I briganti del Riff/2. Il naufragio
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2.
IL NAUFRAGIO
Il mastro d'equipaggio che si trovava nella stiva era corso fuori e, non ostante le onde, aveva raggiunto il castello di prora.
— Signori, — disse — siamo perduti.
— Non aver tanta fretta — rispose Carminillo. — Le cannoniere spagnole hanno da lottare esse pure colla tempesta, e non giungeranno all'abbordaggio tanto facilmente.
— Se ci arrendessimo? — propose Pedro.
— No, no: non hanno pietà pei contrabbandieri i vostri compatrioti, e domani, prima dell'alba, saremmo almeno noi tutti appiccati o fucilati.
— Che cosa dobbiamo fare allora?
— Tentiamo la fuga.
— Lo potremo?
— Manderemo l'orca a spaccarsi contro le scogliere, e là ci difenderemo se vorranno montare a bordo.
— Chiama i tuoi uomini alla manovra — disse Carminillo. Gli algerini, udito il colpo di cannone, sapendo quale sorte li attendeva se venivano catturati, avevano lasciato in pace le casse per precipitarsi ai bracci delle manovre.
La spagnola, una di quelle vecchie cannoniere che il Governo di Madrid mandava sulle coste africane per impedire il contrabbando, aveva ricominciato a sparare col suo pezzo di prora, ma sollevata da onde spaventose, non vi era nessun pericolo che i suoi artiglieri danneggiassero l'orca. E, tuttavia, due palle di buon calibro, passarono rombando sul ponte, poi la cannoniera, assalita da tutte le parti dalle onde e pessima navigatrice, si ripiegò verso le isole Kafarinas, cercando un rifugio.
— La morte ci era ben vicina — osservò Carminillo. — Morremo però egualmente, checché dica Zamora.
— No, señor — rispose la gitana. — Noi sbarcheremo sulle rive del Riff e troveremo anche il totem.
— Hum!... — fece Janko, digrignando i denti. — Speriamo che i mori lo abbiano trovato e che lo abbiano impegnato presso qualche ebreo.
— Tanto ci tieni perché io non diventi regina dei gitani? — gridò Zamora, balzando in piedi ed impugnando la navaja. — Perché? Spiegati una buona volta, Janko!...
— E se non si spiegherà lo getteremo in mare — disse Pedro. — Questo è un mozo cocido più pericoloso d'un marinaio armato d'un paio di pistole.
Il gitano rimase alcuni istanti silenzioso, lasciò passare una ondata, poi disse con voce rauca: — I gitani della Spagna non ti vogliono regina, Zamora.
— Perché?
— Non ne so nulla.
— E ti sei imbarcato con noi come un amico!... Miserabile!...
— Bada, Zamora!... — gridò Janko. — Tu sai che i gitani non dimenticano le offese!...
— Che cosa vorresti fare tu, mascalzone, contro questa fanciulla? — chiese Carminillo, alzando la chitarra e facendola roteare minacciosamente.
— Sono cose che non ti riguardano — rispose Janko, livido di rabbia. — Tu non sei un gitano. Perché ti occupi dei nostri affari?
— Prendi questo affare, intanto — gridò Pedro.
Un'onda immensa si era rovesciata sull'orca, gli studenti ed i gitani erano stati scaraventati contro la murata di babordo. Fortunatamente restarono come pigliati nelle griselle dell'albero di trinchetto e l'onda non aveva potuto portarli fuori del bordo. Dopo quel cavallone ne seguì un secondo, non meno formidabile, spazzando l'orca da prora a poppa, e portandosi via di colpo i quattro algerini, i quali, in quel momento, si trovavano sul cassero a rinforzare la ribolla del timone.
— Annegano!... — esclamò Carminillo, che li vedeva dibattersi disperatamente fra i flutti irati. — Cerchiamo di calare una scialuppa e di raccoglierli.
— Quale scialuppa? — chiese Pedro. — Non ve ne sono più. Anche quelle sono scomparse, e poi chi oserebbe, con questo mare, tentare il salvataggio? Nemmeno i più vecchi marinai.
— E li lasceremo morire? — domandò a sua volta Carminillo.
— Non trovo nessun mezzo per accorrere in loro aiuto — rispose Pedro.
— Gettiamo loro delle casse.
— Si, sì, tutti al lavoro. Soccorriamo quei disgraziati che ci hanno prestato man forte contro il brutale capitano.
