I Marmi/Parte terza/Discorsi utili fatti ai Marmi di Fiorenza/Savio, Pazzo, Viandante e lo Spedato

Savio, Pazzo, Viandante e lo Spedato

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Savio, Pazzo, Viandante e lo Spedato
Discorsi utili fatti ai Marmi di Fiorenza - Lo Spedato e il Viandante, academici Peregrini Parte quarta

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Savio, Pazzo, Viandante e lo Spedato.

Savio. Tu debbi aver fatto rider ogn’uno con cotesta tua opinione: ma dimmi l’altra.

Viandante. Noi vogliamo udir ancóra noi.

Pazzo. Voi siate i ben venuti. Egli mi sa male che voi non vi abbiate trovato alla disputa de’ mali che vengano e vanno nel corpo nostro: io ho mandato a monte gli argomenti, le sofisterie, le logiche, i serviziali, le medicine e ogni cosa, e, ultimamente, venni con la pratica (perché v’eran forse tremila plebei) e dissi una novella nuova non piú detta, e mi venne, vedete, in un súbito alla memoria.

Dice che s’era un tratto, lá, nel principio del mondo, tutti gli uomini ragunati insieme e che se lo divisero tutto tutto a un pezzo per uno, e ciascuno aiutava l’altro a mantenere il suo, come dire, il re di Francia dá favore al re d’Inghilterra, quel d’Inghilterra e quel di Francia al re d’Italia, questo d’Italia, essendo molestato il re di Francia, l’aiutava, e vattene lá. Ma quando costoro divisero il mondo fra di loro, e’ non avevano cognizione se non d’un certo che, perché ancóra non avevano solcati i mari né navicato per tutte le provinzie abitabili e inabitabili. Alla fine comparsero nuovi popoli, e, trovato presa la parte migliore, si diedero a trovare invenzioni per dominare, per aver qualche cosa e per usurpare dell’usurpato; e qui cominciarono a dire: — Non mangiate questa cosa, ché la fa male; non usate questa altra, perché la nuoce. — E, fatta setta da loro, si fecero chiamare i Mendici, conciosia che andavan mendicando. E sapete in che modo? Come fanno oggi i poeti, i quali, avendo fatto un libro, lo vanno a presentare a qualche gran maestro e quivi si rimpiumano, rimetton le penne ciò è, e vivattano d’un desinare, di due scudi, d’una marmetta e d’un presentuzzo; alla fine, eglino si ritrovano sicul erat in principio, come i Mendici, i quali aricchitisi, si son fatti, per forza di soldi, chiamar Medici. Ancóra i poeti, quando diventano potenti di un saione [p. 142 modifica] di terzo pelo e d’un fiorino, si fanno dar del «signor» per la testa e, su’ titoli dell’opere, del «messere» e della «madonna». Ora i Mendici portavano un lattovare che s’erano lambiccato nel cervello, verbi grazia, manna, arsenico, olio rosato e verderame e zucchero, e lo davano per presente a quei ricchi; e loro inverso i Mendici facevano come fanno i gran maestri inverso i poeti, davano un pizzicotto di fiorini loro e talvolta nulla, e spesso gli avevano in odio, e sovente gli vedevano mal volentieri, come fanno i gran signori i poveri poeti; perché credevano quei, de’ Mendici, che quell’unguento non fosse buono a guarire i cancheri, ma che l’avesser fatto per truffargli qualche scudo, conciosia che sapevano di certo non aver altrimenti il canchero nell’ossa. Cosí son disprezzati i poeti ancor per questo da loro signori, perché, verbi causa e scasimodeo, lor donano un libro a qualche bacalare «eccellentissimo» o «reverendissimo» o «illustrissimo» o «magnifico» o «ricco»; súbito colui che è donato legge la pistola e, quando che egli vi trova dentro «liberale, cortese, stupendo, virtuoso» o «eccellente, nobile, gentile, reale, splendido, benefattor de’virtuosi, raro d’intelletto» e vattene lá malinconia, súbito egli dice: — Costui mente per la gola, perché, dai beni che mi son dati dalla fortuna in fuori, io sono un asino, verbigrazia, son plebeo, non ho una lettera al mondo, anzi, se non fosse questi pochi soldi che ho ereditati, ciò è pervennero a mio padre da un altro e l’altro dall’altro e quell’altro da quell’altro, tanto che gli arrivano alla linea che per forza se ne fece signore a bacchetta, io mi morrei furfante di corpo, cosí come io son d’animo, allo spedale. — Un’altra parte si diede a far legge e cominciarono ad avilupparla, con termini, con «civile», con «criminale», con «caso pensato», con «fortuito» e dir: «la non può stare; la va cosí; la s’intende colá»; tanto che cavaron delle mani a quegli altri usurpatori una gran parte de’ beni usurpati. Cosí uno pigliava una strada e l’altro un’altra; e trovaron le dipinture, le cantilene, l’astrologie, le chiromanzie, le fisionomie, le nativitá, le piromanzie: che diavol non andaron eglino razzolando per metter mano a quel che non avevano? E i goffi si lasciaron menar [p. 143 modifica] per il naso e cominciarono a creder che la fosse come ella era lor detta e se ne stavano al parer degli altri, e in tanto si lasciavano cavar dalle mani mille buone entratenlle.

Savio. Vadia per oggi che i nostri ricchi non son sonagli, anzi si tengano il loro stretto stretto e, se la necessitá non gli caccia, non isborsano.

Pazzo. Io t’ho inteso; come dire: se non avessin paura di morire, non vorrebbon veder mai medici; e i medici che conoscano la loro asineria (dico a coloro che sono), gli pelano un pezzo e poi te gli spediscano, dicendo: — Va lá, fra i piú, e lascia cotesta roba a un altro che sia piú degno di te, ché tu non se’ degno di goderla. —

Viandante. Voi mi toccate un certo tasto che mi piace.

