minacciato di morte, aveva dovuto confessare che quattro reggimenti si trovavano nascosti fra gli alberi della riva, per impedire ai boeri il guado.

Udendo parlare di fanteria montata, il piccolo Dik si era sentito salire in viso una vampa d'ira.

Dunque l'assassino di suo padre sta là, dinanzi a lui, alla testa del suo reggimento!

Interrogò il prigioniero e ne ebbe la conferma. John Douglas comandava l'ala sinistra che s'appoggiava al Tugela.

– Checché possa succedere, mio padre sarà vendicato – si era detto il giovane eroe.

Tornato il drappello al campo, si era recato subito da Cronie, il quale, come dicemmo, nutriva un'affezione particolare pel figlio del fucilato.

– Mio generale – gli disse. – L'assassino di mio padre si trova sulle rive del fiume. Egli è ancora vivo e mio padre è morto ed io non l'ho ancora vendicato.

– Che cosa vuoi fare, ragazzo? – chiese Cronie.

– Andare a ucciderlo – rispose risolutamente Dik.

– In mezzo ai suoi soldati? Sarebbe una pazzia che ti costerebbe la vita, senza poter vendicare la morte di tuo padre.

– Dovrò dunque lasciarmi sfuggire quest'occasione che forse più mai tornerà a offrirsi?

– La battaglia non è ancora cominciata, Dik, e chissà che John Douglas non si presenti a tiro del tuo fucile. Va', ragazzo, prima la patria, poi la tua vendetta. Ti prometto che non ti dimenticherò.

I primi colpi di cannone che tuonarono con sinistro rimbombo sulla pianura circondante la collina, misero fine al loro colloquio.

L'immenso esercito inglese che aveva ormai compiuto l'accerchiamento del campo boero, s'avanzava in masse profonde e compatte, deciso a schiacciare quel pugno di eroi.

Lord Robert, il generalissimo inglese, spingeva i suoi numerosissimi reggimenti all'attacco sperando in una pronta resa, ma aveva dinanzi dei nemici che avevano ormai fatto il sacrificio della loro vita per la difesa della patria.

Nascosti nei loro profondi fossati che si allargavano per di sotto restringendosi invece a fior di terra, quei meravigliosi e abilissimi tiratori avevano accolto le prime avanguardie inglesi con un attacco di fucileria così terribile da arrestare di colpo lo slancio di quei poderosi reggimenti e da far loro subire perdite crudelissime.

Il fuoco era così intenso e così regolato, che in meno di mezz'ora tutta la pianura era coperta da ammassi di cavalli e di uomini morti e moribondi.

Lord Robert, compreso che non sarebbe riuscito a prendere di fronte il campo boero, difeso da uomini così intrepidi, dopo vari inutili tentativi, si era deciso di opprimere quei valorosi col fuoco delle sue artiglierie.

Cinquanta pezzi di cannone furono messi in batteria e fulminarono la collina con un orrendo frastuono.

Le granate, cariche di lyddite – materia tremendamente esplosiva che lanciava dei gas asfissianti – si seguivano alle granate con un crescendo spaventoso.

Scoppiavano a centinaia e centinaia, sconvolgendo dovunque il suolo, rovinando i margini dei fossati e mutilando orrendamente quei valorosi che preferivano farsi uccidere piuttosto che arrendersi all'odiato nemico.

Ammassi di fumo asfissiante coprivano la collina, ondeggiando pesantemente fra le rocce, mentre i buoi dei carri che i boeri non avevano potuto mettere al coperto, cadevano a centinaia e centinaia massacrati da quell'uragano di fuoco e di acciaio.

I boeri però non cedevano. Sepolti nei loro fossati, rispondevano vigorosamente, quantunque penassero a respirare fra tutta quella polvere puzzolente che provocava furiosi colpi di tosse.

Quando un colpo di vento la disperdeva e potevano distinguere gli artiglieri inglesi, si seguivano scariche di fucileria che distruggevano alla lettera gli uomini addetti al servizio dei pezzi.

Lord Robert era pronto a surrogare i morti. Truppe ne aveva perfino troppe e non le risparmiava.

La condizione dei boeri diventava tuttavia sempre più grave.

Le granate, massacrati i buoi, avevano dato fuoco in duemila carri accumulati sulla cima della collina e quei colossali furgoni, che sono vere case ambulanti, fiammeggiavano arrostendo gli ultimi animali che erano sfuggiti a quell'uragano di ferro.

Spettacolo terribile, indimenticabile, ma che pure non riusciva ancora a scuotere la salda fibra di quegli eroici difensori della patria, presi fra il fuoco ed i proiettili nemici.

Tutto il giorno e tutta la notte i cannoni inglesi continuarono a tuonare senza un istante di tregua, con un frastuono assordante.

I morti, in fondo ai fossati che le granate ormai avevano in gran parte scoperti, non si contavano più e centinaia e centinaia di feriti gemevano ammonticchiati alla rinfusa.

