I briganti del Riff/1. La nave contrabbandiera
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2. Il naufragio | ► |
1.
LA NAVE CONTRABBANDIERA
Un gran lampo, simile ad una scimitarra di fuoco, lacerò le nubi tempestose, proiettando sulle isole Kafarinas vivi bagliori. Nello stesso istante l'orca spagnola, non ostante avesse raccolte tutte le sue vele ed avesse i fianchi assai larghi, si piegò sotto una terribile raffica, mentre una grossa ondata le spazzava la coperta.
Il capitano, un uomo alto quasi due metri, bruno come un senegalese, lanciò ai suoi sei marinai algerini una serie di comandi.
Quasi nel medesimo istante, fra i fischi assordanti del vento ed il fracasso delle onde, si udì una voce gridare:
— Giù quel coltello, o ti spezzo la testa colla chitarra!
— No, señor. Voi avete parlato a lungo con Zamora, approfittando della tempesta.
— Forse che non posso parlare alla gitana che da Salamanca è venuta fino qui?
— No!...
— Con qual diritto?
— Il capo dei gitani mi ha detto di sorvegliare Zamora.
— Perché?...
— Andate a domandarglielo.
— E perciò vorresti uccidermi?...
— Sì, prima che l'orca prenda terra sulle rive del Riff. Là noi non vi andremo.
— Chi lo dice?...
— Io, Janko!...
— Assaltami, mozo cocido, se ne hai l'audacia. A te il coltello, a me la chitarra, per poi gettarti in mare.
I due avversari, che in mezzo alla tempesta spaventevole che assaliva l'orca contrabbandiera, erano degni l'uno dell'altro. Quello che impugnava la chitarra per difendersi dai colpi di navaja, era un bel giovane bruno, slanciato, dagli occhi e dai capelli neri, il quale indossava il pittoresco costume degli estudiantina spagnoli, caratterizzato più che dal lungo mantello nero di cospiratore, dal berretto a due punte, di feltro, colorato vivamente, ed ornato, sul dinanzi, d'un cucchiaio di legno.
Strani tipi quegli studenti della Spagna! Quando le Università si chiudono prendono la loro ropa, la loro chitarra e se ne vanno alla ventura a Toledo, a Valladolid, a Cordova, a Granata, a Siviglia, suonando e danzando per le strade e cantando bellissime canzoni, scritte dai primi poeti iberici, specialmente dal marchese di Santillana. Sempre a corto di denaro, vanno a mangiare nei conventi, servendosi del loro cucchiaio di legno, sbarcando alla meno peggio le vacanze.
Ma se la maggior parte di essi rimangono in Spagna, vi sono altri audaci che s'imbarcano sulle orche, per solleticare gli orecchi non solo dei francesi, dei guasconi, dei marocchini, ma perfino dei barbari del Riff, che tagliano ai cristianos naso ed orecchi.
Il giovane che impugnava il coltello, una navaja affilatissima, lunga quasi quanto una sciabola-baionetta era un giovane di vent'anni, bruno come un berbero, dagli occhi lampeggianti, i lineamenti energici dei gitani della Sierra Guadarrama, vestito in velluto olivastro, assai logoro, ma che in posto di bottoni aveva enormi pendagli d'argento, grossi quanto mezzo uovo.
— Giù il coltello o ti sfondo la testa colla chitarra!... — ripetè lo studente impugnando minacciosamente il suo istrumento, ed avanzandosi audacemente contro il gitano, che minacciava di assalirlo e di sbudellarlo con uno dei terribili colpi abituali dei valientos.
— Voi, señor, avete parlato troppo a Zamora, ed io non lo voglio. Vi dico che non sbarcherete vivo sulla costa del Riff.
— E me lo dici in mezzo a questa tempesta che sta per mandarci tutti in fondo al mare? Sei impazzito tutto ad un tratto, Janko?
Il gitano digrignò gli splendidi denti, che avevano bagliori di perle, poi gridò impugnando saldamente la navaja: — È ora di finirla!... Io non posso mancare al giuramento che ho fatto al capo della tribù alla quale appartiene pure Zamora.
