I pirati della Malesia/Capitolo XII - Il rajah James Brooke

Capitolo XII - Il rajah James Brooke

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Capitolo XII - Il rajah James Brooke
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Capitolo XII
Il rajah James Brooke


James Brooke, cui l’intera Malesia e la marina dei due mondi molto devono, merita alcune righe di storia.

Discendeva, quest’uomo audace che a prezzo di lotte terribili, di sforzi da gigante s’ebbe il soprannome di sterminatore di pirati, dalla famiglia del baronetto Vyner, che, sotto Carlo II, fu lord-mayor di Londra. Giovanissimo ancora, si era arruolato nell’esercito delle Indie come alfiere, ma ferito gravemente in una pugna contro i Bornesi, aveva poco dopo dato le proprie dimissioni ritirandosi a Calcutta. La vita tranquilla non era fatta pel giovane Brooke, uomo freddo e positivo sì, ma dotato di una energia straordinaria e amante delle più arrischiate avventure.

Guarito della ferita, tornò in Malesia, percorrendola per ogni verso. A questo viaggio egli deve la sua celebrità, divenuta più tardi mondiale.

Profondamente impressionato dall’incessante corseggiare e dalle stragi orrende che facevano i pirati malesi, nonché dalla tratta degli uomini di colore, si era proposto, malgrado i grandi pericoli a cui andava incontro, di rendere sicura la navigazione e libera la Malesia.

James Brooke, nei suoi propositi, era un uomo tenacissimo. Vinti gli ostacoli oppostigli dal suo governo all’esecuzione dell’ardito progetto, armava un piccolo schooner, il Realista, e nel 1838 salpava per Sarawack, cittadella del Borneo, che allora non contava più di 1500 abitanti. Vi sbarcava in un brutto momento.

La popolazione di Sarawack, forse aizzata dai pirati malesi, erasi ribellata al suo sultano Muda-Hassin e la guerra ferveva con rabbia estrema; Brooke offrì tosto il suo braccio al sultano, si mise alla testa delle truppe e, dopo numerosi combattimenti, in meno di venti mesi domò la rivoluzione.

Terminata la campagna, usciva in mare contro i pirati e i mercanti di carne umana. Agguerrito l’equipaggio con una crociera di due anni, dava principio alle battaglie, alle distruzioni, agli stermini, agli incendi. Non si può calcolare il numero dei pirati da lui uccisi, delle imbarcazioni e dei prahos colati a picco, dei covi arsi. Fu crudele, fu spietato, fors’anche troppo.

Vinta la pirateria, tornava a Sarawack. Il sultano Muda-Hassin, riconoscente pei grandi servigi resigli, lo nominava rajah della cittadella e del distretto.

Nel 1857, anno nel quale accadono gli avvenimenti che stiamo narrando, James Brooke era al culmine della sua grandezza, a segno che con un sol gesto faceva tremare persino il sultano di Varauni, cioè il sultano del più vasto regno della grande isola del Borneo.

Al rumore che fece Yanez entrando, il ‘‘rajah’’ si alzò con vivacità. Malgrado avesse varcato la cinquantina da qualche anno e malgrado gli strapazzi di una vita agitatissima, era un uomo ancor vegeto, robusto, la cui indomabile energia traspariva dallo sguardo vivo e brillante. Certe rughe però che solcavano la sua fronte, e la canizie, annunciavano che una rapida vecchiaia già avanzavasi.

— Altezza! — disse Yanez inchinandosi.

— Siate il benvenuto, compatriota, — disse il rajah, restituendo il saluto.

L’accoglienza era incoraggiante. Yanez, che nell’entrare in quel gabinetto aveva sentito il cuore battere con maggior furia, si tranquillò.

— Che cosa vi è accaduto ieri sera? — chiese il rajah dopo avergli additato una sedia. — Le mie guardie mi narrano che voi avete sparato persino delle pistolettate. Non bisogna irritare i cinesi, mio caro, che qui sono numerosi e non amano troppo i visi bianchi.

