Capo 3

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Era la festa delle Panatenee, e grandissima moltitudine di cittadini e di forestieri empivano le vie di Atene. In mezzo la folla Callicle e Doro si tenevano per mano per non separarsi, ma venne un’onda di gente, ci fu un’agitazione, una stretta, ed i due amici furono divisi, e non si videro più per alquante ore. Finalmente presso al tempio dei Dioscuri Doro scorse di lontano Callicle, e lo chiamò;e poi che si furono avvicinati, disse: Che è, o Callicle? ti vedo più lieto del solito. - Sì, Doro mio, sono lieto perchè gli Dei mi hanno mandato una buona fortuna, ed ho acquistata una nuova idea. Vieni qui, sediamo a piedi di questa colonna lungi dalla folla, e ascolta. - Oh che può essere, o fratel mio? E Callicle cominciò in questa guisa:

Come la folla mi ha staccato da te e non ti ho più veduto, io ti ho cercato per ogni parte ed ho dimandato di te a quanti mi avvenivo nostri conoscenti. In una brigata di donnette vidi Innide la bella danzatrice, la ricordi?, quella che come ci vedeva ci faceva un risolino, e ci gettava un motto, e ci chiamava i Dioscuri filosofi? - Quella donnina coi capelli neri, e gli occhi vivi? Sì, la conosco. - Io le dimando: Hai tu veduto Doro? - Sì, mi risponde. - E dov’è? - Qui, dice, e aprendosi la veste sul petto mi mostra le papille; e poi sottovoce: Se mi segui, lo troveremo. Facilmente si libera delle compagne, ed entra in una vietta: io dietrole, e dopo breve cammino siamo in casa sua. Io le dico: O Innide, lasciami veder bene dove tieni chiuso l’amico mio. Ed ella: Té, o filosofino. Ed io vidi, e toccai e baciai due poppoline bianchissime e durette. - Non è qui, diss’ella: ma lo troveremo in altro luogo. Ed io: o Innide, io non conosco cotesto luogo né vi sono stato mai, né io né l’amico mio, e tu mi dovrai guidare. Ed ella giubilando, sì, davvero? disse, e prese a carezzarmi la faccia, e baciarmi. Dunque coglierò io questo fiore! E presomi con le due mani il fiore lo riguardava, e lo baciava tutto, e lo fiutava, e diceva: Pare un bocciuol di rosa che sta per aprirsi. Poi gattasi supina sul letto, e mi tira sopra di sé, e con una mano mette il mio bocciuolo nel suo vasello, e mi stringe le braccia al collo, e mi incrocia le gambe sopra la schiena, e mugola, e stravolge gli occhi, e si dimena, e mi morde un labbro, e dopo alquanto dimenare ci fermiamo insieme. Non uscire, ella mi dice, e con le gambe mi stringe la schiena: ed indi a poco abbiamo fornito il secondo lavorio con la stessa dolcezza. Poi ella con le sue mani mi ha asciugato e ripulito il fiore, e lo teneva, e lo palpava; ed io le suggevo ora una poppa ora un’altra, e mi deliziavo a scorrere con la mano su le cosce e le mele. Oh che mele sono quelle, bianche e lucenti come marmo pario, e grosse e sempre freschissime! Ad un tratto mi viene un pensiero, e dissi: O Innide, tu hai vagheggiato il fiore, deh lascia a me vagheggiare la cestellina nella quale l’abbiamo messo, ché io non ho veduto mai una cestina, e questa è la prima. Ella si leva, si rinfresca con acqua, si pulisce con odorato pannolino, torna a me, e mi dice: quando era nuova bisognava vederla la cestina! pure ora non è guasta, ed è piccoletta e odorosa. Io l’ho veduta, o Doro, ed ho alutato la sacra porta della vita e del piacere, la porta onde esce l’uomo a la luce del sole: pare una grotta sacra ad un Dio misterioso, la grotta di Pane ricoperta di molto frondame lucente e morbidissimo. L’ho veduta, l’ho salutata, l’ho baciata ancora, ed abbiamo celebrato il terzo mistero, ed abbiamo goduta la terza dolcezza che è stata più lunga ma meno intensa. Infine ho dato un altro bacio a Innide, e sono venuto a cercare di te, e a contarti questa mia avventura.

