Spietata più che genti saracine,
Di lor, sie certo, non si avrà mercede;
Che fien venduti e spersi di Toscana;
E Pisa farò piana, 100Ararla e seminarvi sale e spine.
Lodasi la vittorïa in sul fine:
Per quello onde ’l Pisan ha trïonfato
È pur mestier che sia diradicato. —
— Redina, al tuo voler Cristo déa possa. 105Omai questo amaror trapollo e bêlo,1
E osta2 via quel velo,
E tutta in allegrezza ti rinnova;
Chè ’l dolce messer Piero in carne ed ossa
Dopo il martirio fu levato in cielo 110E in terra non ha pelo:
Non ti meravigliar se non si trova.
E, non foss’altro, pur questo ti mova,
Che sie davante a Dio per tuo avvocato
Quello innocente agnello immacolato. — 115 Va’, ballatuzza di lamento, ratta
In ogni parte dove Guelfo sia
Sceso di signorìa:
Di’ che stea allegro e non abbia temenza;
Chè se i Pisan co’ lievri ci diêr gatta,3 120E’ fu ’l peccato nostro e la mattìa,
Non per lor vigorìa;
Ma Dio ci tolse il cor e la prudenza.
Signori, in contro a Dio non è potenza.
Qual’otta il nostro fallo fie purgato, 125Avrem l’ardire e il senno apparecchiato.
↑Il Bandini lesse: colierti. L’Emiliani: Che se i Pisan sollerti ci dier gatta. Feci molte ma inutili ricerche su questo verso che accenna forse a vecchio proverbio: quasi un dar pampani per uva. (Canti popolari, 256.)