I Marmi/Parte prima/Ragionamento terzo/Nicolò Martelli, Visino e lo Stradino

Nicolò Martelli, Visino e lo Stradino

../Il Perduto academico Peregrino ../../Ragionamento quarto IncludiIntestazione 13 settembre 2020 75% Da definire

Nicolò Martelli, Visino e lo Stradino
Ragionamento terzo - Il Perduto academico Peregrino Ragionamento quarto - Ragionamento quarto

[p. 36 modifica]

Nicolò Martelli, Visino e lo Stradino1.

Nicolò. Badate a venire; voi l’udirete dire. Che accade di saper chi l’ha fatta? Basta che l’è bella: e’ si saprá poi quando la si stamperá; per ora non si dice il nome. L’è qui un tratto e s’ha da lègger tutta.

Visino. Lasciami almanco lègger gli strioni o tu gli leggi tu, ché io voglio andare insino a bottega e voltar di qua senza venir alle scalee.

Nicolò. Tu se’ Lisabetta, Visino, e l’Infradicia oggi mai: to’ to’, leggi e poi va in mal’ora.

Visino. Come io l’avrò letta, te la riporterò insin qua.

Nicolò. Non correr via con essa, vien qua; diavol! tu ci guasti una bella festa.

Visino. A vostra posta; io tornerò or ora.

Nicolò. Questo scimonito me n’ha fatta una! S’io non gne ne pago, non vaglia. Padre Stradino, se voi non ci soccorrete di qualche cosa nuova da lèggere, sta sera noi siamo rovinati.

Stradino. Cacasangue venga a’ savi! Egli aveva pontati i piedi al muro di volerla e voi sète un baccello a lasciarvela uscir di mano, potta della Consacrata! Dio sa quando ve la renderá.

Nicolò. L’è fatta; qua non c’è riparo; mostrate, se voi ci avete nulla di bello.

Stradino. Il Romuleonne aveva tolto, per leggerne uno straccio in palazzo dopo cena; ma v’era da dar tanta udienza che io non ho potuto. Eccolo.

Nicolò. Oh che librone! E’ debbe essere un bel libro, poi che egli è sí grande e sí alto. [p. 37 modifica]

Stradino. Aprite e leggetelo, poi ve ne farete beffe.

Nicolò. «Licaonio fu un censore giudice in Roma, d’alta statura, piú tosto magro che grasso; aveva gli occhi lippi, poca barba e naso arcigno; grand’orecchie e picciol posolino; aveva le vene grosse e rilevate su la fronte grande e le ciglia giunte; poi scopriva quanti nervi egli avesse nel collo. Era costui nelle leggi de’ romani peritissimo e dottissimo e nella pratica del giudicare esperimentato: naturalmente favellava poco, e nel rispondere molto risoluto; ministrava equalmente giustizia e non la risparmiava a nessuno; spediva con brevitá, né sí tosto avevano le parti cominciato a dire il caso che in quattro parole egli diceva loro il successo, tanto aveva cognizione degli uomini e de’ fatti di Roma. Mai fu alcuno che lo potesse corrompere con preghi, favori o presenti né con bravarie farlo ritrarre dal dritto della giustizia».

Stradino. Segna cotesto luogo.

Nicolò. «Era nella pratica molto solitario, molto severo nel rispondere, né si piegava a belle parole che lo pregassero; crudele nel gastigare».

Stradino. Questa sua condizione non mi piace troppo; lieva il segno.

Nicolò. Ah, ah, padre Stradino, voi non volete insegnar cose che offendino.

Stradino. Séguita pure; basta che questo cerchio di brigate da bene odino loro.

Nicolò. «Sospettoso era costui molto e ombrava d’ogni atto e cenno che egli vedeva fare e sopra tutto era da molti aborrito e da tutti temuto».

Stradino. Costui doveva esser fratel di Maurizio:notanon lègger piú costí; passa inanzi.

