I minatori dell'Alaska/XXXI - Il paese dell'oro

XXXI — Il paese dell'oro

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XXX — Un duello fra minatori XXXII — L'attacco del «bushranger»

XXXI — IL PAESE DELL'ORO


Non c'erano in quell'epoca fanali a Dawson, ed essendo la pianura umida e fangosa, spesso invasa dalla nebbia che saliva dall'Yucon, non sarebbe stato facile per Bennie e i suoi compagni far ritorno all'albergo. Fortunatamente il giovane messicano conosceva perfettamente la città, e sapeva dirigersi in qualunque punto anche in mezzo alle tenebre. Si orientò sulla direzione delle casupole e delle tende dei minatori, poi si mise rapidamente in cammino tenendosi però in mezzo alla strada, per non farsi sorprendere su qualche angolo dal suo avversario e dai suoi amici. Tenendosi l'uno vicino all'altro, e stringendo sempre le rivoltelle, i cinque uomini percorsero due vie senza incontrare anima viva. Stavano per piegare a sinistra, seguendo una linea di catapecchie appena visibili fra il nebbione che allora scendeva più fitto, quando scorsero alcune forme umane che si muovevano fra quella pesante caligine. Non sapendo se quegli uomini erano minatori che cercavano di ritornare alle loro tende, o il californiano e i suoi amici, Bennie puntò la rivoltella gridando:

— Chi vive?

Una voce ormai ben nota, rispose:

— Sono loro.

— A terra! — esclamò prontamente il messicano.

I due messicani, Armando e il signor Falcone si abbassarono precipitosamente. Quasi nello stesso istante una scarica di rivoltelle rintronò fra il nebbione, e parecchie palle fischiarono sopra le teste dei minatori.

— Prendi furfante!... — gridò Bennie, bruciando, l'una dietro l'altra, le sei cariche della sua arma.

Don Pablo e i suoi amici fecero eco con le loro rivoltelle.

Le ombre umane si dileguarono, scomparendo fra la nebbia; però Bennie percepì distintamente una voce che diceva in tono lamentoso:

— Sono morto!...

— Gambe, signori! — esclamò il canadese.

Si lanciarono tutti in mezzo a una viuzza formata da una doppia linea di casupole, e pochi minuti dopo si trovavano dinanzi all'albergo di mastro Calkraff. L'albergatore era ancora alzato, e li condusse nelle loro stanze, mettendo a disposizione del giovane messicano un lettuccio formato da due tavole coperte con una pelle d'orso, al prezzo di un dollaro.

— Alle quattro farete il favore di svegliarci — gli disse don Pablo.

— Come, partite così presto? — chiese l'onesto albergatore, non dissimulando il suo dispiacere per quella improvvisa partenza, che gli impediva di spogliare a suo comodo i minatori — La stagione non è ancora propizia per andare alle miniere.

— Siamo aspettati.

— Andate al Klondyke?

— Andiamo a monte Quarz — disse don Pablo. — Anzi, se verrà qualcuno a chiedere di noi, direte che ci siamo diretti verso quella località.

— Lo dirò: buona notte, signori.

— Siate prudente, don Pablo, — disse Falcone al giovane messicano.

— Il californiano verrà certamente a cercarci, ne sono certo. Se andrà al monte Quarz, non lo troveremo più sul nostro cammino. Signori, buona notte.

Si avvolsero nelle loro coperte, e poco dopo russavano sonoramente, sognando placers pieni di polvere d'oro e pesanti pepite. Due ore prima dell'alba, Bennie, il giovane messicano e i loro compagni erano già in piedi. Vuotarono alcune tazze di the, fecero alcuni acquisti dall'albergatore, soprattutto di gin e di whisky, caricarono i cavalli, poi uscirono, ansiosi di lasciare Dawson prima dello spuntare del sole, per non farsi scorgere dal californiano. Attraversata la città, il messicano si arrestò dinanzi a una capanna che doveva essere un bar, a giudicare da un fiasco monumentale sospeso sopra la porta. Con due calci vigorosamente applicati, si fece aprire, e fattosi condurre in una vicina tettoia cinta da una graticciata di filo di ferro, mostrò ai suoi nuovi amici due robusti cavallini dal pelo fitto e lungo, e parecchie casse contenenti viveri e attrezzi da minatore.

— La mia fortuna, — disse, ridendo. — Con i miei due cavalli e i vostri, vi prometto di condurvi presto al Dom.

