I naufraghi del Poplador/23. La morte del mutoi

23. La morte del mutoi

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23.

LA MORTE DEL MUTOI


Vedendo cadere il mutoi, i convitati si erano precipitosamente alzati colla più viva ansietà dipinta sul viso, e la folla che stava disputandosi gli ultimi brani di carne umana, si era subito arrestata.

Alcuni dignitari, si avvicinarono al mutoi e lo sollevarono, ma il miserabile non faceva più alcun movimento. I suoi occhi erano semispenti, i suoi lineamenti sconvolti, le sue membra irrigidite e dalle labbra gli usciva una bava sanguigna.

Don Pablo tentò di avanzarsi per vedere se era proprio morto, ma alcuni guerrieri gli chiusero il passo.

— Lasciatelo morire — gli disse Michele. — Quella canaglia non merita le nostre cure.

— Ma se è morto, la nostra posizione può diventare molto pericolosa, Michele — disse don Pablo.

— Che c'entriamo noi colla morte di quell'antropofago?

— I selvaggi sono molto superstiziosi, e potrebbero incolpare noi della morte repentina del loro capo.

— Non ci mancherebbe altro — disse Josè. — Fortunatamente abbiamo ancora le nostre armi e sono certo che tre colpi di fucile faranno un certo effetto. March, il mutoi risuscita.

Infatti il monarca aveva aperto gli occhi e si era lentamente alzato. Però pareva agli estremi. Grosse gocce di sudore gli scendevano dalla fronte, mentre le sue membra tremavano e dalle labbra gli usciva ancora la bava sanguigna. Stette alcuni istanti immobile girando all'intorno gli sguardi che parevano vicini a spegnersi; poi raccogliendo tutte le sue forze pronunciò alcune parole. Tosto sei guerrieri lo alzarono e adagio lo trasportarono nella gran capanna, seguiti da tutti i convitati e dalla folla.

Don Pablo, Michele e Josè rimasero però circondati da una cinquantina di guerrieri e da una numerosa schiera di cuochi armati di certi spiedi che mettevano i brividi.

— Che abbiano intenzione di arrostirci, quei brutti musi — disse Michele, guardando biecamente i cuochi.

— Sarebbero capaci di farlo — disse Josè. — Guardate che sguardi ci lanciano!

— Ma quei cuochi non mi fan paura, mastro. Oh!... Oh!... Cosa c'è di nuovo?

Un selvaggio si era fatto largo fra la folla e si dirigeva di corsa verso di loro. Quando giunse vicino si appressò al capitano e gli indirizzò alcune parole additandogli, con un gesto disperato, la capanna del mutoi.

— Che cosa chiede? — domandò Michele.

— Ci prega di seguirlo nella capanna — rispose don Pablo.

— Per che fare?

— Per guarire il monarca.

— Ditegli che noi non siamo né maghi, né dottori.

— Ricorreranno alla forza, Michele.

— Accetteremo la battaglia. Io sono stanco di vivere.

— Bisogna essere prudenti, tenente. Essi sono molti e ci schiacceranno facilmente. Tuttavia cercherò di spiegare a questo selvaggio che noi siamo marinai e non dottori.

Don Pablo aiutandosi coi gesti e con parole che nulla avevano di comune colla lingua degli isolani, cercò di far capire al selvaggio che erano impotenti a guarire il mutoi e lo consigliò di ricorrere ai maghi dell'isola. Il suo discorso non ottenne buon successo. Il selvaggio, che bene o male aveva compreso qualche cosa, prima tornò a pregarlo di recarsi alla capanna, poi minacciò di farvelo trascinare colla forza. Il capitano, vedendo che non era possibile resistere, e temendo che prolungandosi il dibattito Michele perdesse la sua calma, cedette, e seguito dai compagni, dai guerrieri e dai cuochi si diresse verso la dimora del monarca.

La folla si aprì subito per lasciarlo passare, anzi manifestò la sua gioia con urla acute e con salti disordinati. Parecchi selvaggi si precipitarono addosso ai tre naufraghi offrendo loro, forse in senso di amicizia, i propri braccialetti e amuleti.

