I quattro libri dell'architettura (1790)/Libro I - VI

Libro I - Capitolo VI

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CAPITOLO VI.

Dei Metalli.


I Metalli, che nelle fabbriche si adoperano, sono il ferro, il piombo, ed il rame. Il ferro serve per fare i chiodi, i cardini, i catenaccj, co’ quali si chiudono le porte: per fare le porte stesse, le serrate e simili lavori. In niun luogo egli si ritrova e cava puro: ma cavato si purga col fuoco: conciosia che egli si liquefaccia in modo, che si può fondere, e così avanti che si raffreddi, se gli levano le feccie: ma dapoi ch’è purgato e raffreddato, si accende bene e diventa molle e si lascia dal martello maneggiare e stendere. Ma non può già facilmente fondersi, se non è di nuovo messo in fornaci fatte per questo effetto; se infocato ed acceso non si lavora e restrigne a colpi di martello, si corrompe e consuma. Sarà segno della bontà del ferro, se ridotto in massa, si vedranno le sue vene continuate e diritte e non interrotte, e se le teste della massa saranno nette e senza fecce: perchè le dette vene dimostreranno che il ferro sia senza groppi e senza sfogli, e per le teste si conoscerà, quale egli sia nel mezzo. Ma se sarà ridotto in lamine quadre, o di altra figura, se i lati saranno diritti, diremo ch’egli sia ugualmente buono, avendo potuto ugualmente resistere a i colpi de’ martelli.

Di piombo si coprono i palazzi magnifici, i tempj, le torri, ed altri edificj publici: si fanno le fistule o canaletti che diciamo da condurre le acque; e si affermano con piombo i cardini e le ferrate nelle erte delle porte e delle finestre. Si ritrova di tre sorti, cioè bianco, negro e di color mezzano, tra questi due, onde da alcuni è detto cineraccio. Il negro così si chiama, non perchè sia veramente negro, ma perchè è bianco con alquanto di negrezza; onde a rispetto del bianco con ragione gli Antichi gli diedero tal nome. Il bianco è più perfetto e più pregiato del negro; il cineraccio tiene tra questi due un luogo di mezzo. Si cava il piombo o in masse grandi, le quali si ritrovano da per sè senz’altro: o si cavano di lui masse picciole, che lucono con certa negrezza; o si trovano le sue sottilissime sfoglie attaccate nei sassi, nei marmi e nelle pietre. Ogni sorte di piombo facilmente si fonde, perchè con l’ardore del fuoco si liquefà prima che si accenda; ma posto in fornaci ardentissime non conserva la sua specie e non dura: perchè una parte si muta in [p. 6 modifica]litargirio, un’altra in moliddena. Di queste sorti di piombo, il negro è molle e per questo si lascia facilmente maneggiar dal martello e dilatarsi molto ed è pesante e grave: il bianco è più duro ed è leggiero; il cineraccio è molto più duro del bianco e quanto al peso tiene il luogo di mezzo.

Di Rame si coprono alcuna volta gli edificj publici e ne fecero gli Antichi i chiodi, che doroni volgarmente si chiamano: i quali nella pietra di sotto, ed in quella di sopra fissi, vietano che le pietre non uengano spinte di ordine e gli arpesi, che si pongono per tenire unite e congiunte insieme due pietre a paro; e di questi chiodi, ed arpesi ci serviamo, acciocchè tutto l’edificio, il quale per necessità non si può fare se non di molti pezzi di pietra, essendo quelli in tal modo congiunti e legati insieme; venga ad essere come di un pezzo solo e così molto più forte e durabile. Si fanno anco chiodi ed arpesi di ferro; ma essi li fecero per lo più di rame, perchè meno dal tempo può essere consumato, essendo ch’egli non rugginisca. Ne fecero anco le lettere per le inscrizioni, che si pongono nel fregio degli edificj e si legge che di questo metallo erano le cento porte celebri di Babilonia; e nell’Isole di Gade due colonne d’Ercole alte otto cubiti. Si tiene per eccellentissimo e per lo migliore quello, che cotto e cavato per via del fuoco dalle minerali è di color rosso tendente al giallo ed è ben fiorito, cioè pieno di buchi: perchè questo è segno ch’egli sia purgato e libero da ogni feccia. Il rame si accende come il ferro e si liquefà, onde si può fondere: ma posto in ardentissime fornaci, non tollera le forze delle fiamme, ma si consuma affatto. Egli benchè sia duro si lascia nondimeno maneggiare dal ferro e dilatarsi anco in sottili sfoglie. Si conserva nella pece liquida ottimamente e tutto che non si rugginisca, come il ferro; fa nondimeno ancor egli la sua ruggine, che chiamiamo verde rame, massimamente se tocca cose acri e liquide. Di questo metallo mescolato con stagno, o piombo, o ottone che ancor esso è rame, ma colorito con la terra cadmia; si fa un misto detto volgarmente Bronzo: del quale spessissime volte gli Architetti si servono: perciocchè se ne fanno base, colonne, capitelli, statue, ed altre cose simili. Si veggono in Roma in San Giovanni Laterano quattro colonne di bronzo: delle quali una sola ha il capitello, e le fece fare Augusto del metallo, ch’era negli speroni delle navi ch’egli conquistò in Egitto contra M. Antonio. Ne sono anco restate in Roma fin ad oggi quattro antiche porte, cioè quelle della Ritonda, che fu già il Pantheon, quella di Sant’Adriano, che fu il Tempio di Saturno, quella de SS. Cosmo e Damiano, che fu il Tempio di Castore e Polluce, o pure di Romolo e Remo, e quella, che si vede in Sant’Agnese fuori della porta Viminale, oggi detta Sant’Agnese, su la via Numentana. Ma la più bella di tutte queste è quella di Santa Maria Ritonda, nella quale volsero quegli Antichi imitare con l’arte quella specie di metallo Corintio, in cui prevalse più la natura gialla dell’oro: perciocchè noi leggiamo che quando fu destrutto, ed arso Corinto, che ora si chiama Coranto, si liquefecero e unirono in una massa l’oro, l’argento, ed il rame e la fortuna temprò e fe’ la mistura di tre specie di rame, che fù poi detto Corintio. In una delle quali prevalse l’argento, onde restò bianca e si accostò molto col suo splendore a quello: in una altra prevalse l’oro e però restò gialla e di color d’oro: e la terza fu quella, dove fu uguale il temperamento di tutti questi tre metalli; e queste specie sono state poi diversamente imitate dagli uomini. Io ho fin quì esposto quanto mi è parso necessario di quelle cose che [p. 7 modifica]si deono considerare ed apprestare avanti che a fabbricar si incominci; resta ora che alcuna cosa diciamo de’ fondamenti, da’ quali la preparata materia si comincia a mettere in opera.