Pazzo. Udite quest’altro se vi diletterá meglio. Io credo che Domenedio, quando egli vede che gli uomini manchino di quello che sono ubligati di fare, che gli lasci cader poi in qualche continuo male; come sarebbe a dire: costui ha un bel palazzo; lascia che io non voglio che egli lo goda, anzi piú tosto che sia abitato dagli scorpioni, da’ ragnatelli e da’ topi; lasciami disunir la famiglia, lascia che non abbino eredi, fa che i lor parentadi sieno infami, fa che tutto l’avanzo della roba che lor la consumino in cani, ruffiani e meretrici, che mai abbino un’ora di bene, ma tutto il tempo della vita vivino in travagli, alla fine muoino disperati e con poco onore e gran vergogna, poco utile e gran danno facendo a chi s’impaccia con i fatti loro.

Spedato. Di cotesti tali ne saprei dir qualche uno. Ma, dimmi, Pazzo, perché hai tu paragonati cosí i medici con i poeti?

Pazzo. Perché si trovano pochi poeti e pochi medici buoni e assai cattivi: ogni uno vuol medicare, a ciascun vuol poetare; i medici amazzano gli uomini con le medicine, e i poeti con i versi e con far la vita loro infame; i medici risanano mille mali, e i poeti dánno buona fama ai cattivi talvolta; e spesso i medici amazzano un che sia prosperoso e sano, e i poeti un uomo da bene crucifiggono con le leggende: talvolta i medici dicono a un d’una cattiva e discordata complession di [p. 144 modifica] natura che egli è sano e di buona pasta, e non è; ancóra i poeti fanno gli uomini dotti e gentili, come ho detto di sopra, e se ne menton per la gola, e io sono uno di quegli che ho dedicato de’ libri a tali e fatto onore, che meritavano danno e vergogna.

Savio. E però v’hanno eglino stoppato con le vostre opere.

Pazzo. E però son eglino asini in veritá.

Savio. E però hai tu mentito per la gola.

Pazzo. E però mi ridirò io. Ultimamente, i medici hanno cominciato a biasimare infinite cose che son buone a mangiare, con dir che le son ventose, tal secche, tal frigide; che ’l buon vin puro fa male, che ’ cavidilatte son pessimi, che l’arrosto disecca, che l’agnello, per esser carne fredda e umida, la genera flemma, che quella di bue è malinconica, che quella di cerbio fa grosso sangue e quella del porco, essendo fredda e umida ancóra, che la stringe i vapori dell’orina.

Savio. Quella della pecora?

Pazzo. Quella del bufolo?

Savio. Io vorrei che cotesti medici m’andassino membro per membro e cosa per cosa.

Pazzo. Ancor a questa biada particolare hanno messo mano, dicendo che ’l cervello, per farmi dal capo, è freddo e allo stomaco fa fastidio; che la lingua è di gran temperamento.

Savio. E’ menton per la gola, ché la non è cosí.

Pazzo. In quanto a cotesto, ella tien dell’uno e dell’altro. Quando fu presentato a Cesare nel conflitto di Tunisi quella lingua salata (perché in quel luogo fu assai), la gli fu donata con questi quattro versi:

     Il mio presente è, Cesare, una lingua,
il meglio e peggio di ciascuna carne:
tu che molti odi, puoi giudizio darne,
come ella molti smagra e molti impingua.

Savio. Il resto poi?

Pazzo. La carne magra fa il sangue secco, il fegato è caldo e umido, la milza genera sangue negro, il cuore è duro a smaltire. [p. 145 modifica]

Savio. E il polmone che fa?

Pazzo. Dá poco nutrimento ed è frigido di sua natura.

Savio. La coda?

Pazzo. Nuoce allo stomaco, genera collora rossa e assai.

Savio. I piedi?

Pazzo. Fanno il sangue viscoso.

Savio. Ora colgo i tuo’ medici. Qual carne è migliore, id est i quarti dinanzi o quei di dietro? Quali vogliano eglino che sien piú utili alla nostra conservazione?

Pazzo. Le membra dinanzi, per la maggior parte, son calde e leggieri e quelle di dietro fredde e grevi.

Viandante. Non so come s’accordino i poeti di coteste parti.

Pazzo. Lodano ancor loro la parte dinanzi chiaramente: testimonio il Petrarca, al libro di madonna Laura, nel capitolo dell’Amore, e Dante al testo di Beatrice, Boccaccio alla Fiammetta, eccetera.

Viandante. Perché usano i poeti moderni oggi il contrario?

Pazzo. Il proverbio ve l’insegna: «loda il monte e tienti al piano». Biasimare una cosa, a ciò che gli altri la lascino stare e, lasciandola, la pervenga loro alle mani. Non si sa egli che la carne di coscia è un taglio mirabile, o sia porco, vitello, manzo o capretto? O sia dinanzi la coscia o di dietro alla coscia, pur che la sia coscia, i poeti non fanno tanta distinzione; pur che se ne piglino un pasto, basta.

Savio. Ancóra ai medici piaccion simil tagli; e nel comprare ho veduto far tale eletta.

Pazzo. La scienza de’ medici moderni è tenuta da molti per cosa leggieri; e le composizioni dei poeti del dì d’oggi è giudicato un vento, una penna e una cosa leggierissima.

Savio. Di grazia, finisci per ora; un’altra volta ci ridurremo a dire il restante.

Spedato. Dite il vero: a rivederci; a Dio.


Il fine della terza parte de’«Marmi» del Doni dedicati allo
illustrissimo signor don Ferrante Gonzaga.