I predoni del gran deserto/3. I predoni del deserto

3. I predoni del deserto

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2. L’oasi 4. Una strana proposta

I predoni del deserto


L’americano e lo scozzese, che parevano egualmente affamati, fecero una passeggiata nella loro possessione facendo un’ampia raccolta di datteri e di fichi d’India, cibi entrambi sostanziosi, specialmente il primo che è così ricco di materia zuccherina e che basta agli abitanti del deserto, i quali sono assai parchi.

Fecero una scorpacciata di quelle frutta, poi si recarono al pozzo per dissetarsi. Questi pozzi sono costruiti dalle carovane o dagli abitanti del deserto, con dei tronchi di palma scavati e connessi l’un dentro l’altro e scendono talvolta fino a cinquanta metri, ossia fino al deposito d’acqua.

Quello dell’oasi fortunatamente era poco profondo, ma dovettero ricorrere alla navicella per avere un recipiente e delle corde.

Calmata la fame e la sete, si distesero all’ombra d’un cespuglio e si addormentarono tranquillamente, invitati dal caldo eccessivo e dal canto melodioso degli sberegrig.

Sognavano, William di Ernesto e di miss Odowna e lo scozzese del suo colossale progetto, quando furono bruscamente svegliati da un vocìo acuto che veniva dalla parte del deserto.

— In piedi, signor Weddel — disse l’americano scuotendo vigorosamente il compagno. — Pare che vi siano delle visite.

S’alzarono stropicciandosi gli occhi e guardarono verso il deserto.

Venticinque o trenta uomini avvolti in grandi mantelli bianchi, col capo sormontato da turbanti di dimensioni esagerate, il viso coperto più che mezzo da una pezzuola e le larghe fasce riboccanti di pistoloni e di coltellacci, somiglianti agli yatagan degli arabi, stavano fermi attorno al pallone, senza però osare avvicinarsi troppo.

Dietro di loro si scorgevano parecchi cammelli della specie dei mahari, con una sola gobba, animali riservati per la corsa, usati dagli abitanti del grande deserto, più nobili e più eleganti dei djemel, che hanno invece due gobbe e sono destinati a portare i carichi.

— By-God!... — esclamò lo scozzese. — Ancora quegli uccellacci da preda!... Credevo che se ne fossero andati dopo d’avermi saccheggiato, ed ecco invece che ritornano. Avranno veduto il pallone a scendere e saranno venuti a vedere se si tratta della luna o del sole.

— Mi rincresce d’aver lasciato il mio fucile nella navicella — disse William, che osservava curiosamente quegli uomini senza manifestare la menoma apprensione.

— È meglio per noi che sia rimasto là, poiché quei Tuareg vedendosi presi a fucilate non avrebbero tardato a ucciderci.

— Mi pare però che abbiano paura del pallone.

— Vi ripeto che lo scambieranno pel sole o per la luna o per qualche mostro di nuova specie.

— Ecco una bella occasione per spaventarli. Daremo a loro ad intendere che il mio pallone è un mostro formidabile. Aho!... Che idea!... Darò un saggio della forza del mostro.

— In qual modo?...

— Lo saprete più tardi. Volete che andiamo incontro a quei predoni?...

— Andiamo pure, signor Fromster. Ormai ci hanno veduti e presto o tardi ci sarebbero egualmente addosso.

L’americano ed il suo compagno lasciarono l’oasi e si diressero verso il pallone. I Tuareg non si mossero, ma armarono prudentemente i loro lunghi fucili a pietra.

— Salem aleka1 — disse William, che conosceva l’arabo.

— Chi siete voi — chiese un Tuareg che doveva essere il capo, nell’egual lingua.

— Habàbah2 — rispose William.

— Sei tu il proprietario di quel mostruoso uccello?

— Sì.

— Che uccello è?

— Un condor.

— Non conosco, questi uccelli.

— Allora ti dirò che è un mostro formidabile, figlio del sole, che possiede una forza formidabile da distruggere mille uomini con un solo colpo.

Il Tuareg e la sua banda retrocessero vivamente, facendo gesti di spavento.

— Noi non siamo tuoi nemici — disse il capo.

— Lo siete.

— Ti giuro sul Corano che non lo siamo.

— Allora sei uno spergiuro, poiché ieri sera tu ed i tuoi uomini avete assalito e spogliato il mio compagno.

— Ma noi non sapevamo che il tuo compagno era protetto da quel mostro formidabile. Noi però siamo pronti a restituirgli tutto, perché ci resti amico.

— Sta bene — disse William. — Siete nostri amici: avvicinatevi al grande uccello senza paura.

— Non ci mangia?

— No, ve lo prometto.

I Tuareg esitarono qualche po’, ma uno dopo l’altro si avanzarono per ammirare più da vicino l’uccello straordinario figlio del sole.

Quei Tuareg, chiamati anche Tuarik e Sorgu, erano belli uomini, di statura molto alta, membruti e lo si capiva anche a prima vista, dovevano essere agili come i leopardi.

Avevano tutti il tipo moro, quel tipo così diffuso sulle coste settentrionali dell’Africa: volto ovale, fronte alta, bocca piccola, labbra sottili, naso aquilino, occhi grandi e nerissimi e capelli lunghi assai.

Divisi in numerose tribù, i Tuareg si disputano coi Tibbù l’impero delle sabbie. Vivono per lo più intorno alle oasi allevando cammelli o pecore e coltivando l’orzo, ma molte tribù, come quella numerosissima degli Hoggars e quelle stabilite nelle regioni meridionali, vivono esclusivamente di rapina assaltando le carovane che dal Bornù, si recano nella Tripolitania od in Algeria, o dal Niger e dal Tombuctu al Marocco.

