I naufraghi del Poplador/14. La tempesta
Questo testo è completo. |
◄ | 13. La vendetta del capitano | 15. Un grido sull'oceano | ► |
14.
LA TEMPESTA
All'indomani, 8 maggio, appena il sole comparve sull'oceano, Michele, don Guzman e Josè, che durante la notte avevano gustato un po' di sonno, si trovavano in piedi, scorrendo cogli sguardi l'ampia distesa d'acqua.
Il vento, dopo aver soffiato abbastanza forte, verso le tre del mattino era improvvisamente cessato ed ora regnava una perfetta calma che manteneva il gran canotto quasi immobile. L'oceano, fino agli estremi limiti dell'orizzonte, appariva liscio come una lastra di metallo ed affatto deserto. Per quanto Michele, don Pablo e mastro Josè aguzzassero gli sguardi, non scorgevasi né un isolotto, né uno scoglio, né una vela. Erano proprio soli in mezzo al Gran Pacifico.
Solamente una torma di affamati e ferocissimi squali, seguito ordinario delle imbarcazioni, delle zattere e dei rottami, nuotava a un mezzo miglio sottovento, mostrando ora le enormi bocche irte di denti aguzzi o le possenti code che alzavano, di quando in quando, delle vere ondate.
— Vedete nulla, don Pablo? — chiese Michele, dopo d'aver guardato in tutte le direzioni.
— Proprio nulla, Michele — rispose il capitano.
— Questa notte avevo sognato l'incontro di un magnifico vascello, in rotta per Acapulco.
— Temo, mio caro amico, che difficilmente incontreremo una nave. Vi ho già detto che ci troviamo fuori dalla via ordinaria che tengono i velieri.
— Fortunatamente abbiamo dei viveri ed un canotto solidissimo. Se quel brigante di vento soffiasse come questa notte! Come camminava bene la Giovane Italia! Sono sicurissimo che ora noi ci troviamo ad una trentina di miglia dal luogo ove si inabissò il Richmond.
— Ma trenta miglia sono ben poche, per la distanza che dobbiamo percorrere.
— Ma il vento verrà, don Pablo.
— Non tanto presto, Michele.
— Perché?
— Perché temo che ci troviamo nella zona delle calme. Guardate come l'oceano è tranquillo!
— V'ingannate, capitano — disse mastro Josè, che stava seduto accanto la barra. — Guardate laggiù, all'ovest; io vedo un certo rigonfiamento che s'avanza e che si alza.
Don Guzman e Michele guardarono nella direzione indicata. Un'onda molto alta, lunghissima, ma affatto isolata, s'avanzava con notevole celerità colle creste irte di candida spuma.
— Brutto segno! — disse don Guzman, aggrottando la fronte.
— Non è che un'onda, capitano — disse Michele. — Il nostro canotto sentirà appena l'urto.
— È un'ondata di fondo. Michele. Qualche tempesta è scoppiata sull'oceano.
— Una tempesta! Ma io non vedo alcuna nuvola.
— È probabile che fra non molto ne vediate più d'una; le ondate di fondo del Pacifico sono temute. È vero, Josè?
— Indicano una prossima burrasca — disse il mastro.
— E dove sarà scoppiata una tempesta? — chiese Michele.
— Forse molto lontana. Vi sono certe ondate di fondo che provengono da più di mille miglia.
— Corpo d'una spingarda!
— Toh, ecco una seconda ondata.
— Ed una terza laggiù — disse Josè.
— Danzeremo — disse Michele. — Le onde non mi fanno paura.
— Quelle del Pacifico sono talvolta tremende, Michele. Ho navigato quattro buoni anni su questa immensa distesa d'acqua e ne ho vedute di quelle gigantesche, vere montagne.
— Ditemi, don Pablo, quale altezza si dà alle onde in una tempesta?
— Secondo gli oceani, Michele. Nell'Atlantico si sono viste delle onde alte nove ed anche tredici metri; in media però non superano i sei.
— Onde di dieci metri ne ho viste anch'io, don Guzman.
— Nell'America meridionale, se si deve prestar fede a certi naviganti, furono viste delle onde alte ben quindici metri, ed al capo di Buona Speranza di quelle che raggiungevano i sedici e anche i diciotto.