I tre uomini, ed anche la gitana, si slanciarono verso il boccaporto maestro, rimasto spalancato, e si misero a issare casse, che le onde subito spazzavano via, sbatacchiandole contro gli alberi e le murate con un frastuono infernale.
I quattro algerini lottavano disperatamente implorando Allah ed agitando furiosamente le braccia e le gambe, ma la tempesta li aveva ormai avvinghiati e li travolgeva sulle creste spumeggianti delle onde. Anche se le casse avessero potuto giungere fino a loro non avrebbero certamente servito gran che.
Gli studenti ed i gitani erano risaliti in coperta ed assistevano, impotenti, all'agonia di quei poveri africani. Un'onda gigantesca ne inghiottì ben presto uno, e dopo qualche minuto anche gli altri tre, scomparivano nei profondi abissi del Mediterraneo.
— È finita!... — disse Carminillo, con voce triste.
— Ed ora verrà la nostra volta — aggiunse Pedro. — L'orca, non guidata più da nessuno, andrà a spaccarsi contro le Kafarinas e sarà ben bravo quello che si salverà.
— Noi non morremo — disse la gitana, con accento di convinzione.
— Aspetta un po' e vedrai come le onde ci faranno saltare.
— Ho un'idea — soggiunse Pedro.
— Mettila subito fuori.
— Se andassimo a liberare il capitano?
— Quella bestia feroce!... — esclamò Carminillo. — Ci accopperà tutti, se riesce a mettere i piedi sulla tolda e vede il boccaporto aperto.
— Siamo in quattro, e questa volta non lo affronteremo colle nostre chitarre. D'altronde è suo interesse salvare l'orca.
— Va' a prendere dei fucili e porta delle cartucce. Le casse sono mezze fracassate e non avrai da faticare.
Il giovanotto mise prima al sicuro la chitarra, poi si slanciò nella stiva, e dopo qualche istante ricompariva portando dei bellissimi fucili mausers e diverse cartuccere.
Non aveva dimenticato di cercare anche una scure, per poter sfondare il boccaporto di poppa che gli algerini avevano ben inchiodato.
— Andiamo — disse risolutamente Carminillo, dopo d'aver caricate le armi.
— Dove? — chiese Janko.
— A liberare il capitano — rispose lo studente.
— Io rimango qui.
— Non vuoi dunque salvarti, tu?
— I gitani non hanno paura della morte.
— Molto invece delle battaglie — disse Pedro, strappandogli dalle mani il fucile e gettandolo in mare. — Ora sappiamo che cosa pensare di te.
— Io aspetto il naufragio — rispose il gitano. — Nemmeno il capitano vi salverà, e Zamora perderà il totem della nostra tribù.
— Tanto ti preme che io muoia? — chiese la gitana, gettando sul giovanotto uno sguardo carico di disprezzo.
Janko alzò le spalle e non rispose.
— Andiamo!... — gridò Carminillo, dominando, colla sua voce squillante, i fragori della tempesta.
Quantunque le onde continuassero a rovesciarsi sull'orca, la gitana ed i due studenti raggiunsero il boccaporto del cassero e si misero in ascolto.
Urla spaventevoli echeggiavano nella cabina dove si trovava il gigante, accompagnate da colpi di rivoltella.
— Che sia diventato pazzo? — si chiese Carminillo. — In tale caso sarebbe troppo pericoloso liberarlo, tanto più che ha una rivoltella.
— E se non abbiamo un timoniere andremo tutti a fare una visita a messer Nettuno, da me niente affatto desiderata. Tu non sei un uomo di mare — disse Pedro.
— Uno studente!... Chitarrista sì, ma non marinaio, quantunque io ami il mare e l'abbia percorso.
— Che cosa facciamo?
— Proviamo a bussare — propose Carminillo. — Se vorrà salire, prima verrà a trattative.
Col rovescio della scure diede un gran colpo, gridando nello stesso tempo: — Ohe, capitano Lizar!... Siete ubriaco o siete diventato pazzo?
Una orribile bestemmia fu la risposta, seguita subito da un colpo di rivoltella.
— Signor mio!... — gridò Pedro. — Se volete uscire con delle intenzioni malvage, vi avverto che vi lasceremo rinchiuso nella vostra cabina finché l'orca affonderà. Intanto sappiate che tutti i marinai sono stati portati via dal mare, e che non vi è più nessun timoniere a bordo per guidare la nave.