Caricarono le casse, assicurandole solidamente, poi lasciarono il bar, marciando rapidamente verso sud-est per giungere alla foce del Klondyke. La nebbia non si era ancora alzata, anzi era diventata più fitta, però avrebbe dovuto sciogliersi ai primi raggi del sole. Il giovane messicano, pratico della strada, si mise alla testa del piccolo drappello, prendendo un sentiero che costeggiava l'Yucon, fiancheggiato da enormi tronchi d'albero. Falcone si era messo accanto a lui, tenendo in mano la bussola. Armando, Bennie e Buck guidavano i cavalli, procurando di tenerli uniti.

Faceva molto freddo quella mattina. Dal settentrione scendevano, a intervalli, folate di aria gelida, che laceravano volta a volta il nebbione, o facevano gemere i rami dei grandi alberi sulle rive dell'Yucon. Dal fiume, continue masse di vapore si levavano, inzuppando le vesti dei minatori, e depositandosi sul pelo dei cavalli.

— Che brutto paese! — disse Falcone al messicano.

— Siamo in pianura, — rispose questi. — Dawson e i suoi dintorni non sono molto attraenti, e poi la buona stagione non è veramente ancora cominciata.

— Mi hanno detto che nelle miniere non si lavora più di tre o quattro mesi all'anno.

— Talvolta anche soltanto due, signore, — disse il messicano. — Sono però mesi di tribolazioni inenarrabili e di fatiche enormi, che logorano gli uomini più robusti.

— Sarà il lavoro dei claims, il più faticoso.

— È tremendo, signore, poiché la terra è sempre gelata a una certa profondità. Immaginatevi che alla notte bisogna tenere il fuoco acceso in fondo ai pozzi di scavo.

— Però la ricchezza dei filoni d'oro compensa le fatiche, — disse il meccanico.

— Anche questo è vero, signore. Ho visto dei minatori, con un solo colpo di zappa, guadagnarsi cento e anche duecento dollari. Ho conosciuto un canadese, che ha messo allo scoperto una pepita di quattordici libbre.

— Una vera fortuna.

— E guadagnata in soli cinque minuti. Spero però di trovare anch'io di quelle pepite.

— Al Klondyke?

— Alla sorgente del Barem. Il minatore che mi ha indicato quella località, in tre sole settimane di lavoro aveva raggranellato novanta chilogrammi d'oro.

— Un raccolto favoloso!...

— E sembra che di più se ne possa trovare in fondo alle cateratte. Con lo sluice che possedete e col mercurio, noi ammasseremo oro in quantità prodigiosa e in pochissimo tempo.

— Purché non veniamo disturbati — disse Falcone.

— E da chi?

— Avete dimenticato il californiano?

— Sì, quell'uomo ci seguirà, — disse don Pablo, come parlando fra sè. — Appena si accorgerà della mia scomparsa da Dawson, si metterà in cerca di me, poiché sa che conosco la vallata dell'oro, però cercheremo d'ingannarlo.

— In che modo?

— Prendendo le piste meno frequentate.

— Faticheremo assai di più.

— Però avremo anche un notevole vantaggio.

— E quale?

— Di evitare l'incontro delle bande dei bushrangers.

— Anche qui sono comparsi quei briganti? — chiese Falcone, con stupore.

— In tutte le regioni ricche d'oro si sono sempre organizzate quelle bande. In California c'erano i salteadores; qui ci sono i bushrangers. Comprenderete che è più comodo alleggerire i poveri minatori del loro oro, che andare a cercare il prezioso metallo nelle viscere della terra.

— E non danno la caccia a quei banditi?

— Di quando in quando i minatori esasperati, organizzano delle battute nei boschi, e ne prendono qualcuno, ma non per questo i bushrangers diminuiscono. Appiccato uno, un altro lo sostituisce.

— E sono molti quei banditi?

— Mi hanno detto che quest'anno abbondano specialmente presso i guadi del Klondyke.

— Staremo in guardia, — disse il signor Falcone.

— Dovremo vegliare attentamente, signore. I nostri cavalli sono più preziosi dell'oro per quei briganti, e, se ci incontrano, tenteranno di portarceli via.

— Fortunatamente siamo bene armati, e buoni tiratori, specialmente Bennie e mio nipote. Se vorranno assalirci, avranno una lezione che ricorderanno a lungo.

