I Reali di Napoli nella rotta di Montecatini
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I REALI DI NAPOLI
NELLA ROTTA DI MONTECATINI
αἰαῖ, κακῶν ὕψιστα δὴ κλύω τάδε.
Aesch. Pers. 331.
È Ballata contemporanea alla rotta. L’apografo, unico forse, è del secolo XIV; e si conserva nella Laurenziana nel codice 193 de’ Gaddiani.
Fu pubblicata intera dall’Emiliani Giudici nella bella sua Storia della letteratura italiana (I, 280); ma primo a darcene notizia fu mons. Bandini (Cat. mss. laur. 2, 184), che con parecchi errori ne stampò pochi versi. Egli credeva che la rotta di Montecatini fosse del 1316 e che la Ballata fosse diretta alla moglie, e non alla madre, di re Roberto di Napoli: benchè i versi chiaramente si accordino colla genealogia.
— Deh avrestù veduto messer Piero1
Poi che fu ’l nostro campo sbarattato?
Tuo viso mostra pur che vi sie stato.
Deh! non celare il vero, all’angosciosa
5E desolata sua madre2 che fie,
Fin al suo stremo die,
Nuda d’ogni allegrezza e di conforto;
Ch’io ’l veggio alla tua faccia paurosa:
Ma temi di recar novelle rie
10E d’apportar bugìe,
Cioè che vogli dir vivo del morto.
Se fosse vivo, tu ’l diresti scorto3
(Come tu di’ del prence infortunato):4
Ma palpi sì ch’io l’ho per isbrigato. —
15 — Poichè mia faccia turba t’ha scoverto
Il tuo cordoglio, dicerotti il vero.
Io vidi messer Piero
Gagliardo fra nemici alla battaglia:
Vidi Carlotto5, un paladin per certo;
E seco il buon Carocio cavaliero,6
Don Brasco ardito e fero
Ricever colpi e darne di rigaglia.
Ma poscia che rimasa fu la taglia,7
25Carlotto e chi ’l seguìa vidi spezzato:
Pier non si trova morto nè scampato. — 8
— Dunque, tapina, ov’è questo mio figlio?
Ov’è il mio giglio e la mia rosa e il fiore?
Ov’è quel dio d’amore,
30Nel qual non par ch’errasse la natura?
Chi biasma s’i’ mi straccio e mi scapiglio?
Che ’l sol dovea celar lo suo splendore
Lo dì che tal signore
Pervenne a morte far cotanto oscura:
35Pianger le pietre ed ogni creatura
Dovrebbe di quell’agnolo incarnato.
Piacesse a Dio che non fosse mai nato! —
— Reina, in sulle grandi avversitadi
Lo senno uman si prova e paragona,
40Secondo uom ragiona,
E non quand’egli ha pur cosa che i piaccia.
Così di guerra van le novitadi;
E cotai son le gioie che ci dona
Il mondo; e non perdona
45Morte a nul uom ch’al suo ’mpero soggiaccia.
Non pianger nè percuoter più tua faccia:
Accorda il re Roberto col cognato,9
Se vuoi che ’l sangue tuo sia vendicato. —
— Con Federigo intendo far trieguare
50Lo re Ruberto che li fie ben duro,
Più che pietra di muro;
E dorma la question dell’isoletta.
Quel d’Aragona fo sollecitare
Ch’entri nel regno sardo10, ch’è suo puro,
55Dirittamente: e giuro
Che Pisa aver non può maggior distretta.
Deliberato avem di far vendetta:
Ma ho veduto alcun ch’è già11 affrettato,
Che poscia ha il suo disnor moltiplicato. —
60 — Perdonami, reina di tristizia,
Ch’a tal millanto non do fede alcuna.
Apri ben l’altra e l’una
Orecchia e intendi, ch’io non so allamano:
Che il re Roberto, fonte d’avarizia12,
65Per non scemar del colmo della Bruna
Passerà esta fortuna
E smaltirà il disnor, temendo ’l danno.
Tosto vedrem come le cose andranno.
Se tu per questo il trovi rimutato,
70Voglio esser nella fronte suggellato. —
— Perchè Roberto re non fosse in terra
Nè altro mio figliuol nè discendente,
Io n’ho il cuor sì fervente
Ch’io sola spero in Dio che ’l forniraggio;
75E trarrò a fine questa mala guerra
Col mio disforzo e legïon di gente
Del franco re possente,
Al qual n’ho scritto già per mio messaggio13.
Oro ed argento per neente avraggio,
80Pensando il caso ontoso ch’è incontrato
E corrà Bruna, Puglia e il Principato. —
— È per natura, e la scrittura il dice,
Redina, che le donne son pietose,
Avare e paurose.
85Sarestù di color che snaturassi?
Non ch’io ti riputasse peccatrice
Perciò di più, sponendo chi te spuose,
E chi le sue man puose
Nel tuo sangue; ma che meritassi14.
90Di questo non vorrei dimenticassi:
Lo conte Nier si cinse spada allato
Sul corpo del tuo Carlo dilicato. — 15
— Se ’l sangue mio fu sparto per la fede
Da quella setta eretica pagana
95Ghibellina e pisana,
Spietata più che genti saracine,
Di lor, sie certo, non si avrà mercede;
Che fien venduti e spersi di Toscana;
E Pisa farò piana,
100Ararla e seminarvi sale e spine.
Lodasi la vittorïa in sul fine:
Per quello onde ’l Pisan ha trïonfato
È pur mestier che sia diradicato. —
— Redina, al tuo voler Cristo déa possa.
