I profughi dell'Olimpo
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XV
i PROFUGHI DELL’OLIMPO
Ingrediare, deôm soboles : patet hospita vobis |
E intanto, all’ora bruna,
vanno a torme gli dèi, come i pitocchi,
limosinando dall’umana sede
un grabato e un asil, che li difenda
5dalla pioggia e dal verno.
Arati i volti
han di rughe profonde e nei pensosi
occhi il martiro. Ancor testimonianza
fan dell’Olimpo gli odorati crini
e le rosee cervici ai vagabondi ;
10ma il gesto e l’atto delle sporte palme
e, a quando a quando, un gemito ne accusa
le sommerse fortune.
Asserragliate
rimangono però le avare porte
del
le case ai celesti ; e piú che ad essi
15scorron, credo, benigni i chiavistelli
alla puttana e al ladro.
Or non vi resta,
Latona insigne, che tentar la squilla
del lupanare; e a voi, giovine Febo,
più non rimane che lanciarvi al bieco
20quadrivio ad aspettar, come i lenoni,
la preda al varco; e a voi, splendido Marte,
che vestirvi da birro, invigilando
le prigioni o le forche.
AI mondo in uggia
son venuti gli eterni; e Cristo in croce,
25questo divino galileo. trafitto
pende sul colle, e, le codarde mani
mentre il torvo proconsolo si lava,
l’infame e incastigato oro di Giuda
suona nel sacco ai pallidi uccisori.
30E i pallidi uccisor vivon pur sempre
nelle buie caverne a contar l’oro
d’Iscariotte e patteggiarlo ai figli
sulle bare de’ padri. E non diverso
dal circonciso è un battezzato armento,
35che, sdegnoso di voi, vaghi immortali,
assiderati agli euri e alle pruine
di fuor vi lascia e il focolar vi nega.
Che fai, vecchio Saturno, e tu, marito
di Venere divina, e voi, Polluce
40e Castore, superbi occhi del cielo?
Che fai, col raggio d’una stella in fronte,
candida Urania? Udite, udite il suono
delle mense contese e il ferreo rugghio
de’ chiavistelli. La tribú nefanda
45delle febbri si leva e dal Soratte
spirali le bufie a flagellarvi Tossa.
Ebbe», poveri numi, onde sorrise
la terra d’Asia e fu cantato ai sacri
monti ed ai mari il testamento ncheo;
50ebben, poveri numi, il mio stambugio
io vi schiudo a ricovro.
Entrate, o mesti
pellegrinanti Alle mie mense ancora
qualche stilla d’ambrosia e qualche nappo
di falerno si mesce; a’miei guanciali
55fuma ancor qualche rosa, e nel mio spirto
suona qualcun de’ vostri ilari canti.
Vivrem lontani dall’etá bugiarda,
conversando co’ prodi in Maratona
caduti o lá sul tessalo macigno
60per la gloria del mondo. E il di che gli occhi
mi chiuda morte alla saturnia luce,
voi, mercé dell’asil che vi profersi,
compagnerete l’ospite che vola;
e, coll’aura infinita e le infinite
65stelle confusi, troverem di novo
l’antico Olimpo.
Ché di qua cercarlo,
poveri numi, è inutile speranza.