— Gli algerini non vi sono più? — urlò il capitano.
— Nemmeno uno. Tutti annegati.
— E chi conduce la mia Kabilia?
— Nessuno, perché noi non siamo marinai.
— Ah è vero, mi dimenticavo che voi non siete che degli stupidi suonatori di chitarra, dei pezzenti che girano il mondo con tre reali in tasca!
— Ohe! Se la prendete su questo tono rimarrete sotto i chiodi.
— E voi andrete a spaccarvi contro le coste del Riff se non ci sarà un uomo di polso al timone.
— È per questo, capitano, — gridò Carminillo — che ci siamo decisi a venirvi a trovare.
— E le mie casse?...
— Alcune se ne sono andate; il danno non sarà però grave per voi... E poi bisogna ben cercare di salvare la pelle.
— Aprite!... — tuonò il gigante.
— Adagio, signor mio — disse Pedro. — Devo avvertirvi che siamo in tre ad aspettarvi, tutti armati di mauser.
— Che il diavolo vi porti!... Le onde ve ne hanno rubate ben altre delle armi.
— Per colpa vostra!...
— No, dei vostri marinai.
— Ma sono crepati e sono contento. Quattro canaglie di meno. Aprite, sì o no?
— Sì, Se promettete di essere buono, — rispose Carminillo — e di lasciare in pace la vostra rivoltella.
Pedro serrò la scure, e con pochi colpi fece saltare il boccaporto. Carminillo e la gitana avevano approntati i fucili, decisi a sbarazzarsi di quell'orso marino, se avesse tentato di avventarsi su di loro.
— Ah! siete qui, cani di pezzenti!... — urlò il capitano, balzando fuori dalla botola con una rivoltella in pugno. — Ora vi uccido tutti, così sulla mia orca non rimarrà più nessuno.
— Alto là, bestione — gridò Carminillo, mettendogli sotto il naso la canna del mauser. — Anche qui dentro c'è del fuoco che non fa carezze, tu già lo sai.
Il capitano era rimasto come stupito di fronte ai tre audaci che minacciavano seriamente di fucilarlo. — Caramba! — esclamò. — Volete assassinarmi!
— Anche se tu non guiderai l'orca — rispose Carminillo, con voce minacciosa.
— Non ho più marinai!... Volete che abbia quattro o cinque braccia per occuparmi delle vele?
— Occupati solamente del timone.
— E voi, pezzenti, credete di uscire vivi da questa tempesta?
— Lo speriamo — disse Pedro. — Orsù, alla ribolla del timone, o noi facciamo fuoco.
Tre fucili l'avevano preso di mira. Il capitano, che forse non aveva più proiettili nella rivoltella, indietreggiò vivamente, poi si precipitò verso il timone: — Lo vedremo se sarà più forte la tempesta od io!...
Aveva dato un colpo vigoroso alla ribolla, facendo fare all'orca un salto immenso. — In cabina, ragazzi!... — gridò poi. — Voi non avete il piede dei marinai. Giù, giù, prima che le onde vi portino via!
L'orca, sotto l'azione del timone, faceva delle scorribande terribili, lambendo coi suoi bordi le acque spumeggianti.
Gli studenti ed i gitani, obbedendo al capitano, si erano calati nella cabina.
Il Mediterraneo in quel momento era diventato spaventevole. I colpi di mare si succedevano senza interruzione, e la tempesta rumoreggiava sempre più tremenda, con rombi, tuoni, ululati, muggiti e fischi acutissimi.
Dinanzi alle isole Kafarinas il mare balzava in aria come se una forza misteriosa agitasse il fondo del Mediterraneo. Di quando in quando dei cavalloni spaventevoli si abbattevano sulla tolda dell'orca, sfondando le murate e portando via ogni cosa.
Carminillo e Pedro avevano salito la scala e cacciato fuori le teste, per rendersi conto della situazione.
A quattro passi da loro, fermo alla ribolla, stava il gigante, il quale pareva che se ne ridesse dei marosi, quantunque anche il cassero venisse battuto in breccia, non meno violentemente del castello di prora. Piantato sulle robuste gambe seminude, coi capelli al vento, conduceva ancora la sua orca, cercando di passare attraverso le scogliere delle isole Kafarinas, le quali mostravano, di tratto in tratto, le loro punte aguzze, pronte a sventrare il piccolo veliero.