Uomini indomiti, non hanno mai riconosciuta la supremazia del Marocco e tanto meno dei francesi dell’Ageria, ed hanno distrutte tutte le spedizioni militari che cercavano di raggiungere le loro oasi. Anche ultimamente massacrarono quella del colonnello francese Flatters, che tentava di aprire una via commerciale colle regioni del Niger e del Bornù.

La banda dei predoni girava e rigirava attorno all’aerostato, mostrandosi l’un l’altro il fuso gigante che libravasi sopra ai palmizi, dondolando leggermente ai soffi caldissimi che venivano dalle regioni meridionali del deserto. Non osavano ancora avvicinarsi, per paura che piombasse su di essi e li schiacciasse.

— Ma che piume sono le sue, che brillano ai raggi del sole? — chiese lo scièk3 a William.

— Il nostro uccello non ha piume, ma parecchie pelli, che di quando in quando cambia e somiglianti alla seta. Se vuoi te ne darò una colla quale potrai fare delle belle vesti.

— Se me la darai ti sarò riconoscente.

— Te la darò domani. Vedi già che la prima pelle è floscia: è ora di levargliela.

— Ma come fa quell’uccello a mangiare i nemici? Io non vedo la sua bocca.

— Non li mangia poiché vive assorbendo solamente la luce del sole, ma li uccide con certi istrumenti che tiene nel suo corpo. Vuoi provare la sua forza?...

— Io, no.

— Non ti ucciderà: aspetta un po’.

William entrò nella navicella, si recò nel gabinetto delle macchine, e poco dopo uscì tenendo in mano due manubri che erano uniti da un filo metallico, il quale si allungava nell’interno dell’appartamentino.

— Prendili — diss’egli, volgendosi verso il capo.

— Non mi ucciderà? — chiese il Tuareg, con diffidenza.

— No; ti farà solamente provare la forza di questo uccello.

Il capo impugnò i manubri, ma un istante dopo stramazzava a terra emettendo un urlo di terrore.

Il signor Weddel rideva a crepapelle.

— La scossa elettrica è stata un po’ brusca — disse William, che era ricomparso.

— Ho lanciato tutta la corrente — rispose questi, ridendo. — Questa scossa darà a questi predoni un’idea della nostra potenza.

Il capo si era alzato stropicciandosi le braccia indolenzite.

— Vuoi provare ancora? — gli chiese William.

— No, no!... — urlò lo scièk con terrore.

— Allora voglio farti udire la voce del nostro uccello.

— Possedete qualche organetto? — chiese lo scozzese.

— Qualche cosa di meglio: ho un fonografo. Venite ad aiutarmi.

Rientrarono insieme, e poco dopo uscirono portando con loro il meraviglioso istrumento. Lo misero tosto in opera ed invitarono sei Tuareg ad accostare gli orecchi ai tubi di gomma.

I predoni appena udirono giungere ai loro orecchi le prime note dell’yankee dodle, fuggirono spaventati emettendo urla di terrore.

— Ma là dentro c’è uno spirito maligno — disse lo scièk.

— No, è la voce dell’uccello — rispose William. — Hai mai udito un volatile cantare così bene?...

— Io no.

— Accosta ancora quel tubo ed ascolta.

I Tuareg ritornarono ed ascoltarono tutto l’yankee dodle, fra continue esclamazioni di sorpresa e di ammirazione.

William volta a volta fece udire dei pezzi dell’Aida, dell’Ernani, della Traviata, ottenendo un successo colossale. Tutti volevano ascoltare e si disputavano i tubi a spinte ed a calci, minacciando di frantumare l’istrumento.

— Basta — disse William, vedendo che stavano per porre mano alle armi. — L’uccello è stanco di cantare, e se va in collera vi ucciderà tutti.

Quella minaccia bastò per calmare anche i più furiosi.

— Ha una voce meravigliosa — disse il capo, guardando il fonografo con due occhi ardenti. — Come sarei felice di possederla!...

— Se con noi sarai buono, te la regalerò — disse William.

— Può farne a meno il tuo uccello? — chiese il capo con stupore.

— Sì, e posso darla a chi mi piace.

— Ma il tuo volatile è maraviglioso!...

— E soprattutto formidabile.

— L’ho provato or ora. Bisogna che tu lo mostri alla mia tribù.

— Ma se il mio uccello non volesse?

— Tu comandi a lui e gli ordinerai di seguirti fino nella mia oasi.

— Ma se si ostinasse a rifiutare?

— Allora lo prenderemo a colpi di fucile — disse lo scièk risolutamente.

L’americano fece una smorfia.

— Se lo bersagliano, pel nostro pallone è finita — diss’egli al signor Weddel. – Ecco una minaccia che non aspettavo.

— Lo condurremo nell’oasi della tribù — rispose lo scozzese.

— Ma non ha più gas sufficiente per innalzarmi.

— Lo faremo rimorchiare dai cammelli e alla prima occasione lo porremo in libertà.

— Dunque, verrà il tuo condor? — chiese lo scièk, con impazienza.

— Sì, — rispose William, — ma per ora non può volare.

— Per qual motivo?

— Perché, come ben tu vedi, sta cambiando la pelle.

— Lo farò tirare dai miei cammelli.

— Allora ci seguirà.

— Partiamo.

— Una parola, prima: è lontana la tua oasi?

— Dodici ore di marcia.

— Allora prima ci darai da mangiare: non abbiamo inghiottito che dei datteri.

— L’ospitalità non si rifiuta nel deserto, ed i Tuareg dividono la loro tavola cogli stranieri.

— Sì, quando non possono spogliarli — borbottò lo scozzese.


Note

  1. La pace sia con voi.
  2. Tuoi amici.
  3. Capo.