105Omai questo amaror trapollo e bêlo,16
E osta17 via quel velo,
E tutta in allegrezza ti rinnova;
Chè ’l dolce messer Piero in carne ed ossa
Dopo il martirio fu levato in cielo
110E in terra non ha pelo:
Non ti meravigliar se non si trova.
E, non foss’altro, pur questo ti mova,
Che sie davante a Dio per tuo avvocato
Quello innocente agnello immacolato. —
115 Va’, ballatuzza di lamento, ratta
In ogni parte dove Guelfo sia
Sceso di signorìa:
Di’ che stea allegro e non abbia temenza;
Chè se i Pisan co’ lievri ci diêr gatta,18
120E’ fu ’l peccato nostro e la mattìa,
Non per lor vigorìa;
Ma Dio ci tolse il cor e la prudenza.
Signori, in contro a Dio non è potenza.
Qual’otta il nostro fallo fie purgato,
125Avrem l’ardire e il senno apparecchiato.
Note
- ↑ Pietro, fratello di Roberto re di Napoli. Fu soprannominato il Tempesta (Rer. Ital. Scrip., 10, 1318; 15, 57; 15, 979).
- ↑ Il canto si volge a Maria, figlia di Stefano quarto, re d’Ungheria; vedova di Carlo secondo, re di Napoli; madre di re Roberto, di messer Piero, di Filippo principe di Taranto. Morì nel 1323.
- ↑ Intorno a scorto confronta nel Morgante:
— Se più oltre a costui dico
In dubbio son se mi conosce scorto. (3, 4)
Perchè ciascun allor giudica scorto
Che ’l conte Orlando dovesse esser morto. (3, 22) - ↑ Cioè di Carlo suo nipote; cfr. nota 5.
- ↑ Carlotto. Uno dei due figli che Filippo principe di Taranto e d’Acaja ebbe da Tomara figlia di Niceforo Angelo. Anche il cronista
estense (Rer. Ital. Scrip., 15, 378) lo dice Carloctus. - ↑ Probus guelfus Carrocius, come lo chiama frate Ranieri nel suo poemetto (Rer. Ital. Scrip., 10, 294). Nella Cronaca senese del Dei (Rer. Ital. Scrip., 15, 57) abbiamo: misser Caroccione e misser Bianco da Raona connestabile de’ Fiorentini. Anche il Villani (lib. IX, cap. 72), congiunge i due soldati: messer Caroccio e messer Brasco d’Araone connestabile dei Fiorentini.
- ↑ Rigaglia e taglia, senza esempi.
- ↑ Citerò sola, tra le varie testimonianze di contemporanei, la Cronaca di Siena: misser Piero fratello del Prenze non si trovò mai: tenesi che annegasse nella Guisciana (leggi Gusciana).
- ↑ Andavano contendendo da un pezzo per la Sicilia (l’isoletta) gli Angioini e gli Aragonesi, Roberto di Napoli e Federico di Sicilia. Qneisti era marito di Eleonora sorella di Roberto e di Pietro.
- ↑ A distogliere dalla Sicilia Jacopo re di Aragona e fratello di Federico, il papa gli promise la Sardegna: che infatti egli conquistò più tardi (1323) sui Pisani.
- ↑ Il manoscritto ha: che gia; si può leggere: ch’è già, oppure che gìa.
- ↑ I contemporanei deplorano spesso la sozza avarizia di Roberto. L’Emiliani credette che la bruna (cfr. l’ultimo verso della stanza seguente) fosse una moneta, usando dei testi citati dal Ducange: ma era da avvertire che la bruna fu moneta genovese e non napoletana, e che a’ tempi di cui parliamo non correva più.
Leggasi invece il Mussato (De gestis Italicorum (Res. Ital. Scrip.), vol. X, libro V, rub. II), ove parla degli eserciti raccolti da Roberto coi denari che in turri quam Brunam vocitant aggregaverat; facendo maraviglia agli accusatori della sua avarizia che egli fosse contro al cognato sì largo di somme innumerevoli. - ↑ Non trovai cenno su queste intelligenze della regina madre col re di Francia.
- ↑ Qui il senso zoppica.
- ↑ Ranieri, conte di Donoratico (della Gherardesca). Dice un barbaro
frate, oscuro anche al Muratori, che il giovinetto appressatosi al cadavere di Carlo: jura paterna protulit in medium (Rer. Ital. Scrip., 10, 294). La Cron. di Siena (15, 57) ha: misser Carlo fu trovato morto in campo, e in sul suo corpo fu fatto cavaliere el conte Ranieri di Donoratico, el cui padre avea fatto decapitare lo re Carlo avolo del detto misser Carlo, contro all’usanza della guerra. Fu suo padre quel Gherardo che accompagnò re Corradino nella fuga e, tradito dai Frangipani, ne divise la sorte sul palco: della qual cosa disse un santo romito che Iddio in cielo avea vendicato che al re Carlo e a quelli de’ Frajapani di Roma non cogliesse mai bene. (Cronaca di Pisa; Rer. Ital. Scrip., 15, 979.)
Cito queste autorità, benchè intorno a cose note, perchè qualche storico si lasciò ingannare dal Mussato, il quale, confondendo le genealogie, dice: Nerius Facii pisani comitis filius (o. c., lib. 5, rub. 16). Questo Facio (Bonifazio) era fratello, non padre di Neri (Ranieri). - ↑ Cfr. dirêlo=direilo. Vita nuova, 96.
- ↑ Ostare; cfr. il francese ôter (oster).
- ↑ Il Bandini lesse: colierti. L’Emiliani: Che se i Pisan sollerti ci dier gatta. Feci molte ma inutili ricerche su questo verso che accenna forse a vecchio proverbio: quasi un dar pampani per uva. (Canti popolari, 256.)