Già stavano per precipitarsi l'uno contro l'altro, quantunque l'orca, investita da cavalloni spaventevoli, subisse delle scosse improvvise, da mettere a dura prova anche i piedi nudi di un marinaio, quando due persone, che fino allora erano rimaste sedute sul boccaporto maestro, si alzarono di scatto, gettandosi animosamente fra i due combattenti.
Una era una meravigliosa gitana di sedici o diciassette anni, alta e slanciata come una palma, dai grandi occhi nerissimi sotto le ciglia lunghe, il viso bruno, la capigliatura che le scendeva al disotto delle anche, e che il vento agitava rabbiosamente. Indossava il pittoresco costume delle gitane castigliane, a vivaci colori e molto oro, e sottana corta con molti grossi bottoni d'argento.
L'altro invece era un secondo estudiantina, che rassomigliava molto al primo.
Dimostrava quasi la medesima età, aveva gli stessi occhi irrequieti, i capelli arruffati e nerissimi. Era un po' meno alto, pur tuttavia si indovinava in quel giovanotto una prodigiosa forza muscolare, unita ad una grande agilità.
Aveva egli pure impugnata la chitarra, ed era corso in aiuto del compagno gridando: — Non temere, Carminillo! Sono qui anch'io!... Rompiamo la testa a questo noioso, e poi gettiamolo in mare!...
Le chitarre stavano forse per impegnarsi a fondo contro la navaja del giovane gitano, quando la zingara piombò alle spalle di Janko, gridandogli, con voce imperiosa: — Fermo e guardati dal toccare i miei amici!...
Colle sue piccole mani nervose l'aveva afferrato pel collo e lo teneva fermo, impedendogli di gettarsi sui due studenti della celebre Università di Salamanca.
— Lasciami, Zamora!... — gridò il gitano, tentando, ma invano, di sottrarsi alla stretta. — Non vedi che ti conducono sulla terra dei mori per farti massacrare?
— Se hai paura torna in Spagna, ma ti ripeto che con l'aiuto di questi coraggiosi, che mi hanno promesso il loro appoggio, io salirò i fianchi del Gurugù, per scoprire il totem del primo re zingaro, che mi darà il supremo comando su tutti i gitani spagnoli.
— Ah!... Hai l'ambizione di diventare Regina dei gitani? — chiese Janko, con voce ironica.
— È stato il tormento di mia madre, che è morta di crepacuore, sapendo d'aver diritto al titolo portato dalle sue ave... Giù la navaja!...
Il gitano, vedendosi dinanzi i due studenti colle chitarre alzate, pronte a rompergli la testa, cedette. Chiuse il coltellaccio, ed andò a sedersi, insieme agli altri, sul boccaporto.
Una lotta in quel momento, colla tempesta che si rovesciava violentemente contro le coste del Riff, non poteva aver esito sicuro per nessuno, poiché delle trombe di spuma si rovesciavano già sulla coperta dell'orca, spazzandola da babordo a tribordo. Dal mare saliva un baccano infernale. Pareva che il fondo della costa del Riff e delle isole vicine dovesse andare a soqquadro.
I colpi di tallone, quei terribili colpi che formano lo spavento dei marinai, si seguivano, e delle gigantesche colonne d'acqua si slanciavano altissime, tuonando, ululando, muggendo, come se spinte da una forza misteriosa.
Ma altri fragori, e ben più impressionanti, salivano dalla larga e profonda stiva, facendo bestemmiare i marinai ed il loro gigantesco capitano, il quale pareva che cominciasse a perdere la testa. Dal disotto dei boccaporti salivano scricchiolìi violentissimi, poi degli urti, quindi degli scoppi, come se un gran numero di oggetti, ormai spostati dai sussulti dell'orca, si fracassassero.
Si trattava nientemeno che di casse piene di fucili e di munizioni destinate ai mori del Riff, poiché il capitano, quantunque di origine spagnola, esercitava il contrabbando delle armi con grave danno dei suoi compatrioti sempre alle prese, più o meno, con gli arditi briganti delle montagne interne di Melilla, e non ostante la certezza che se veniva preso da qualche torpediniera o da qualche cannoniera della vicina stazione militare, sarebbe stato, se non garottato, almeno fucilato.