Il mutoi pareva proprio agli estremi. Disteso in mezzo alla capanna, sopra una grossa stuoia, non faceva più alcun movimento. La faccia gli si era straordinariamente gonfiata e coperta di salsedine, le membra pure e le numerose pustole che gli coprivano il corpo si erano ingrossate assai. Gli occhi però li aveva aperti e di quando in quando agitava le labbra emettendo una specie di ruggito soffocato.

Attorno a lui stavano accoccolati sei selvaggi bizzarramente tatuati e adorni di penne. Vedendo il capitano, Michele e Josè si tirarono prontamente da un lato.

— Il nostro uomo è spacciato — disse don Pablo, appena ebbe gettato uno sguardo sul mutoi.

— E perché ci hanno fatti chiamare? — disse Michele. — Potevano farne a meno.

— Lo so io il perché, tenente.

— C'è sotto qualche birbonata forse?

— Pur troppo, Michele. Quei sei stregoni o dottori che vedete lì, hanno capito che il mutoi sta per morire e ci hanno chiamati per gettare su noi ogni responsabilità.

— Oh i miserabili! Ma io torcerò a loro il collo! — esclamò Michele gettando sugli stregoni uno sguardo di fuoco.

— Più tardi, tenente. Ora cerchiamo di salvare o almeno di mantenere in vita per qualche giorno ancora l'ammalato.

Si avvicinarono a lui e lo esaminarono attentamente.

— Che vi pare? — chiese don Pablo a Michele. — Ci capite qualche cosa voi?

— Se si trattasse di accomodare qualche membro fratturato o di estrarre una palla di fucile o di curare un colpo di sciabola o di scure, non starei in forse. Ma la malattia che uccide quest'uomo mi è sconosciuta, capitano.

— E anche a me, Michele. Proviamo a levargli un po' di sangue.

— Ma non abbiamo un bisturi.

— Adopereremo un coltello.

Michele si levò dalla cintola il suo. Stava per pungere il braccio destro del mutoi, quando si sentì atterrare.

I sei maghi, credendo che volesse scannare l'ammalato, si erano gettati su di lui mandando urla acute. Josè e don Pablo respinsero quelle canaglie e puntarono i fucili.

— Se vi muovete, vi uccido come cani! — gridò quest'ultimo.

Gli stregoni, impauriti, indietreggiarono.

— Operate, Michele — disse don Pablo.

Il tenente punse il braccio del mutoi. Uno spruzzo di sangue, nero come l'inchiostro, uscì dalla piccola ferita.

I maghi gettarono un urlo feroce e fecero atto di ritornare alla carica; ma vedendo l'attitudine risoluta del capitano e del mastro si ritrassero in fondo alla capanna.

— Josè, — disse don Pablo, — dirigi il fucile verso la porta e accoppa chi entra.

Il mastro stava per ubbidire quando Michele lanciò una imprecazione.

— È morto il mutoi? — chiese don Pablo con ansietà.

— Sì, capitano.

Il mutoi infatti era spirato fra le braccia del tenente, mentre il sangue gli usciva dalla puntura.

— Siamo perduti! — esclamò involontariamente don Pablo. — Non ci rimane che di vendere a caro prezzo la nostra vita.

— Battiamocela — disse Josè.

— Meglio rimanere qui — disse don Pablo. — Fuori ci sono tre o quattrocento persone e molte sono armate. La capanna è solida e potremo resistere un po' di tempo.

— Prepariamoci a sostenere la battaglia — gridò Michele. — Corpo d'una spingarda, ci divertiremo!

Ad un tratto un urlo immenso echeggiò al di fuori.

Michele e don Pablo che si erano curvati sul cadavere del mutoi, si rialzarono coi fucili in mano.

— Ah! — esclamò Josè. — I maghi sono fuggiti.

Infatti i sei selvaggi, mentre i tre naufraghi discorrevano, avevano guadagnata la porta e si erano slanciati spargendo la voce che il mutoi era stato assassinato.