— Ci credete?
— È possibile che l'oceano si elevi di tanto, anzi sono certo che se non vi fosse il vento che tende sempre a schiacciarle, si vedrebbero onde ben più alte. Dumont d'Urville affermò, nei suoi viaggi, di averne vedute alte nientemeno che trentatré metri.
— Delle vere montagne! Che colpo per la nave che riceve una tale massa d'acqua! E credete voi, don Pablo, che durante una tempesta, a dieci metri di profondità il mare sia tranquillo?
— Si credette per lungo tempo a ciò, ma oggi non ci si crede più. Io so che dei naviganti hanno visto delle acque cariche d'argilla in luoghi, ove il fondo giaceva a più di duecento metri.
— Dunque se le navi durante una burrasca rollano, danzano pure i pesci — disse mastro Josè.
— È cosa certa.
— Ed a me che si dava da bere che mentre alla superficie l'oceano si agitava, un po' sotto esisteva una calma perfetta. E notate che quello che me lo disse era nientemeno che uno scienziato. Credete un po' a quei signori che si...
Un colpo di mare, che sollevò violentemente il gran canotto, gli troncò la parola.
— Questo è rollìo bello e buono! — esclamò il vecchio marinaio.
— E non soffia vento — disse Michele.
— Soffierà, tenente, ve lo dico io. Messer Eolo non è molto lontano e giungerà a cavalcioni di qualche nera nube e accompagnato da un'orchestra infernale.
— Lo credi, Josè?
— Sono certo di non ingannarmi. Anzi io proporrei di approfittare di questa calma, per immagazzinare una libbra di biscotto nel nostro stomaco.
— Non domando di meglio, amico mio. Fuori la colazione.
Il mastro aprì una cassa di biscotti e un barile di carne secca. I tre marinai, che avevano un appetito straordinario, assaltarono vigorosamente i viveri innaffiandoli con una sorsata d'acqua, che non era davvero eccellente. Terminato il pasto, accesero le pipe e si sdraiarono sui banchi, attendendo pazientemente il ritorno del vento.
Le ondate di fondo si succedevano senza interruzione, scuotendo vivamente il gran canotto che talvolta imbarcava qualche ettolitro d'acqua. Ce n'erano di quelle alte almeno sei o sette metri, irte di candidissima spuma, che correvano con velocità straordinaria, portando dei rottami, forse appartenenti al Richmond.
Accadeva talvolta che due di quelle muraglie liquide, procedenti da direzioni diverse, si incontrassero e allora il gran silenzio che regnava sull'immenso oceano, veniva turbato da formidabili muggiti, che duravano parecchio tempo.
Malgrado quei colpi di mare però, la calma perdurava ed il cielo si manteneva limpidissimo.
Verso il mezzodì, quando il sole versava proprio a piombo i suoi infuocati raggi, mastro Josè, che da qualche tempo teneva gli occhi volti verso il nord, scorse una macchia nerastra apparire sopra l'oceano.
— Oh! Oh! Che scoppi una burrasca? Il nostro viaggio non comincia bene — disse il lupo di mare.
— La combatteremo gagliardamente — disse don Guzman.
— Danzeremo terribilmente con questo guscio, capitano — disse Michele.
— Terremo tutte le vele spiegate, tenente, e se occorrerà ci metteremo alla cappa.
— Ma il vento soffierà dal nord.
— E noi andremo al sud.
— E allora non approderemo più in America.
— Andremo a gettar l'ancora sulle coste di qualche isola. Ve ne sono parecchie al sud-ovest, Michele.
— Lo so, capitano, ma so pure che in alcune isole si ha la brutta abitudine di mettere allo spiedo i poveri diavoli che hanno la disgrazia di approdare a quei lidi.
— Abbiamo delle armi e siamo in tre e tutti buoni.
— Il vento! — esclamò Josè.
— Sia il benvenuto — disse Michele. — La Giovane Italia cominciava ad annoiarsi.
Verso il settentrione la superficie dell'oceano si oscurava. Un colpo di vento s'avvicinava rapidamente e, a quanto pareva, non tanto debole.
— Alla barra, Josè. — disse don Guzman. — E noi, Michele, alle vele.