Il capitano Lizar però, quantunque non possedesse che un'orca, buona veliera d'altronde, da molti anni esercitava quel pericoloso mestiere, senza mai pensare alla brutta fine che lo attendeva.
Conoscitore profondo di tutte le coste del Riff, si era messo in relazione con diversi capi mori, vendendo le sue armi e le sue munizioni ad un prezzo altissimo, e che vi guadagnasse enormemente in quel pericoloso mestiere non vi era da dubitarne.
Pareva però che quella notte la fortuna dovesse abbandonarlo, e solamente a poche miglia dalla costa.
Da due giorni un vento furioso di scirocco aveva sconvolto il Mediterraneo occidentale, sollevando dei cavalloni spaventevoli che nemmeno le torpediniere spagnole avrebbero osato affrontare.
L'orca, sbattuta in tutte le direzioni, non aveva fatto altro che volteggiare a distanza intorno alle tre isole Kafarinas, senza osare di tentare lo sbarco sulla costa.
I due studenti, la gitana ed il suo irascibile compagno, come abbiamo detto, erano tornati a sedersi sull'orlo del boccaporto maestro, ed osservavano i colpi di mare senza manifestare, almeno apparentemente, alcun turbamento.
Soltanto Janko non si era ancora rasserenato, e gettava sguardi lampeggianti sui due studenti che tenevano le chitarre sulle ginocchia, pronti a difendersi da qualche nuovo attacco.
— Carminillo — disse il più giovane dei due estudiantina. — Abbiamo dunque perduto il nostro buonumore? Non odi il mare che sprigiona la sua gran fanfara di guerra? E noi abbiamo degli istrumenti e stiamo qui a guardarli. Su, un colpo del melinero de Suliza.
Carminillo guardò lo studente con due occhi strani.
— Che cosa vorresti fare, tu?
— Se urla il mare urliamo anche noi le famose canzonette del marchese di Santillana.
— In mezzo a questa burrasca, Pedro?
— Che cosa importa agli studenti di Salamanca?... Su, attacca, e facciamo compagnia al mare.
— Il capitano ci manderà all'inferno.
— E noi, Carminillo, gli romperemo la testa colle nostre chitarre, se vorrà mettere il naso nei nostri affari. Carrai!... Un concerto in pieno mare ed in piena tempesta! Quante volte l'avevo sognato.
— Bada che le onde non ci portino via gl'istrumenti.
— Porteranno fuori di bordo il mio corpo, ma non la mia chitarra.
— La porterà insieme.
— Preferisco rimanere qui, allora... Su, Carminillo, attacca, e se il capitano non vuole, guai a lui!
— È un gigante, Pedro.
— Lo bucheremo colla navaja di Janko, e poi mi pare che ci sia battaglia sul cassero. Guarda come i marinai algerini investono il capitano.
— Che siano diventati idrofobi anche loro? — chiese Carminillo, che accordava l'istrumento.
— È Janko che ha scagliato su quella gente il maldocchio — disse Pedro, ridendo.
Il gitano però, invece di prendere la cosa in ischerzo, balzò in piedi coll'agilità di una giovane pantera, e la navaja tornò a brillare fra le sue mani.
— Oh, la rompo!... — esclamò.
— Janko!... — gridò la gitana. — Tu mi devi obbedienza perché mia madre era una regina.
— Ma tu non le sei succeduta.
— Perché mi si chiede il totem degli antichi gitani? Oh, lo avranno, Janko! Mi trovo su quest'orca per qualche cosa...
— Che interessa i due estudiantina di Salamanca — osservò il gitano sempre aggressivo.
— Janko — disse Carminillo. — Vuoi un consiglio! Siediti vicino a Zamora e gusta una ballata del marchese di Santillana. I tuoi nervi si allenteranno subito, te lo dico io.
— Della musica in mezzo alla tempesta, señor?
— Gli studenti di Salamanca se ne ridono del sole, delle nevi, del mare, e suonano sempre, anche se hanno per colazione una semplice cipolla ed una sigaretta.