— Che questo dio del mare riesca a condurci ancora sulle coste del Riff? — disse Pedro.
— Dio del mare!... Hai ragione a chiamarlo con questo nome. Io non ho mai veduto un marinaio così coraggioso e deciso — rispose Carminillo.
— Allora approderemo.
— Adagio, Pedro; sulle coste del Riff la tempesta infurierà non meno di qui, e gli approdi sono scarsi ed anche pericolosi.
— Sei stato qui tu, dunque?
— Sì, Pedro, l'anno scorso insieme ad un compagno; ma è stato un viaggio breve, poiché il contrabbandiere che mi conduceva venne preso dagli spagnoli ed appiccato. Ho avuto un bel da fare a cavarmela. Già credevo che volessero fucilarmi, tanto per cambiare il genere delle esecuzioni, quando gli spagnoli, colpiti più che altro dal mio cucchiaio di legno e dalla mia chitarra, preferirono condurmi a Barcellona insieme all'equipaggio.
— Dove ti sarà stato facile dimostrare il tuo vero essere?
— E fui lasciato in libertà.
— E l'equipaggio?
— Il capitano, come ti ho detto, era stato subito condannato ed appiccato; i marinai, sei o sette, quasi tutti catalani, furono condannati per non so quanti anni al Presidio ad arrostirsi sotto l'implacabile sole africano.
— Sicché se la cannoniera riesciva ad arrestarci!...
— Avremmo avuto i nostri fastidi, ed il capitano Lizar, ora, penderebbe da qualche pennone della sua orca. Ma dov'è andata quella cacciatrice di contrabbandieri? La vedi più, tu?
— No, Pedro.
— Che si sia inabissata?
— Può essersi rifugiata in qualche porto delle isole.
In quel momento rimbombò un colpo di cannone, seguito subito da un altissimo grido e da un paio di bestemmie.
I due studenti balzarono fuori dalla cabina, e non seppero frenare un gesto d'orrore e di compassione.
Il capitano della Kabilia giaceva sotto la ribolla del timone tutto raggrinzato, colle mani strette al petto.
— L'hanno ucciso!... — gridò Carminillo. — Ah, disgrazia!... Disgrazia!...
L'orca priva del timoniere, aveva fatto parecchi giri su se stessa, come se fosse una gigantesca trottola, poi era fuggita verso ponente, spinta dalle onde e dal vento che soffiava sempre impetuosissimo.
Anche Janko e la gitana erano accorsi, poiché quel terribile grido, lanciato dal gigante, era giunto anche ai loro orecchi.
— Morto? — chiese Zamora.
— Ha un buco spaventoso in mezzo al petto, — disse Janko — che getta torrenti di sangue.
— Ucciso da chi? — chiese Zamora.
— Da quel colpo di cannone che deve essere stato sparato dalla piccola nave spagnola — rispose Carminillo.
— Ed ora ammazzeranno anche noi — disse Janko.
Lo studente guardò a lungo verso poppa, e riuscì a scoprire la cannoniera, la quale lottava disperatamente contro le onde, tentando di insenarsi nelle isole.
— Nella cabina!... — gridò.
Nell'istesso momento un cavallone s'impadroniva del disgraziato capitano e lo portava fuori bordo a servire di pasto agli squali.
I giovani e la gitana scesero a precipizio nel piccolo quadro del veliero, dove almeno non correvano il pericolo di venire portati via dalle ondate.
— Credo, — osservò Carminillo che conservava un ammirabile coraggio d'un vecchio marinaio — che a quest'ora si suoni a morto per noi in fondo al Mediterraneo. Ormai non c'è da sperare più nulla, con una nave così fracassata e priva dell'equipaggio.
— Ebbene, amico, — disse Pedro — facciamo altrettanto anche noi, e giacché le chitarre sono ancora salve, accordiamole e suoniamo un pezzo del marchese di Santillana, il più allegro. Morire in mezzo alle dolci note, mi pare che si andrebbe all'altro mondo senza troppe malinconie.
— Tu avresti questa audacia, Pedro?
— Certo, amico. Ecco, la mia chitarra è pronta, fuori la tempesta romba, teniamole dunque compagnia.
Ed il giovanotto, che si era seduto su un sacco pieno di biscotti, si mise a suonare con una foga indiavolata.
Carminillo per un momento era rimasto come stupito di quella sfida gettata alla tempesta, poi si era messo anche lui a pizzicare la chitarra, cantando con splendida voce tenorile:
Moza tan formosa
Come una vaquera
De la Finojosa.