La randa ed i flocchi, che prima pendevano inerti, si gonfiarono tendendo le corde e curvando l'albero. Il gran canotto, un po' sbandato sul tribordo, si mise a filare verso l'est, salendo e discendendo le onde e lasciandosi a poppa una scia bianchissima.
— Bravo Eolo, soffia, mio caro! — gridò Michele. — Non ti domando che una sola settimana per approdare sulle coste americane.
A poco a poco la celerità della Giovane Italia si accrebbe tanto, che il capitano la stimò non inferiore ai cinque nodi all'ora. Disgraziatamente quel vento disturbava assai le ondate di fondo che venivano dall'ovest e cagionava delle contro-ondate che facevano orribilmente beccheggiare il canotto. Anzi talvolta, qualche colpo di mare saltava sopra il bordo, e Michele e don Guzman erano costretti a por mano al mastello e vuotare l'acqua che minacciava di ridurre a mal partito le casse di biscotto e le provviste di polvere e di tabacco.
Verso le quattro del pomeriggio ci fu un po' di calma, poi il vento tornò a soffiare, ma non più regolarmente. Erano vere raffiche, che giungevano all'improvviso con fischi acutissimi, sollevando sprazzi d'acqua e sbandando pericolosamente il gran canotto. Don Guzman fu costretto a far terzarolare la randa. Verso sera, nel momento che il sole, rosso come un disco di metallo incandescente, tuffavasi nell'oceano, una gigantesca nube, nera come la pece ma coi margini color del rame, s'alzò rapidamente sull'orizzonte settentrionale, minacciando di invadere il cielo.
— Prepariamoci alla lotta — disse don Guzman. — Tra poco scoppierà la tempesta.
— Ci troverà pronti — rispose Michele. — La Giovane Italia mostrerà all'oceano che è una brava imbarcazione.
— All'opera, Michele.
Josè, da una delle famose casse, che parevano inesauribili, trasse vari rotoli di solidissime corde, ed aiutato da Michele rinforzò la randa e l'albero. Dopo ciò legarono per bene le casse avendo cura di disporle sopravvento, onde il gran canotto non si sbandasse troppo sottovento.
— Ora, — disse il vecchio lupo di mare, — rinforziamo un po' anche il nostro stomaco.
Frugò nella cassa delle vesti e levò una bottiglia di non comuni dimensioni.
— Ehi, vecchio, cos'hai lì dentro? — chiese Michele.
— Dell'aguardiente1 di prima qualità, tenente — rispose Josè.
— Ma tu, mio caro, hai imbarcato un po' di tutto. Che il diavolo mi porti, se io sospettavo che in quella cassa di vesti sonnecchiasse una bottiglia.
— E non dormiva sola, tenente. Ne abbiamo altre tre.
— Io vorrei baciarle, Josè.
— Bacerete il liquido, tenente.
Fece saltare il collo alla bottiglia e la porse al capitano prima e poi a Michele, che per poco non la vuotò.
— Ora, — disse il vecchio mastro, quando ebbe bevuto la sua parte, — che la tempesta si faccia innanzi. Mi sembra di essere diventato un giovanotto.
— Alla barra, Josè. — disse don Guzman, che si era messo a prua.
— Pronti, capitano.
La notte calava con rapidità fulminea. Il sole, dopo aver lanciato un ultimo raggio rossastro al disopra dell'immensa distesa d'acqua che si accavallava confusamente, sparve. Succedette un breve crepuscolo, poi scesero le tenebre tingendo di nero i flutti. La nube s'avanzava sempre, accrescendo l'oscurità che avvolgeva l'oceano, coprendo gli astri che scintillavano in cielo, e man mano che si avanzava, il vento diventava sempre più forte.
Alle nove non ci si vedeva più. La nube aveva coperto tutto il cielo e pareva che volesse abbassarsi sull'oceano, che muggiva sordamente, coprendosi di una spuma biancastra.
Il gran canotto, abilmente guidato, lottava coraggiosamente contro le onde che cominciavano ad assalirlo, tenendo sempre la prua volta all'est. Rollava fortemente, essendo urtato di fianco e qualche volta, quando il vento raddoppiava di violenza, si sbandava tanto, che l'acqua radeva sottovento il bordo, ma balzava agilmente sui cavalloni e filava i suoi sette nodi all'ora. Michele, che ci teneva assai alla Giovane Italia, non finiva di lodarla e si stropicciava allegramente le mani, niente spaventato dalla vicinanza dell'uragano che pur doveva scoppiare con furia estrema.