— Ma non vedete che a poppa dell'orca si accoppano!... E voi, señor, pensate a suonare della musica.
— Rayos de Dios!... La musica calma anche le bestie feroci e non vuoi che tranquillizzi gli uomini? Un giorno, con la mia bandurria, ho addormentato un leone che voleva divorarmi.
— Dove? — chiesero i due gitani, più curiosi dei ragazzi.
— Su un'isola deserta — rispose seriamente lo studente. — Senza la mia chitarra non sarei qui a tenervi compagnia.
— Vale più d'un trabuco? (trombone) — chiese, ironicamente, il maligno Janko.
— Certo più della tua navaja, che finora non ha fatto che brillare al sole ed alla luce dei lampi... — rispose Carminillo. — Pedro, attacca.
— E non vedi che battagliano davvero sul cassero dell'orca? — disse il giovanotto, curvandosi sotto un colpo di mare che irrompeva, sulla coperta con fragore assordante, come se dovesse schiantare tutta l'alberatura.
— Che cos'hanno quei guastafeste? Non bastava il cattivo tempo con tutte le probabilità di andarci a fracassare contro le scogliere delle isole Kafarinas?
— Vuoi che andiamo a vedere?
— E perché no, Pedro? Si tratta di salvare anche la nostra pelle, e soprattutto quella di Zamora, che vale più dell'oro di coppella, te lo dico io.
— Io però finora non so nulla. Ho udito parlare di un totem di gitani da trovarsi sulle montagne del Riff, ma nulla più.
— Aspetta un po', amico, il segreto verrà svelato e non avrai certamente a pentirti di questo viaggio.
— Se il mare mi risparmia, o se i mori non mi tagliano la testa.
— Ah!... Questo si vedrà in seguito.
Delle urla terribili echeggiavano, in quel momento, sul largo cassero dell'orca, che le onde non risparmiavano.
I quattro marinai algerini, armati di coltellacci, avevano aggredito il gigantesco capitano, urlando: — Getta il carico, cane di un giaurro!... Non vedi che l'orca sta per affondare!
— Il mio carico!... — aveva risposto il capitano, armandosi rapidamente d'una manovella, arma terribile nelle sue mani. — Mi costa ottocentomila pesetas, canaglie!... Avete tanto da pagarmelo, furfanti?
Era fiato sprecato. I quattro algerini lo attaccavano da tutte le parti, urlando sempre: — Getta il carico!...
— Carrai!... Mi pare che abbiano ragione — disse Carminillo. — L'orca è troppo piena di fucili e di sciabole, e se fosse alleggerita di un centinaio o due di casse, si alzerebbe subito... Andiamo un po' a vedere.
La gitana, che fino allora non aveva pronunciata una parola, si alzò di scatto, e gli tagliò la via dicendogli: — Non tu, señor.
Janko era diventato bianco come un cencio lavato, ed aveva stretto rabbiosamente il manico del suo terribile coltello.
— Che cosa temi, Zamora? — chiese Carminillo ridendo. — Che mi gettino in mare? Ah, bah!... Quando ho la mia chitarra io so affrontare anche un esercito.
— Non andare sul cassero, señor — supplicò la gitana.
— Calmeremo tutti... A me, Pedro!...
Questi aveva finito di accordare la sua chitarra, un bellissimo istrumento fabbricato con legno sonoro del Brasile, ed adorno di piastre d'argento e di madreperla.
— La Santillana? — chiese.
— Sì, sì, è la migliore per calmare gli animi — rispose il compagno.
Ed i due indemoniati estudiantina, malgrado le terribili scosse che subiva l'orca, s'incamminarono, suonando e cantando con belle voci tenorili:
Moza tan formosa
Come una vaquera
De la Finojosa...
Anziché recarsi sul cassero dell'orca per pacificare marinai e capitano che si bastonavano ferocemente, pareva che essi si preparassero a fare qualcuna delle loro strepitose entrate in Granata, in Siviglia, in Valladolid od a Madrid.
Ad un tratto un grosso boscello, colla fune attaccata, passò fra di loro risparmiandoli per un vero miracolo.