Cronie non aveva ancora dato il segnale della resa, quantunque ormai avesse compreso l'inutilità dell'eroismo dei suoi uomini.

Sperava ancora in una sortita disperata, in uno di quei colpi di testa che avevano ormai resi leggendari i generali delle due piccole repubbliche.

Il fiume non era che a due chilometri e forse a quell'ora le sue acque erano diventate guadabili. In quel momento supremo si ricordò del giovane Dik che combatteva accanitamente in una trincea avanzata e mandò uno dei suoi uomini a cercarlo.

Aveva una fiducia illimitata in quel soldato, quantunque non fosse che un ragazzo.

– Dik – gli disse quando se lo vide dinanzi. – Io posso darti il mezzo di vendicare tuo padre.

– Parlate, mio generale – rispose il giovane.

– Tu che hai sempre abitato presso le rive del Tugela, conosci bene il corso del fiume?

– L'ho percorso per cinquanta o sessanta chilometri.

– Dove potresti trovare un guado possibile da attraversarsi?

– Forse presso la Roccia Nera. Colà l'acqua non credo che sia molto profonda malgrado la piena.

– Ti affido l'incarico di andare ad assicurarti se le mie truppe potrebbero passare il fiume. Prendi cinquanta uomini, i più valenti e va', mio bravo ragazzo. Avrai di fronte la fanteria montata; chissà che non incontri l'assassino di tuo padre. Abbracciami, Dik. Tu vai incontro alla morte.

– Non mi fa paura, generale – rispose il giovane con voce commossa. – Saprò morire come una cornetta da campo.

Abbracciò il generale e strisciò fuori dalla trincea.

L'artiglieria inglese aveva ricominciato il fuoco. Le granate scoppiavano da tutte le parti con violenza inaudita, sollevando nembi di terra e di pietre e spargendo dovunque i loro gas mefitici.

Strisciando con precauzione, venendo volta a volta coperto dalla terra, Dik raggiunse il suo fossato, un canalone immenso che conteneva tre o quattrocento combattenti e buon numero di cavalli.

Scelse i suoi cinquanta uomini e attese la notte per tentare l'ardua esplorazione.

Di giorno sarebbe stata una follia, poiché le avanguardie inglesi avevano stretta per bene la base della collina a fine d'impedire ai boeri ogni via di scampo.

Quando le tenebre scesero, la cornetta di campo ed i suoi cinquanta uomini uscirono cautamente dal fossato, salirono in sella e scesero i sentieri della collina.

Erano combattenti solidi, che avevano sfidata la morte su dieci campi di battaglia e decisi a tutto pur di trovare un passaggio al piccolo esercito di Cronie.

Le artiglierie inglesi, dopo un furioso rimbombare, avevano a poco a poco cessato il fuoco. Non si udiva che ad intervalli qualche colpo di cannone tuonare in lontananza e qualche granata scoppiava fra le tenebre spargendo all'intorno lampi sanguigni.

Il drappello, giunto inosservato alla base della collina, si radunò su due colonne e armò i fucili. Si trattava di passare, a corsa sfrenata, in mezzo alle avanguardie che dovevano essere numerose e non tutte addormentate.

– Camerati – disse Dik. – Non dimenticate che, se riusciremo nell'impresa, quattromila compagni dovranno a noi la loro libertà.

– Avanti – risposero i boeri.

Cacciarono gli speroni nel ventre dei cavalli e si rovesciarono come un uragano attraverso il campo inglese, sparando all'impazzata a destra ed a sinistra per terrorizzare maggiormente i nemici.

Parevano cinquanta demoni. I primi soldati che cercano di far fronte vengono travolti sotto le zampe dei cavalli e le tende vengono abbattute come sotto il soffio poderoso d'un uragano.

L'attacco è così fulmineo, che le avanguardie non pensano nemmeno a opporre resistenza. Da tutte le parti gl'inglesi, mezzi addormentati e terrorizzati da quelle grida e da quegli spari fuggono disordinatamente.

Guai se Cronie in quel momento avesse lasciato il suo accampamento e avesse lanciati i suoi uomini all'assalto. Ma il generale non poteva credere a tanta fortuna.

L'animoso drappello sfonda una dietro l'altra le linee già malferme dei nemici e scompare fra una fucileria intensa, in direzione del fiume.

Una diecina sono caduti, ma Dik era sfuggito miracolosamente al fuoco, sia pure irregolare ed incerto degl'inglesi.

Un'ora dopo la piccola colonna, che aveva rallentata la corsa per non attirare l'attenzione della fanteria montata che occupava le rive del fiume, giungeva presso la Roccia Nera, là dove Dik sperava di trovare il guado che doveva salvare l'esercito di Cronie.

Il luogo era deserto. Gl'inglesi non credendo che i boeri potessero spingersi fino a quel punto, avevano trascurata la sorveglianza del passaggio che forse d'altronde ignoravano.

I cavalieri accertatisi dell'assenza dei nemici, spinsero gli animali nel fiume e giunsero felicemente sulla riva opposta.