Verso le dieci un lampo immenso fendette le nubi, rischiarando l'oceano fino agli estremi limiti dell'orizzonte, poi vi tenne dietro uno scroscio tremendo paragonabile allo scoppio simultaneo di una mezza dozzina di mortai.
— Attenzione ai colpi di mare e alle raffiche — disse don Guzman. — Tenetevi ben saldi ai banchi.
Alcuni istanti dopo un furioso colpo di vento spazzava l'oceano; le onde diventarono cavalloni giganteschi. Una battaglia terribile s'impegnò fra le ondate di fondo che venivano dall'ovest e le ondate che il vento spingeva dal nord. Quelle muraglie liquide s'urtavano con lunghi muggiti, si accavallavano, si frangevano e tornavano a formarsi, lanciando ovunque sprazzi immensi e nubi di candidissima spuma. A quel fracasso indiavolato s'aggiunsero ben presto le urla acute del vento e gli scrosci delle scariche elettriche. Il gran canotto penava immensamente a tener testa agli assalti dell'oceano.
Rollava disperatamente, precipitava negli avvallamenti delle onde, poi si innalzava sulle creste spumeggianti quasi a toccar le nubi che correvano disordinatamente pel cielo, poi tornava a sprofondarsi, ora rovesciandosi su d'un fianco ed ora sull'altro. C'erano dei momenti che spariva più che mezzo nel seno dei flutti spumanti e che tuffava più che mezza randa. C'era da temere che un momento o l'altro venisse inghiottito.
Mastro Josè, coi capelli al vento, gli occhi fissi sulla bussoletta, si teneva aggrappato alla barra e taceva; don Guzman, tranquillo come se fosse sul ponte di una solida nave, si teneva saldo all'albero e teneva gli occhi fissi sulle vele, pronto a tagliarle o ad ammainarle; Michele, che anche in mezzo a quel formidabile rimescolamento dell'oceano non perdeva la sua abituale allegria, con un mastello vuotava senza posa l'acqua che entrava a torrenti.
— Corpo di una spingarda! — lo si udiva esclamare di quando in quando. — Ecco un pacifico irritato! Se Magellano si trovasse qui, scommetto che lo chiamerebbe oceano rabbioso!
A mezzanotte il vento crebbe ancora, inalzando vieppiù le onde. Il capitano stimò la sua velocità non inferiore ai 27 metri ogni minuto secondo, cifra che raggiunge solamente nelle grandi tempeste. L'oceano offriva allora, alla livida luce dei lampi, uno spettacolo tale da far fremere il più ardito marinaio. Non erano più onde, ma vere montagne d'acqua le quali si urtavano con rabbia indicibile, coprendo, coi loro fragori, i fischi del vento e lo scrosciare delle folgori.
La fronte di don Guzman, che poco prima era serena, era diventata oscura, e Michele aveva cessato di mostrarsi allegro. Tutti e due temevano una prossima fine.
— Bisogna mettersi alla cappa — disse don Guzman. — Il canotto non può più resistere.
— E dove andremo a finire? — chiese Michele.
— Al sud.
— Ci allontaneremo sempre più dalle coste messicane.
— Lo so, ma se vogliamo salvare la vita, bisogna fuggire dinanzi l'uragano. Se continuiamo ancora una mezz'ora a navigare verso l'est, le onde sfonderanno il fianco del canotto.
— Corna del diavolo!
— Datemi una mano, Michele. Pronto a virare, Josè!
Nel medesimo istante una raffica furiosa si rovesciò sul gran canotto che immerse il tribordo sulle onde. Già stava per inabissarsi, quando l'albero si spezzò, trascinando seco la randa e la trinchettina. Michele, che aveva già in mano la scotta della vela, cercò di tirarla a bordo ma perdette l'equilibrio e cadde, scomparendo in mezzo alle spumanti onde. Erano le due dopo mezzanotte!
Note
- ↑ Aquavite.