En un verde prado
De rosas e a flores
Guardando ganato...
— Dio santo!... — gridò in quel momento il cantante, lasciando andare la chitarra. — Che cosa sta per succedere?
— Pare che si vada a fondo — disse Pedro.
L'orca doveva avere certamente urtato contro qualche scoglio, e pel contraccolpo aveva scaraventato i quattro giovani l'uno addosso all'altro, con estrema violenza.
— Si cola a fondo? — chiese Carminillo, affrettandosi, innanzi tutto, a raccogliere la chitarra, rimasta miracolosamente intatta.
— Non ancora — disse la gitana. — Mi pare però che la carena della nave si sia fracassata.
— Ed anche a me — aggiunse Pedro, che aveva pure salvato il suo istrumento. — Riprendiamo la suonata, Carminillo?
— Veramente non ne sento, in questo momento, alcun desiderio — rispose l'amico. — E poi non odi che fragori infernali vengono dalla stiva? La nostra musica si perderebbe senza alcun successo.
Infatti, al di là della tramezzata che divideva la cabina dalla stiva, si udivano dei rombi assordanti che parevano prodotti dall'entrata delle onde.
— Si direbbe che si è impegnata qualche battaglia fra le casse. Che gli spagnoli siano montati all'abbordaggio?
— Andiamo a vedere — disse Carminillo, il quale cominciava ad inquietarsi assai.
I due studenti stavano per salire la scala, tenendosi ben fermi ai canapi, quando una parte dell'assito cedette, ed un'onda giallastra, carica di fango, invase il quadro.
— Siamo perduti!... — gridarono tutti ad una voce.
L'onda, per un mezzo minuto rumoreggiò furiosamente dentro la cabina gettando tutto sottosopra e rovesciando i giovani, poi si ritrasse, asportando parecchi sacchi di viveri.
— Sono ancora vivo od annegato? — chiese Carminillo, il quale teneva la gitana per la vita.
— Se tu parli ancora mi pare che ciò voglia significare che i tuoi polmoni non hanno ancora cessato di funzionare — rispose Pedro, scuotendosi di dosso l'acqua.
— Amici, in coperta!... — gridò Carminillo. — Saremo più sicuri lassù che qui.
— E le onde che spazzano il ponte non le contate, señor? — disse Janko.
— Se tu vuoi rimanere, sei padronissimo — rispose lo studente. — Ti avverto però che l'acqua del mare, oltre ad essere salata, è anche amara.
— Io rimango!... — disse il gitano.
— E noi ce ne andiamo — dichiararono i due studenti.
— Ma Zamora rimarrà qui.
— Per quale obbligo io devo tenerti compagnia? — chiese la gitana, mentre i due studenti salivano in coperta. — Io sono libera.
— Il capo della tribù ti ha affidata a me!... — rispose Janko.
— Non è qui, e nessuno andrà a raccontargli che io non ho obbedito agli ordini di Janko.
— Tu non mi lascerai!... — urlò il giovane. — Io t'amo, e se devo morire voglio colare a fondo abbracciato a te, Zamora!
— Non occuparti di me, Janko — rispose la gitana, con voce un po' irata. — Io non ti ho ancora detto d'amarti.
— Perché il tuo cuore batte per Carminillo.
— Ah, bah!... T'inganni!...
Un terribile lampo d'odio avvampò negli occhi nerissimi del giovanotto.
— Che cosa vuol dire ciò? — chiese Zamora, che l'osservava attentamente.
— Lo saprai un giorno — rispose il gitano, coi denti stretti.
Il fragore di un'altra onda li decise a slanciarsi verso la scala per non subire un altro bagno.
Carminillo e Pedro erano già sul cassero e discutevano animatamente.
La tempesta infuriava sempre, ma l'orca non si muoveva più. Doveva essere stata presa fra due scogli i quali la tenevano strettamente, impedendole di muoversi.
Un gran disordine regnava in coperta. L'albero di trinchetto era caduto, e del bompresso non era rimasto che un pezzo. Tutte le murate erano state sfondate dalle onde, e attraverso agli squarci uscivano rottami d'ogni specie.
A tre miglia verso ponente si rizzava la maestosa costa del Riff, senza aperture, tagliata quasi a picco, con una specie di larga banchina alla base. Le acque si precipitavano contro quell'enorme ostacolo rimbalzando ad altezze straordinarie e con tanta violenza, che in certi momenti pareva di udire delle cannonate.