Il guado era stato trovato ed accessibile. La salvezza dell'esercito di Cronie pareva possibile.

Tornarono sulla riva da cui erano partiti. Si trattava di avvertire il generale della preziosa scoperta, cosa non certo facile; pure tutti furono concordi nel far ritorno al campo, avessero dovuto passare una seconda volta attraverso le avanguardie inglesi.

Avevano già lanciati i cavalli al galoppo, quando verso la collina udirono un rimbombo spaventevole.

Lord Robert, avvertito che i boeri si preparavano a forzare il passaggio del fiume e che uscivano dai fossati, lanciava tutto il suo esercito all'assalto della collina mentre i suoi cinquanta cannoni vomitavano uragani di mitraglia. Dik si era fermato pallido di rabbia e colla morte nel cuore.

– Troppo tardi! – aveva esclamato.

– I nostri camerati sono perduti – avevano risposto i suoi compagni.

– Guadiamo il fiume e salviamoci sulla riva opposta finché abbiamo tempo – disse un vecchio boero. – Il sacrificio della nostra vita non apporterebbe alcun vantaggio al generale, mentre noi possiamo essere ancora utili alla patria.

Non v'era null'altro da fare. La collina, stretta da tutte le parti da sessantamila uomini che montavano all'assalto, stava per cadere nelle mani di quel nemico preponderante.

– In ritirata! – gridò Dik colle lagrime agli occhi.

Avevano già volti i cavalli quando in mezzo al frastuono orrendo di quei numerosi reggimenti che s'avanzavano verso quei pochi boeri con urrah! assordanti, si udirono vicinissime delle scariche di moschetterie.

– La fanteria montata! – gridarono gli esploratori.

Uno squadrone di cavalieri era improvvisamente comparso tra gli alberi che ingombravano le rive del fiume ed aveva aperto il fuoco contro il drappello.

– Amici! – gridò Dik che non aveva perduto la testa. – Prendiamo posizione.

In un baleno i quaranta boeri scesero dalle selle, fecero coricare i cavalli e vi si nascosero dietro armando i fucili.

La fanteria montata, dopo aver fatto un paio di scariche, si preparava a caricare colla sciabola in pugno credendo di aver buon giuoco contro quel pugno di cavalieri.

Alla loro testa Dik aveva scorto, alla luce della luna che stava allora sorgendo, un ufficiale d'alta statura che cavalcava un superbo animale dal mantello nero. Nel vederlo aveva provato un colpo al cuore.

– Se fosse John Douglas! – s'era chiesto.

Lo squadrone caricava alla disperata colle sciabole alzate gridando a squarciagola:

– Arrendetevi!

– Fuoco! – gridò invece Dik.

I quaranta boeri, appiattati dietro i loro cavalli, risposero con una scarica nutrita che mandò sossopra un bel numero d'uomini e di cavalli.

Lo squadrone tuttavia, quantunque decimato, aveva continuata la carica e l'ufficiale, prima di tutti era saltato al di là della prima linea, urlando:

– Largo a John Douglas, l'invincibile!

Un urlo terribile aveva risposto a quella spacconata. Dik si era alzato dietro al cavallo col fucile puntato.

Mirò l'ufficiale poi fece fuoco gridando:

– Io sono il figlio di Herson, il fucilato.

L'ufficiale colpito in mezzo al petto era caduto da cavallo, abbandonando la sciabola.

Dik stava per balzargli addosso, quando un sergente che seguiva l'ufficiale, gli sparò a bruciapelo un colpo di rivoltella.

Un urlo di furore si era alzato fra i boeri.

– Vendichiamo la nostra cornetta!

Si erano stretti attorno al cadavere del povero giovane, fucilando rabbiosamente i cavalieri la cui carica si era rallentata dopo la morte del loro comandante.

Bastarono quattro scariche per disperdere quei mercenari, assai assottigliati di numero. Furono veduti fuggire verso il campo inglese e scomparire in mezzo ai boschi che fiancheggiavano il fiume.

I boeri sollevarono Dik; ormai il povero giovane era spirato. La palla del sergente lo aveva colpito al cuore e la morte era stata istantanea.

Lo avvolsero nella coperta del suo cavallo e guadarono il fiume per dargli onorevole sepoltura scavandogli una fossa presso un enorme baobab sul cui tronco incisero il suo nome.

L'eroismo del giovane boero era stato vano. L'esercito inglese, sicuro delle proprie forze, aveva intanto assalito il generale Cronie da tutte le parti, impedendogli di operare la sua ritirata verso il fiume.

Quattordici ore era durata la battaglia, con perdite enormi da una parte e dall'altra, poi i boeri sfiniti avevano dovuto arrendersi.

Non ne erano rimasti che duemila e cinquecento. Quei valorosi venivano più tardi imbarcati e trasportati nell'isola di Sant'Elena, dove ottantacinque anni prima era morto il grande Napoleone e dove vi rimasero fino alla fine della guerra, terminata colla sottomissione delle due sfortunate repubbliche.


Note

  1. Un fiume dell'Orange.