Chiacchierando erano giunti, verso le dieci del mattino, alla foce del Klondyke. La nebbia si era dileguata completamente e il sole era apparso, illuminando le rive dell'Yucon e del suo affluente. Il paesaggio offriva splendidi panorami. A destra e a sinistra del fiume, maestosi pini, cedri gialli, betulle, salici s'alzavano, verdeggianti, indorati dal sole, mentre sulle rive del Klondyke si stendevano, a perdita d'occhio, delle praterie di muschi, papaveri gialli e bianchi, ranuncoli, sassifraghe, interrotte qua e là da cespi di rose canine già in fiore e da boschetti di ribes. Alcuni canotti, montati da indigeni, percorrevano la grande fiumana, recando forse pelli o selvaggina a Dawson, mentre sull'opposta riva si vedevano alzarsi numerose colonne di fumo, indicanti la presenza di qualche banda di Co-Yuconi. I cercatori d'oro, dopo una breve fermata sulle rive dell'Yucon, in mezzo alla graziosa prateria tempestata di ericacee, campanule e papaveri, attraversarono la foce del Klondyke su una chiatta guidata da un vecchio indiano, poi ripresero animosamente la marcia verso ovest, seguendo la vallata dell'affluente. Il Klondyke, che poco tempo fa era ancora ignoto, e che ora è diventato popolare in tutto il mondo, a causa dei suoi filoni d'oro e delle sabbie aurifere, è un fiume che non ha un grande corso, a paragone dell'Yucon. Anzi si può dire che sia uno dei suoi più piccoli affluenti. Ha le sue sorgenti sulle falde del Quay, una montagna quasi isolata che si trova verso est, sul territorio inglese del Nord-Ovest, in una regione assolutamente deserta e forse non ancora percorsa da alcun uomo bianco. Di là corre quasi sempre verso occidente, aprendosi il passo fra fitte foreste di pini e di cedri, e terre semigelate, raccogliendo sulla sua sinistra tre affluenti: il Sachiuotit, il Barem e il Bonanza, sboccando poi a breve distanza da Dawson. Avendo una corrente piuttosto impetuosa, ed essendo la maggior parte dell'anno ingombro di ghiacci, non è navigabile che per qualche mese e solamente per i canotti indiani.

Il giovane messicano, volendo ingannare il californiano, nel caso che questi e i suoi amici si fossero lanciati sulle loro tracce, invece di seguire la via battuta dai minatori, che costeggiava il fiume, deviò verso sud per guadare più tardi il Bonanza a parecchie miglia dalla foce. Però, di passo in passo che s'allontanavano dal Klondyke, il cammino diventava sempre più aspro e pericoloso, mettendo a dura prova le gambe dei cavalli e degli uomini. Il terreno, diventava roccioso, si prestava malissimo per una rapida marcia. Rupi enormi, in gran parte franate, coperte di muschi pregni d'umidità, che facevano scivolare i cavalli, sbarravano ad ogni istante la via, costringendo il drappello a compiere lunghi giri per trovare dei passaggi meno pericolosi. Talvolta invece si incontravano avvallamenti, o burroni o fitte foreste di abeti e di cedri, o macchie inestricabili di betulle e di salici, o dei torrentelli impetuosi che minacciavano di trascinare nella corsa sfrenata gli animali. Quella regione appariva assolutamente deserta, selvaggia. Faceva molto freddo. Dalle cime ancora coperte di neve, scendevano raffiche di aria gelida, mentre sopra le boscaglie tenebrose s'alzavano masse di densi vapori. Degli ululati echeggiavano di quando in quando sotto i pini, facendo impennare e rabbrividire i cavalli. I minatori, esausti da quella lunghissima marcia e dalle fatiche sopportate durante la giornata, s'affrettarono a fare un'ampia raccolta di rami secchi, e ad accendere due falò giganteschi. Rizzata la tenda, si prepararono la cena, consistente in maiale salato bollito, con fagioli, in frittelle di farina cucinate nel lardo, e in un po' di the bollente. Mentre mangiavano attorno al falò, il giovane messicano narrava che quei luoghi, pochi mesi addietro, erano infestati da una banda di bushrangers la quale si era fatta una fama tristissima. Delle intere carovane di minatori, di ritorno dai placers; della Bonanza, erano state massacrate e depredate. Organizzate però alcune colonne di cercatori d'oro, risoluti a purgare quelle selve da quei feroci predoni, dopo una campagna durata due mesi, quei miserabili erano stati per la maggior parte presi e impiccati agli alberi più alti.

— Non mi stupirei se trovassimo ancora degli scheletri appesi, — concluse don Pablo. — Mi raccontarono che oltre trenta banditi vennero condannati a danzare l'ultimo fandango all'estremità delle piante.

— Che ce ne siano ancora di quei bricconi? — chiese Armando.

— È probabile, quantunque i placers del Bonanza siano stati ormai sfruttati. Pochi minatori devono ancora lavorare sulle rive di quel fiume. Vi raccomando, però, di vegliare attentamente attorno al campo, per non farci rubare i cavalli e le provviste.

— Se ne vedo apparire uno, lo abbatto come un cane — disse Bennie.

Terminata la cena e bruciata una pipata di tabacco, i minatori si ripararono sotto la tenda, mentre Back e Armando montavano il primo quarto di guardia, fra i falò, per non perdere di vista i cavalli che erano stati legati al tronco di un pino.