— Avevo fatto una marcia lunghissima, Altezza, e morivo di fame. Trovandomi dinanzi ad una taverna cinese, sono entrato a mangiare ed a bere, quantunque non avessi un solo scellino in saccoccia.

— Come! — esclamò il rajah. — Un mio compatriota senza uno scellino? Sentiamo da dove venite e qual motivo vi guida qui. Io li conosco tutti i bianchi che abitano nel mio Stato, ma non vi ho mai veduto.

— E’ la prima volta che metto piede in Sarawack, — disse Yanez.

— E da dove venite?

— Da Liverpool.

— Ma con quale legno siete venuto?

— Col mio yacht, Altezza.

— Ma chi siete voi dunque?

— Lord Giles Welker di Closeburn, — rispose Yanez, senza esitare. Il rajah gli stese la mano, che il portoghese si affrettò a stringere e molto calorosamente.

— Sono felice di accogliere nel mio Stato un lord della nobile Scozia, — disse il rajah.

— Grazie, Altezza, — rispose Yanez, inchinandosi.

— Dove avete lasciato il vostro acht?

— Alla foce del Palo.

— E come siete giunto qui?

— Percorrendo almeno duecento miglia per terra, fra boschi e paludi, vivendo di frutta come un vero selvaggio.

Il rajah lo guardò con sorpresa.

— Vi siete smarrito forse? — chiese.

— No, Altezza.

— Ha naufragato il vostro yacht?

— No, è stato colato a picco a colpi di cannone, dopo però di essere stato derubato di tutto ciò che conteneva.

— Ma da chi?

— Dai pirati, Altezza.

Il rajah, lo sterminatore dei pirati, si alzò di scatto cogli occhi scintillanti, il viso animato da una terribile collera.

— I pirati! — esclamò. — Non sono sterminati ancora quei maledetti?

— Pare di no, Altezza.

— Avete visto il capo dei pirati?

— Sì, — disse Yanez.

— Che uomo era?

— Bello assai, coi capelli nerissimi, gli occhi scintillanti, la tinta abbronzata.

— Era lui! — esclamò il rajah con viva commozione.

— Chi lui?

— La Tigre della Malesia.

— Chi è la Tigre della Malesia? Ho udito ancora questo nome, — disse Yanez.

— E’ un uomo potente, milord, un uomo che possiede il coraggio del leone e la ferocia della tigre, che guida una banda di pirati che di nulla ha paura. Quell’uomo tre giorni or sono gettava l’ancora alla foce del mio fiume.

— Che audacia! — esclamò Yanez, che frenò a stento un fremito. — E l’avete assalito?

— Sì, lo assalii e lo sconfissi. Ma la vittoria mi costò cara.

— Ah!

— Vedendosi circondato, dopo una lotta ostinatissima che costò la vita a sessanta dei miei, diede fuoco alle polveri e fece saltare il suo legno insieme con uno dei miei.

— È morto, dunque?

— Ne dubito, milord. Ho fatto cercare il suo cadavere, ma non fu possibile trovarlo.

— Che sia ancor vivo?

— Io sospetto che siasi rifugiato nei boschi con buon numero dei suoi.

— Che tenti di assalire la città?

— E’ uomo capace di tentare il colpo, ma non mi coglierà indifeso. Ho fatto venire delle truppe dayache, che mi sono fedelissime, e ho mandato parecchi indiani della mia guardia a visitare le foreste.

— Fate bene, Altezza.

— Lo credo, milord, — disse il rajah, ridendo. — Ma continuate il vostro racconto. In qual modo la Tigre vi assalì?

— Avevo lasciato due giorni prima Varauni, mettendo la prua verso il capo Sirik. Avevo l’intenzione di visitare le principali città del Borneo, prima di tornarmene a Batavia e dipoi in India.

— Facevate un viaggio di piacere?

— Sì, Altezza. Ero in mare da undici mesi.

— Proseguite, milord.

