I pirati della Malesia/Capitolo XIII - Sotto i boschi

Capitolo XIII - Sotto i boschi

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Capitolo XII - Il rajah James Brooke Capitolo XIV - Narcotici e veleni

Capitolo XIII
Sotto i boschi


Andò a chiudere la porta a catenaccio e si affacciò con precauzione alla finestra. A quaranta passi dalla palazzina, sotto la fresca ombra di un’alta arenga saccarifera, stupenda palma dalle lunghe foglie piumate, se ne stava il maharatto, appoggiato ad un lungo bambù munito all’estremità di una aguzza punta di ferro, probabilmente avvelenata. Non senza sorpresa, il portoghese vide accanto a lui un piccolo cavallo carico di due grandi ceste di foglie di nipa, piene fino all’orlo di frutta di ogni specie e di pani di sagù.

— Il maharatto è più prudente di quanto credevo, — mormorò Yanez. — Mi sembra un provveditore delle miniere.

Arrotolò una sigaretta e l’accese. Il bagliore della piccola fiamma attirò subito lo sguardo di Kammamuri.

— Il giovanotto mi ha scorto, — disse Yanez, — ma non si muove. Comprende che bisogna essere prudenti.

Gli fece un cenno colla mano, poi rientrò e aprì un cassetto del tavolino. C’erano dei foglietti di carta, un calamaio, delle penne e una borsa ben gonfia che diede, urtandola, un suono metallico.

— Il mio amico Brooke ha pensato a tutto, — disse il portoghese, ridendo.

Levò un foglietto di carta, lo lacerò a metà e scrisse in minutissimo carattere:

«Sii prudente e guardati bene attorno. Va’ ad aspettarmi alla taverna del cinese».

Arrotolò il pezzetto di carta e dalla parete staccò un fusto cilindrico, di legno duro, trapanato nel mezzo, armato all’estremità di un ferro di lancia ben assicurato con strisce di rotang. Era una cerbottana, lunga metri 1,40, colla quale i Dayachi lanciano a sessanta passi e con una precisione straordinaria frecce tinte nel velenosissimo succo dell’upas.

— Devo essere ancor abile, — disse il portoghese, esaminando l’arma.

Staccò una freccia lunga 20 centimetri, vi infilò il foglietto scritto e lo fece entrare nella cerbottana. Un forte soffio bastò per lanciarla fino al maharatto, il quale fu lesto a raccoglierla ed a staccare la carta.

— Ed ora usciamo, — disse Yanez, quando ebbe veduto Kammamuri andarsene.

Si gettò a tracolla un fucile a due canne e uscì, rispettosamente salutato dalla sentinella.

Percorrendo vie e viuzze, fiancheggiate da capanne posate sopra pali, sotto le quali sonnecchiavano maiali, cani e saltellavano scimmie, spandendo un puzzo insopportabile, in meno di un quarto d’ora giunse alla taverna, dinanzi alla quale c’era legato il cavallo del maharatto.

— Prepariamo delle sterline, — disse il portoghese. — Prevedo una scena burrascosa.

Guardò nella taverna. In un angolo, seduto dinanzi ad una terrina di riso, stava Kammamuri; e dietro al banco, con un paio d’occhiali di quarzo affumicato, stava il taverniere, occupato a scarabocchiare un gran foglio di carta con un grosso pennello. Il celestiale era senza dubbio occupato a fare conti.

— Olà — gridò il portoghese entrando.

Il taverniere, a quella chiamata, alzò la testa. Vederlo, balzare in piedi e slanciarglisi contro, impugnando fieramente la sua mostruosa penna tinta d’inchiostro di Cina, fu tutto un colpo.

— Brigante! — urlò.

Il portoghese fu pronto a fermarlo.

— Vengo a pagarti, — disse, gettando sulla tavola un pizzico di sterline.

— Giusto Buddha! — esclamò il cinese, precipitandosi sulle monete. — Otto sterline! Vi domando perdono, señor...

— Sta’ zitto e porta una bottiglia di vino di Spagna.

Il taverniere in quattro salti corse a prendere una bottiglia, che mise dinanzi a Yanez, indi si slanciò verso un gong1 sospeso alla porta e si mise a batterlo furiosamente.

— Cosa fai? — chiese Yanez.

— Vi salvo, señor, — rispose il cinese. — Se non avverto i miei amici che voi avete pagato, non so che cosa vi accadrebbe fra qualche giorno. Yanez gettò sulla tavola altre dieci sterline.

— Di’ ai tuoi amici, che lord Welker paga da bere, — disse.

— Ma voi siete un principe, — gridò il cinese.

— Lasciami solo.

Il cinese, raccolte le sterline, uscì incontro ai suoi amici, i quali, allarmati da quei colpi precipitati, accorrevano da tutte le parti armati di bambù e di coltelli. Yanez si sedette dinanzi a Kammamuri, sturando la bottiglia.