— Carramba!... — urlò Pedro. — Si cerca di accoppare gli estudiantina di Salamanca che tutta la Spagna rispetta ed ammira? Chi è quel miserabile?
— Il capitano della Kabilia — rispose Carminillo, spiccando un nuovo salto per evitare un secondo boscello.
Il gigante, dopo di aver atterrati i marinai algerini che avevano più voce che coraggio, vedendo avanzarsi gli studenti, temendo che si collegassero per caricarlo e gettare in mare il suo prezioso carico, era stato preso da una vera frenesia.
— Per tutti i corni dei tori di Granata!... — urlò. — Anche voi venite a seccarmi? C'è il mare che mi dà abbastanza preoccupazioni!...
— Calmatevi, signore — disse Carminillo. — Noi abbiamo pagato il nostro biglietto.
— Quello dei pezzenti!... — dichiarò il capitano.
— E che cosa ci avete dato voi? Pasta, fagiuoli e scarafaggi in abbondanza — rispose Carminillo, alzando minacciosamente la chitarra. — Questo viaggio non valeva sessanta pesetas, signor mio!... Ci avete trattati come dei veri schiavi del Riff, bell'uomo!...
— Gli somigliate infatti — osservò il capitano, scendendo precipitosamente la scala del cassero, e piombando in coperta con un fragore infernale.
— Ah, bruto perro!... — urlò Pedro, alzando a sua volta la chitarra, e facendola girare vorticosamente, come se fosse una clava.
— A me del cane!... — tuonò il gigante. — O pulcini, volete che vi prenda per un orecchio e vi scaraventi in mare?
— Siamo uomini anche noi!... — gridò Carminillo, affrontando risolutamente il bruto.
Il capitano scoppiò in una gran risata.
— Ah, i pulcini terribili!... — esclamò.
— Che ti leveranno del sangue se non getterai del carico — gridò una voce femminile.
La gitana, vedendo i suoi amici in pericolo, aveva strappato, a tradimento, la navaja a Janko, e si era precipitata verso gli studenti.
— Anche tu, scimmia!... — urlò il capitano.
— Sì, anch'io, — rispose la gitana — e sono tale donna da squarciarti il cuore.
— Ah!... Ah!... Tu!... Non sai che con un pugno ammazzo un uomo? Brutti pezzenti, andatevene o vi getto in mare.
— Ci siamo anche noi però, capitano... — gridarono alcune voci.
I marinai algerini, lasciato uno di loro al timone, si erano precipitati in coperta coi coltelli in pugno, smaniosi di vendicarsi delle legnate che avevano buscato poco prima.
— Ecco la grande armata che giunge — osservò Carminillo, afferrando la navaja, che la gitana gli porgeva. — Ora faremo ballare quest'orso!...
Il bruto, vedendosi alle spalle anche i marinai, che avevano la testa più o meno sanguinante, cercò di fuggire verso prora; ma Carminillo gli tagliò risolutamente il passo gridandogli: — Getta il carico, miserabile!... Vuoi annegarci tutti?
— Le mie casse!... I miei fucili, la mia polvere, le mie spade!... Mai, pezzenti!... Vi accoppo tutti con pochi pugni. Non dovevate imbarcarvi su un legno contrabbandiere!...
— Provati — disse Pedro, che lo investiva da presso, minacciando di rompergli la chitarra sulla testa.
In quel momento la tempesta si scatenava spaventosamente, facendo balzare l'orca come una palla di gomma. Raffiche impetuose si abbattevano sulle vele, minacciando di lacerarle, quantunque fossero state ormai quasi interamente chiuse, e colpi di mare balzavano in coperta, con un frastuono infernale.
Il capitano, assordato dai marosi, stretto dagli studenti e dagli algerini, ai quali si era unita Zamora, mentre Janko assisteva impassibile alla scena, come se non lo riguardasse, batteva in ritirata verso il cassero, urlando: — Largo, o vi uccido tutti!... Che getti in mare le mie casse!... Bubbole!... Ottocentomila pesetas!... Chi me le pagherà?