— Verso il tramonto del terzo giorno, l'yacht gettava l’ancora presso la foce del fiume Palo. Mi feci condurre a terra e m’inoltrai solo nelle foreste, colla speranza di abbattere qualche babirussa o una dozzina di tucani. Camminavo da due ore, quando udii una cannonata, poi una seconda, una terza, indi un rimbombo continuo, furioso.

“Spaventato, tornai correndo verso la costa. Era troppo tardi. I pirati avevano abbordato il mio yacht, ucciso o fatto prigioniero l’equipaggio e stavano saccheggiandolo.

“Rimasi nascosto, finché il mio legno andò a picco e i pirati si furono allontanati, poi mi precipitai verso la spiaggia. Non vidi che cadaveri che la risacca rotolava fra gli scogli, rottami e l’estremità dell’alberetto di maistra che usciva un mezzo piede dalle onde.

“Tutta la notte, disperato, girai e rigirai presso la foce del fiume chiamando, ma invano, i miei disgraziati marinai. Al mattino mi misi risolutamente in marcia seguendo la costa, attraversando foreste, paludi e fiumi, cibandomi di frutta e di volatili che la mia carabina mi procurava.

“A Sendang cedetti la mia arma e il mio orologio, l’unica ricchezza che possedevo, e mi riposai quarant’otto ore. Acquistate nuove vesti da un colono olandese, un paio di pistole e un kriss, mi rimisi in viaggio e qui arrivai, affamato, spossato e per di più senza uno scellino.

— Ed ora cosa contate di fare?

— A Madras ho un fratello ed in Scozia ho ancora dei possedimenti e dei castelli. Scriverò per farmi mandare alcune migliaia di sterline e col primo legno che qui giungerà, tornerò in Inghilterra.

— Lord Welker, — disse il rajah, — io metto la mia casa e la mia borsa a vostra disposizione, e farò di tutto perché non possiate annoiarvi durante il tempo in cui rimarrete nel mio Stato.

Un lampo di gioia balenò sul volto di Yanez.

— Ma Altezza... — balbettò, fingendosi imbarazzato.

— Ciò che faccio per voi, milord, lo farei per qualunque mio compatriota.

— Come potrò ringraziarvi?

— Se un giorno verrò in Scozia, mi contraccambierete.

— Ve lo giuro, Altezza. I miei castelli saranno sempre aperti per voi e per qualsiasi dei vostri amici.

— Grazie, milord, — disse il rajah, ridendo.

Suonò un campanello. Un indiano comparve.

— Questo signore è mio amico, — gli disse il rajah, additandogli il portoghese. — Metto a sua disposizione la mia casa, la mia borsa, i miei cavalli e le mie armi.

— Sta bene, rajah. — rispose l’indiano.

— Dove vi recate ora, milord? — chiese il principe.

— Farò un giro per la città e se mi permettete, Altezza, farò un giro pei boschi. Sono assai amante della caccia.

— Verrete a pranzare con me?

— Farò il possibile, Altezza.

— Pandij, conducilo nella sua stanza.

Il portoghese uscì dal gabinetto preceduto dall’indiano ed entrò nella stanza destinatagli.

— Vattene, — disse all’indiano. — Se avrò bisogno dei tuoi servigi, suonerò.

Rimasto solo, il portoghese diede uno sguardo alla sua stanza. Era vasta, illuminata da due finestre che guardavano verso le colline, tappezzata di bellissima carta fiorita di Tung e ammobiliata con ricercatezza. C’erano un buon letto, un tavolino, parecchie sedie di leggerissimo bambù, sputacchiere cinesi, una bella lampada dorata proveniente senza dubbio dall’Europa, e parecchie armi europee, indiane, malesi, bornesi.

— Benissimo, — mormorò il portoghese, stropicciandosi le mani. — Il mio amico Brooke mi tratta come fossi un vero lord. Ti farò vedere, mio caro, che razza di lord Welker io sia. Ma prudenza, Yanez, prudenza! Hai da fare con una vecchia volpe.

In quell’istante un fischio acuto risuonò al di fuori. Il portoghese trasalì.

— Kammamuri, — disse. — Questa è una imprudenza.