— Signori — disse Pedro, rivolgendosi ai tre compagni. — Il nostro viaggio è finito!...
— Che l'orca si sia proprio spaccata? — chiese Carminillo. — Doveva andarsi a spezzare sulla banchina del Riff. Là almeno avremmo potuto fare ancora qualche suonata, non è vero, Pedro?
— Sì, prima di venire spazzati via dai cavalloni — rispose Pedro. — Non vedi che furia d'acqua vi è laggiù?
— Il mare si rompe spaventosamente.
— Ed ora che sarà di noi? Zamora ha affermato che non andremo a finire in fondo al Mediterraneo, ma io credo che si sia ingannata... Bah! Credete alle profezie delle gitane!
— Non morremo, señor Pedro — disse la giovane.
— C'è qualche dio degli zingari che ci protegge? Sia il benvenuto, anzi io gli farò una suonata scelta fra le migliori del mio repertorio.
— Io devo trovare il totem.
— E perciò noi galleggeremo fino sulle coste del Riff — disse Pedro. — Ci credi tu, Carminillo?
— Talvolta le gitane indovinano — rispose lo studente. — Mi pare che la nostra situazione sia quasi disperata. Se la tempesta non si calma, non rimarrà una tavola intatta dell'orca, né una cassa di fucili. Bell'affare che ha fatto il capitano Lizar!... Vada a contrabbandare ora le sue armi.
— Essendo morto, e probabilmente anche divorato da qualche pescecane, non s'inquieterà.
— Sicché saremo noi i padroni di tutto il carico — disse Janko.
— Per mio conto vi rinuncio — dichiarò Pedro. — Non ho mai fatto il contrabbandiere e non ho conoscenti fra i mori... Oh!... Oh!...
L'orca, che da qualche ora era rimasta immobile o quasi, fra una doppia fila di scoglietti, opponendo una resistenza tenace agli urti delle onde coi suoi larghi e robusti fianchi, aveva fatto improvvisamente un mezzo giro su se stessa, poi si era bruscamente alzata.
— Galleggiamo!... Galleggiamo!... — gridarono gli studenti.
— L'avevo detto che noi non saremmo andati a fondo, e che io avrei, un giorno, trovato il totem — disse la gitana.
— Non siamo ancora sbarcati sul Riff — osservò Janko. — Il totem è ancora lontano.
— Lo troveremo egualmente — rispose Carminillo.
— Ma che cosa c'entrate voi, señor, in tutta questa faccenda che riguarda solamente i gitani e non già gli studenti spagnoli?
— Diventi noioso, ragazzo, e sarò costretto a darti qualche dura lezione.
— A me!... — urlò il giovane, facendo un balzo indietro, e strappando alla gitana la navaja.
— Finiscila!... — esclamò Pedro, raccogliendo un fucile. — Questo non è il momento di sbudellarci!...
— A me quell'arma!... — disse Zamora, muovendo coraggiosamente incontro al giovane gitano.
— È mia!...
— La voglio io!...
Il giovane esitò un momento, poi gettò l'arma, mentre due lagrime brucianti gli scendevano dagli occhi.
— Ecco il giovane lupo della Sierra Guadarrama calmato — soggiunse Pedro, il quale però si teneva in guardia, sapendo quanto gli zingari, e specialmente quelli che vivono nella Spagna, siano vendicativi e traditori.
— Amici!... — gridò Carminillo. — Tutti al timone!... Cerchiamo di dare una direzione a questo rottame!...
— Che vada in mille pezzi! — esclamò Janko.
— A noi ciò non fa comodo, amico... Su tutti!...
I due studenti e la gitana si rifugiarono sul cassero. Janko era rimasto a metà della coperta, aggrappato ad una fune pendente dell'albero maestro, per non farsi portar via dalle onde che continuavano ad assalire il disgraziato veliero.
La ribolla del timone, rotto il frenello, percuoteva la murata poppiera come una catapulta, schiantando le tavole. Riprenderla sarebbe stato come correre incontro ad una certa morte.
Pedro guardò Carminillo.
— Sì — rispose questi. E poco dopo, i due pazzerelli, seduti sulla scala del cassero, suonavano e cantavano altri pezzi del marchese di Santillana. Volevano affondare fra il dolce suono delle chitarre!