Capo 2

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Frequentavano la scuola di Codro, filosofo platonico di gran fama in Atene. La scuola era su la gran via che mena al Pireo, poco lunge dal tempietto di Apollo: ed ivi convenivano molti giovani ateniesi e forestieri per ascoltar Codro, che era bel parlatore, e di piacevole spetto senza l’accigliatura filosofica, un uomo su i quarant’anni, composto nelle vesti, e spesso sorridente. Dicevano che egli solo aveva inteso Platone, e ne spiegava la dottrina. I giovanetti lo ascoltavano con grande attenzione, e notavano su loro tavolette le belle cose che udivano per tenerle meglio a mente, e usciti dalla scuola andavano spesso nel boschetto sacro ad Apollo, e quivi passeggiando tranquilli e solitari ragionavano delle cose udite dal maestro. Un giorno videro venire pel boschetto esso Codro solo e lento: gli andarono incontro, e lo salutarono, ed egli rispose con un sorriso al loro saluto, e disse: Che fate qui, o bei garzoni? - Ragioniamo. - E di che? - Di quello stesso che tu oggi dicevi nella scuola. - E posso io entrare tra voi? Ebbene, sediamo su quel sedile di marmo dove l’ombra degli allori è più fitta e difende dai raggi del sole. - E seduto che fu in mezzo ai due giovani, prese e strinse una mano all’uno ed all’altro, e disse: Un poeta direbbe che voi o giovanetti, somigliate i cavalli del sole, così belli, e lucenti, e sempre insieme: ma io che da alcun tempo vi vado osservando, io dico che voi siete innamorati. Oh non arrossite di questo che non è vergogna, ma prezioso dono che gli Dei concedono a pochi ed ai migliori. E Callicle rispose: Sì, noi ci amiamo, né abbiamo di che arrossire o vergognarci perché non rechiamo offesa ad alcuno, né a noi stessi. E Codro: Voi, o giovanetti, fate quello che fecero Armodio ed Aristogitone, - che diedero la libertà ad Atene, ed erano innamorati ed a quei grandi innamorati gli Ateniesi rizzarono statue ed offrono sacrifici come fanno agli Dei. Innamorati erano Achille e Patroclo i due grandi prodi che caddero a Troia; e quando Patroclo fu morto, Achille pianse amaramente, e ricordando tutte le dolcezze godute insieme ricordava con maggior passione:

........quella dolce usanza
Di star fra le tue cosce santamente.

E negli eserciti elleni quale è la schiera dei più bravi? Quella degli innamorati, che combattono a coppia, e l’uno aiuta l’altro. L’amore li rende eroi, ed essi fanno le maggiori prodezze di cui ricordano le nostre storie. Insomma sappiate, o giovanetti, che tutti gli Elleni migliori per senno, per coltura di mente e per gentilezza di costumi, sono innamorati nella loro giovinezza, come voi siete, e taluni anche nell’età matura e nella vecchiezza. Qui Doro domandò: Ed anche tu, o Codro, sei innamorato? - E Codro rispose: Sì, o giovanetto; ed io garzone fui amato da Cleobulo mio maestro, di cui mi è cara la memoria; ed ora amo un giovane dell’età vostra il quale da alcuni giorni è ito a Larissa sua patria per raccogliere l’eredità paterna. - E Doro: E questo tessalo ama te? - Sì, perché io l’amo: ed egli desidera di tornare presto e di vivere meco, come io desidero di rivederlo, e senza di lui sono mesto, come mi vedete. Ragioniamo dunque di questo amore. Il nostro divino maestro Platone di questo amore intende parlare nelle sue opere, e non di altro, come si crede. Ricordate le ultime parole del Fedone che sono queste: Concedetemi, o Dei, che io possa piacere sempre ai belli. Questo è quell’amore puro e sacro di cui egli ha ragionato tanto e sì profondamente. Ora questo amore è perfetto quando è in due giovani come voi siete, leggiadri di persona, pronti d’intelletto, e nutriti di buone Lettere: perché amandosi fra loro godono del piacere temperatamente (ché carattere di questo amore è appunto la temperanza) e non isciupano e disfanno il corpo con le femmine il cui desiderio è insaziabile; non mandano a rovina la casa donando con pazza larghezza a cortigiane, che più hanno più chiedono; non sono tormentati da gelosia; non si mischiano in rapimenti e risse e ferite e uccisioni; ma invece come hanno goduto insieme un diletto, attendono insieme agli studi, vanno insieme a la guerra dove l’uno è scudo dell’altro. Questo amore ha per legge la reciprocanza, e però è ottimo nei giovani della stessa età, buono in quelli di età poco diversa. Callicle dimandò: Dunque reciprocanza anche per te e Cleobulo tuo maestro, fra te ed il Larisseo? - Sappi, o Callicle, rispose Codro, che amore senza reciprocanza non è elleno ma barbaro, non è amore ma furore che soverchia e oltraggia un altro, il quale non può fare a te quello che tu hai fatto a lui. Eppure, disse Doro, molti biasimano questo amore, e molti più biasimano la legge della reciprocanza. - E Codro: Chi sono costoro? quelli che non conoscono questo amore, e biasimano ciò che non conoscono. Coloro che hanno sentito questo diletto amoroso, ne ringraziano gli Dei. Io dirò a quelli: Ma provate, vedete, conoscete prima, e poi ne riparleremo. E a chi nega la legge io rispondo, che egli nega che due sia maggiore di uno, che due diletti piacciono più di uno. Amare è cosa santa, godere dell’amore senza offesa altrui e senza vergogna propria, godere egualmente, è accrescimento e compimento d’amore. Non ascoltate, o giovanetti, coloro che ragionano di cose di cui non hanno conoscenza, e qui la conoscenza non viene dalla mente ma dalla esperienza e dal fatto. Chi non ha provato non può parlarne. Ma avete a sapere, o cari giovanetti, che questo amore, come ogni altra cosa ha bisogno di un’arte per giungere alla sua perfezione, e quest’arte si apprende. - E quale sarebbe cotesta arte? disse Callicle. Tu che sai tante cose, e sei così dentro nella dottrina del grande filosofo, conosci tu anche quest’arte? - La conosco, rispose Codro, e potrei insegnarvela, se v’aggrada. - Disse Doro: Volentieri ti avremo a maestro anche in quest’arte. Di’ dunque, e noi ti ascolteremo. - Ogni arte, o bei giovanetti, s’impara più col fare che col dire. E se voi vorrete venir meco in mia casa, io vi mostrerò l’arte, e ve la spiegherò secondo mio potere. - I giovani si guardarono in viso, e dopo alcune occhiate che si scambiarono tra loro, disse Callicle: E noi verremo con te per vederti adoperare cotesta arte.