— Che nuove, mio bravo maharatto? — chiese.

— Brutte, signor Yanez, — rispose Kammamuri.

— Corre qualche pericolo Sandokan?

— Non ancora, ma potrebbe venire scoperto da un istante all’altro. Nelle foreste ronzano guardie e Dayachi. Ieri sera sono stato fermato e interrogato e stamattina mi è toccata la stessa cosa.

— E tu, cos’hai risposto?

— Mi sono spacciato per un provveditore delle miniere di Poma.

— Sei furbo, Kammamuri. Dove trovasi Sandokan?

— A sei miglia da qui, accampato presso un villaggio in rovina. Sta fortificandosi, temendo di venire assalito.

— Andremo a trovarlo.

— Quando?

— Appena vuotata la bottiglia.

— C’è qualche cosa in aria?

— Ho saputo ove sta imprigionato il tuo padrone.

Il maharatto balzò in piedi, fuori di sé per la gioia.

— Dov’è? Dov’è? — chiese con voce soffocata.

— Nel fortino della città, custodito da una sessantina di marinai inglesi.

Il maharatto si lasciò cadere sulla sedia, scoraggiato.

— Lo salveremo ugualmente, Kammamuri, — riprese Yanez.

— E quando?

— Appena lo potremo.

— Grazie, signor Yanez.

Uscirono dalla taverna. Il portoghese si mise dinanzi e Kammamuri di dietro, tenendo per la briglia il cavallo.

— Evviva lord Welker! — gridò una voce.

— Evviva il lord! Viva il generoso bianco! — urlarono parecchie altre voci.

Il portoghese si volse e vide il taverniere circondato da una grossa banda di cinesi che avevano le tazze in mano.

— Addio, ragazzi! — gridò.

— Evviva il generoso lord! — tuonarono i cinesi.

Usciti dal quartiere cinese, fiancheggiato da bugigattoli ingombri di rotoli di carta fiorita di Tung, di balle di seta, di scatole di thè d’ogni qualità, di ventagli, di occhiali, di sputacchiere, di sedie di bambù, di code, di lanterne microscopiche e lanterne gigantesche, di armi, di amuleti, di vesti, di zoccoli, di cappelli di tutte le forme e dimensioni, tutta roba proveniente dal Celeste Impero, entrarono nel quartiere malese, non molto dissimile da quello dayaco, forse più sporco e più puzzolente, indi si arrampicarono su pei colli e di là raggiunsero i boschi.

— Camminate con precauzione, — disse Kammamuri al portoghese. — Ho incontrato parecchi serpenti pitoni stamane e ho visto anche le tracce di una tigre.

— I boschi del Borneo li conosco, Kammamuri, — rispose Yanez. — Non tremare per me.

— Siete venuto altre volte qui?

— No, ma ho percorso più volte i boschi del reame di Varauni.

— Combattendo?

— Talvolta sì.

— Eravate nemici del sultano di Varauni?

— Nemici fierissimi. Egli odiava terribilmente i pirati di Mompracem, perché in ogni scontro vincevano la sua flotta.

— Ditemi, padron Yanez, la Tigre della Malesia fu sempre pirata?

— No, mio caro. Una volta era un potente rajah del Borneo settentrionale; ma un inglese ambizioso fece ribellare le truppe e la popolazione e lo detronizzò dopo avergli ucciso padre, madre, fratelli e sorelle.

— E vive ancora questo inglese?

- Sì, vive.

— E non l’avete punito?

— È troppo forte. La Tigre della Malesia però non è ancora morta.

— Ma voi, padron Yanez, perché vi siete associato a Sandokan?

— Non mi sono associato, Kammamuri, fui fatto prigioniero mentre navigavo verso Labuan.

— Non uccideva i prigionieri Sandokan?

— No, Kammamuri. Sandokan fu sempre feroce verso i suoi più acerrimi nemici e generosissimo verso gli altri e specialmente verso le donne.

— Ed egli vi trattò sempre bene, padron Yanez?

— Mi amò forse più di un fratello!

— Ditemi, padron Yanez, quando avrete liberato il mio padrone ritornerete a Mompracem?

— È probabile, Kammamuri. Alla Tigre della Malesia occorrono grandi distrazioni per soffocare il suo dolore.

— Quale dolore?

— Quello di aver perduto Marianna Guillonk.

— L’amava molto dunque?

— Immensamente, alla follìa.

— È strano assai che un uomo così feroce e così terribile siasi innamorato di una donna.

— E di una donna inglese per di più, — aggiunse Yanez.

— Dello zio di Marianna Guillonk avete saputo nulla?

— Nulla, per ora.

— Che sia qui?

— Potrebbe darsi.

— Avete paura di lui?

— Forse e...

— Alto là, — gridò in quell’istante una voce.

Yanez e Kammamuri si arrestarono.



Note

  1. Larga piastra di ottone, che si batte con una piccola mazza. [N.d.A.]