— Volete allora che andiamo a fondo? — esclamò Carminillo. — Il vostro carico non vi servirebbe egualmente, poiché i pesci non hanno bisogno di fucili di contrabbando.
— Brutti cenciosi, volete la mia rovina, dunque?
— No, signor mio, vogliamo solamente salvare la pelle.
— Chi vi ha detto che l'orca è troppo carica? Quei vili algerini, buoni appena da navigare sui fiumi del loro paese con un canotto?
— Gli occhi li abbiamo anche noi!... — gridò Carminillo, avvicinandosi al capitano, seguito da Pedro e dalla gitana, che pareva pronta ad impegnare la lotta a colpi di coltello. — Orsù, gettate una parte delle vostre casse, o noi getteremo voi in mare.
Il gigante, minacciato da tutte le parti, temendo qualche brutta sorpresa da parte degli algerini che avevano dei conti da aggiustare con lui, salì rapidamente la scala del cassero, forse per correre in cabina ad armarsi. Era già giunto presso il piccolo boccaporto, quando un'onda lo sorprese e lo atterrò.
Gli algerini, più lesti delle pantere dei loro paesi, si precipitarono su di lui, e lo fecero rotolare dalla scala della cabina, piantandogli non pochi calci in corpo, prima che sparisse.
— Lo accoppate? — urlò Carminillo.
— Ma che!... Lo mettiamo al sicuro affinchè non accoppi noi — rispose il mastro dell'orca.
La botola era stata prontamente chiusa, ed inchiodata. Il gigante era prigioniero, e l'equipaggio e gli studenti potevano ormai scaraventare in mare quante casse volevano.
Sotto coperta si udivano le bestemmie e le minacce del capitano; ma ormai nessuno si occupava di lui, essendo il piccolo boccaporto troppo robusto per poter essere sfondato.
— Ed ora? — chiese Pedro a Carminillo. — Non andremo a fondo più presto?
— Lascia fare agli algerini — rispose lo studente. — Se l'orca diventerà più leggera sarà meno battuta dalle onde e potremo avere ancora qualche speranza di approdare.
I marinai intanto, rimesso uno di loro alla ribolla del timone, avevano aperto il boccaporto maestro, tirando su rapidamente le casse piene di fucili, d'armi bianche e di munizioni che abbandonavano alle onde. Era un lavoro terribile ed anche estremamente pericoloso, poiché, di quando in quando, un cavallone si rompeva sugli orli della stiva, batacchiando quei disgraziati in tutte le direzioni e minacciando di affogarli.
I due studenti, con Zamora e Janko, impressionati per la furia della tempesta e per i colpi di mare che si accanivano contro l'orca, si erano rifugiati sul castello di prora, il quale, essendo piuttosto alto, veniva risparmiato dalle onde.
— Che cosa facciamo noi, Pedro? — chiese Carminillo, aggrappandosi a stento all'argano.
— Io ti proporrei di fare una suonata — rispose il compagno.
— Con questo tempo!... Diventi pazzo, Pedro?
— Lascia che ci godiamo le nostre chitarre prima che il mare le inghiotta?
— Credi tu che l'orca andrà a fondo, camerata?
— Se non a fondo, andrà a fracassarsi contro la costa.
— E tu, Zamora, che cosa credi?... I gitani leggono nel gran libro del destino.
— Ti dico, señor, che noi approderemo sulle coste del Riff, fracassati forse, ma ancora vivi — rispose la giovane zingara.
— E che troveremo anche il totem della tua tribù?
— Sì, signore: ne sono convinta. Con amici valorosi come voi, si può andare anche in mezzo ai mori.
— A lasciarci i nasi e le orecchie — osservò Janko, con voce irata. — Hai proprio bisogno del totem?
— Voglio diventare regina dei gitani, — disse Zamora — e senza quello non potrei riuscirvi.
— Tu cerchi la morte!..
— Che cosa t'importa?
In quel momento un gran fascio di luce accecante avvolse il piccolo legno contrabbandiere, poi risuonò una cannonata.
Tutti si alzarono spaventati, gridando: — Le cannoniere spagnole!...