— Coraggio, compagni! — gridò il capitano.

— Non ci manca, don Pablo, — disse Michele. — Faremo una marmellata di tutti questi antropofaghi. Josè, il primo colpo mandalo a quei briganti che ci sono scappati.

— Ci avevo pensato anch'io, tenente — rispose il mastro. — Uh che baccano! Questi antropofaghi hanno delle gole potenti.

— Attenzione, compagni! — gridò don Pablo.

Un forte drappello di guerrieri si avvicinava, correndo, colle lance in resta ed empiendo l'aria di feroci urla.

— Fuoco! — gridò il capitano.

Tre spari rimbombarono formando una detonazione sola. Tre selvaggi fra cui uno stregone caddero a pochi passi dalla capanna. Gli altri, si ripiegarono confusamente.

— Fuori! Fuori! — gridò Michele. — Battiamocela, capitano.

I tre naufraghi si slanciarono verso la porta, ma si arrestarono di colpo. La piazza era tutta occupata da una folla immensa e armata di lance, di spiedi e di nodosi randelli. C'erano almeno seicento selvaggi, venuti forse dai villaggi vicini, e che parevano risoluti a massacrare i tre bianchi.

— Tuoni e folgori! — urlò Michele. — Bisogna proprio morire?

Una lancia partì dalla folla e cadde ai piedi di Josè. Don Pablo, che aveva caricato il fucile, rispose con una palla che gettò a terra un selvaggio.

Alla caduta di quella quarta vittima, la folla mandò un immenso urlo e si precipitò innanzi agitando le armi.

Don Pablo, Michele e Josè. si preparavano a vendere cara la vita, quando un selvaggio di alta statura, decorato di parecchi tatuaggi e col capo adorno di una penna rossa, si slanciò dinanzi e stendendo le mani verso la turba urlò con voce stentorea: — Tabù!... Tabù!.. Tabù!...

Immediatamente la popolazione si arrestò abbassando le armi. Allora il selvaggio volgendosi verso i tre bianchi intimò loro di rientrare nella capanna. Don Pablo, che aveva capito di che trattavasi, ubbidì e così pure ubbidirono i suoi compagni.

Il selvaggio lanciò ancora tre volte le magiche parole che avevano arrestato lo slancio della folla furibonda, poi entrò a sua volta nella capanna, sollevò il mutoi fra le sue vigorose braccia e uscì chiudendo la porta con una stuoia che era sospesa allo stipite.

— Che cosa è successo? — chiese Josè, che non gli pareva vero di essere ancora vivo. — Perché non ci hanno scannati?

— Perché siamo stati tabuati — disse il capitano.

— Tabuati? Cosa significa ciò?

— Significa che noi siamo, almeno per qualche tempo, inviolabili. Tutti i popoli polinesiani hanno il tabù, e credono tanto alla sua efficacia che nessuna persona, per qualsiasi pretesto, ardirebbe toccare una cosa o un individuo tabuato. Se lo facessero, il loro dio, così pensano, non tarderebbe a colpirli coi più spaventevoli castighi.

— Ci ha tabuati per salvarci quel selvaggio? — chiese Michele.

— Non speratelo, Michele. Forse il miserabile aveva paura che la folla ci guastasse in siffatto modo, da non servire più al banchetto a cui ci ha destinati.

— Ah il brigante! E quanto durerà il nostro tabù?

— Fino al giorno che seppelliranno il mutoi, suppongo.

— E quando lo seppelliranno?

— Senza dubbio fra molti giorni, giacché la hakapahaa, o cerimonia dell'imbalsamazione, è assai lunga.

— Prima di quel giorno fuggiremo, capitano.

— Lo spero, Michele. Anzi tenteremo di evadere questa notte, se sarà possibile.

— Io sono pronto a tutto.

— Sta bene. Ora guardiamo ciò che fanno i selvaggi e se vi sono sentinelle attorno alla capanna.

Don Pablo, Michele e Josè, caricati per ogni precauzione i fucili, si avvicinarono alla porta, e alzata un po' la stuoia guardarono al di fuori.