Si avviarono dunque a la casa di Codro, e quivi giunti egli fece apparecchiare da un servo dopra un desco alcune focacce di sesamo, della carne di bue con salsa, un piattello di frutta colte allora nell’orto, e un fiasco di vino di Chio. Mandò il servo fuori per una faccenda, e voltosi ai giovani disse: Voi siete miei ospiti, accettate questo dono ospitale. E poi che tutti e tre ebbero mangiato e bevuto di quel buon vino, e che si furono rinfrancati, Codro li menò in una stanzetta dove era disteso per terra un profondo e molle tappeto tarentino, e qua e là dei cuscini su i quali sederono, avendosi prima levati i sandali. Allora Codro disse: Bisogna scoprire il corpo, perché la bellezza è in tutte le membra, e il primo godimento l’hanno gli occhi. Tutti e tre rimasero nudi: i due giovani asciutti e lucenti, e Codro mostrò carni bianche e pulite che erano una cosa ghiotta a vedere, e aveva le mani bellissime. I due giovani gli palpavano piacevolmente le grosse mele ed il petto, ed egli stringeva e baciava ora l’uno ora l’altro. Ecco qui l’arte, disse: ma non si può operare che con uno. Sii tu primo, o Doro. Bisogna dunque baciare prima gli occhi, e gli occhi tuoi, o bel Doro, sono soavissimi. Poi baciare la bocca con un bacio lungo lungo lungo, e la lingua mia guizzare nella bocca tua, e la tua nella mia. - Sapevamo questo, disse Callicle; che ce l’ha insegnato amore. - E Codro seguitava: Ti bacerò le mammelle così, e le suggerò un poco. Scorrerò leggermente con la mano sul ventre, e su questi bei peli del pube, e piglierò questo bel fiore che è rizzato sul suo gambo con tanta baldanza. O bel fiore! ha il colore e l’odore della rosa, e pare che schiuda la bocca e mi voglia parlare! E poi con la mano scorrerò oltre, e con un dito dolcemente tenterò la porta. - E questa neppure è nuova arte per noi, disse Callicle. - E Codro: Oh lascia che io ti baci nelle spalle, e nei fianchi, e per le mele. O belle mele Esperidi, viene Ercole a cogliere il frutto prezioso. E così dicendo il buon Codro, che si aveva unto di odoroso unguento il suo Ercole, abbraccia Doro, e dopo due o tre dolci sforzi entra nel divino orto delle Esperidi. Stavano così congiunti e stretti sul tappeto, e Callicle a quella vista non può trattenersi, ed avendo anch’egli unto il chiodo, lo punta fra le carnose mele di Codro, e giù dentro a un tratto. Scuotesi Codro, e lascia Doro; ma subito lo riprende, e dice: Bravi, o giovanetti, state saldi, tu Doro innanzi a me, tu Callicle dietro: teniamoci stretti bene, e non usciamo di carreggiata. E poi che ebbero corso tutti e tre insieme uno stadio, disse Codro: Io volevo insegnare l’arte a voi, e voi, o divini giovanetti, insegnate a me una cosa novissima, come i due diletti d’amore si possano avere nello stesso tempo. Ringrazio gli Dei di avere appreso un’arte più fina. - Basta, disse Doro: reciprocanza ora. E così rivolgendosi tutti e tre, Codro si strinse il bravissimo Callicle, e Doro con eguale impeto e bravura entrò nel giardino di Codro che mise un gran sospiro.

E poi che ebbero compiuto questo altro stadio, e si astersero le membra con un lavacro, Codro volle che così nudi come erano libassero del vino a la memoria di Platone, e poi lo bevessero nella medesima tazza. E poi che ebbero libato, e bevuto, e si furono baciati, Codro abbracciandoli tutti e due disse: Due diletti nello stesso tempo! eppure fra i due mi è stato più dolce quello che voi avete dato a me. - E noi, o maestro, anche noi abbiamo avuto un nuovo diletto a penetrare in questo profondo seno della tua platonica sapienza. - Gli Dei vi benedicano, o giovanetti. Non vi dimenticate che questa nuova conoscenza di diletto l’avete appresa con un filosofo platonico. I giovani si rivestirono e andarono via. Qualche altra volta platoneggiarono a quel modo col loro maestro, finché non fu ritornato il giovane da Larissa.