Il povero Doro durante questo racconto si era tutto acceso nel volto e sentiva come bollire il sangue; e poi che Callicle ebbe finito, egli disse: Tu ora conosci cosa che io non conosco: E Callicle: Vuoi averla anche tu questa nuova conoscenza? - Deh Callicle mio, rispose Doro, le tue parole me ne hanno fatto venire un desiderio ardentissimo. - Vieni meco, disse Callicle; e s’avviarono, e dopo alquanto cammino picchiarono a la casa d’Innide. La quale come vide i due giovanetti, Io vi aspettavo tutti e due, disse, e fece gran festa, e ringraziò Callicle con un bacio. E questi le disse: Vedi altro bel dono che ti reco! Tu coglierai quest’altro fiore. E mentre voi godrete, goderò anch’io a mirarvi abbracciati e stretti insieme. - No, no, disse la donna - Ebbene, rispose Callicle, vuoi che io esca, o mi intrattenga con la tua servetta - No, no: guarda pure, se così vuoi. Intanto Doro le azzeccò un lungo e savoroso bacio, e dopo alcune carezze ella disse: O Santa Venere degli Orti, io ti ringrazio della buona ventura che mi dai, a farmi cogliere in un giorno questo bocciuol di rosa e questo garofano, che sono i più bei fiori del giardino virile d’Atene. Si mescolarono insieme, e Callicle si piaceva a guardare i piedi nudi d’Innide che premevano su la vigorosa schiena di Doro, il quale lavorava di gran forza; e come egli accarezzava quei piedini che parevano di cristallo, ella guizzava, ed egli sorridendo diceva, godete. Era un vero filosofo questo Callicle, che tutto voleva vedere ed osservare, e toccare. E poi che quel lavorio fu finito, la donna si messe in mezzo ai due garzoni, e dando loro molti baci, e poggiando il capo ora sul petto dell’uno, ora sul petto dell’altro, disse: O bei Dioscuri, voi non siete uomini ma Dei immortali, così belli siete, e così grande è l’effetto della vostra bellezza sopra di me. Non dimenticate la povera Innide, con la quale, o bei Dioscuri, avete celebrato la prima volta la festa delle Panatenee. - E dopo altre carezze i giovani andarono via.

Tornati a casa i due giovani, poi che ebbero cenato lietamente con la famiglia, entrarono nella loro camera, furono nel comune letto, e mescolarono insieme le gambe come solevano fare. E stando così Callicle disse: Che ti pare, o mio Doro, del diletto che oggi abbiamo avuto con Innide? - A me pare, rispose, Doro, un diletto grande, e diverso da quello che abbiamo tra noi: è un’altra cosa. - E Callicle: Ma quale ti pare maggiore? Disse Doro: Io non posso paragonarli, perché il nostro è congiunto ad amore, e quello è stato senza amore. - Ma paragoniamo diletto a diletto, disse Callicle. - E Doro: Se vuoi che io ti dica quello che a me pare, io tel dirò. Con Innide ho sentito una ebbrezza nuova, e assai più forte della dolcezza solita. - Tu dici quello che ho sentito anch’io, replicò Callicle: e non so per quale ragione il filosofo non loda quel diletto inebbriante, anzi lo sconsiglia ai savi; - Io credo, disse Doro, appunto perché è inebbriante e turba la ragione, e dopo quella ebbrezza vengono molti fastidi, che noi non conosciamo perché l’abbiamo goduta una volta, vengono gelosie, dispendi, figliuoli, cure domestiche, i quali fastidi non vengono dopo l’altro diletto che è sempre sereno ed eguale, e senza sperpero di roba, e però più conveniente al savio. - Ma credi tu che se non ci fossero questi fastidi il filosofo biasimerebbe il diletto che si ha con la donna? Io no, disse Doro: ma sia qualunque l’opinione del filosofo, io penso che noi non dobbiamo lasciare due per avere uno, e che noi dobbiamo godere dell’uno e dell’altro come noi possiamo. Questo mi pare consiglio più savio, non rifiutare nessuno dei beni e dei piaceri che gli Dei ci presentano, e goderceli tutti, ma temperatamente per goderli più a lungo. E Callicle: E se dovessi tu scegliere? Nel diletto nostro ci sono due parti, e come due diletti, e in quello inebbriante c’è una parte sola. Dopo che io mi sono stretto ad Innide ed ho goduto con lei, ella ad un modo io ad un altro, non abbiamo scambiate le parti come facciamo noi: ché quando io ho abbracciato il mio Doro, io sento una seconda dolcezza, sento che il mio carissimo Doro abbraccia me. Innide non fa a me quello che io feci a lei, e Doro fa a me quel che io a lui. All’udir queste parole Doro senz’altro abbraccia a le spalle il suo Callicle e se lo stringe soavissimamente, e poi Callicle a lo stesso modo abbraccia e stringe il bel Doro. Che volete? avevano diciotto anni! E così si addormentarono.