Nicolò. Stradino, questo fa buon sentire, la differenza delle nature, acciò che le persone, udendo, lascino le cattive parti; 2 [p. 38 modifica] lasciatemi lèggere ancóra un poco: «Quanto fosse odiato e malvoluto costui, aborrito, fuggito e temuto, è impossibile ad imaginarselo. Quando uno riceveva un’ingiuria, sapeva certo che colui che l’aveva offeso non se ne andrebbe impunito; onde diceva súbito: — Viva Licaonio! — Infino quando i putti piangevano e le madri non gli potevano racchetare, dicevano: — Io andrò per Licaonio; ecco Licaonio —».

Stradino. Come dire l’orco o ’l bau: egli aveva bene un nome da spirtar le persone.

Nicolò. «Quando si levava le parti in terra alcuna o novitá in provinzia strana, ciascuno, per una voce, diceva: — Bisogna mandarci Licaonio. — E dove egli andava che vi fosse errore, nettava d’ogni cosa, sospetto, scandolo e male; onde a pena v’era chi si ricordasse del fatto».

Stradino. Costui era peggio che il fuoco.

Nicolò. «Se alcuno omicidio fosse accaduto nella cittá, molti che presso al caso si trovavano, che erano innocentissimi, si fuggivano, per paura d’esser gastigati solo per saperlo; e sempre, per il manco male, aveva mille tormenti apparecchiati; né fu mai alcuno che gli desse nelle mani, che non si partisse con un ricordo perpetuo e un segnai manifesto di crudeltá da lui. Nelle terre dove era mandato dal senato per gastigare, pareva la giustizia beccheria di mani, di teste, di lingue, d’occhi, di quarti e di busti».

Stradino. Che perder si possa il seme di sí fatti bestioni! So che io avrei voluto levarmelo dinanzi; io solo sarei ito con un trafieri ad amazzarlo.

Nicolò. Si, se voi foste stato armato e con la zazzera, come voi séte ritratto in casa, eh, Dio, voi aresti ancor voi tratto quattro vesce come gli altri; bisogna altro che parole e attaccarla alla Consacrata. Lasciatemi finir la bestialitá di colui: «Egli era questo uomo tanto incrudelito dentro al cuore che non rise mai né ebbe faccia allegra né mai vidde drittamente in viso alcuno, se non era reo. Questi gli guardava, rideva con loro e diceva delle piacevolezze; e mentre che le buone parole andavon per aiere, i cattivi fatti piovevano loro adosso». [p. 39 modifica]

Stradino. Doveva esser costui figliuol di qualche cagna arrabbiata e doveva aver poppato latte di tigra e pasciutosi sempre di carne di serpente, di basilisco e di coccodrillo, bevendo sangue continuamente sparso nella battaglia dei piú feroci animali che abitino ne’ boschi. Oh che animalaccio era egli! Dá qua questo libro, in mal punto, ché io non voglio udirne piú di costui.

Nicolò. Orsú, ecco che io passo parecchi quinterni.

Stradino. Leggi ora costí, ché io so che debbe esser passata la istoria di quel mostro crudele e nimico di Dio e della gente del mondo.

Nicolò. «Nell’anno duodecimo della fondazion di Roma, il primo re fu Romulo, il quale mandò un bando e chiamò tutti i banditi, i perseguitati e gli afflitti che erano fuori della patria, scacciati, volontariamente per timor fuggiti e a torto perseguitati, facendo loro assapere che gli rappacificherebbe, consolerebbe, aiuterebbe e soccorrerebbe in tutti i lor bisogni».

Stradino. Oh questo era un signor da bene! Cosí si fa a volere esser ben veduto e ben voluto! Ripiega la carta in tre doppi, che io non perda questa bella istoria.

Nicolò. «Divulgata la fama per tutta Italia della pietá e clemenza che Romulo usava in Roma (se gli annali degli antichi non m’ingannano), fu piú popolata Roma di dentro e di fuori in dieci anni che in cento Babillonia e Cartagine».

Stradino. Oh glorioso principe che avesti sí alto cuore! oh santo cervello che ritrovasti tanta pietá! oh lingua benedetta che comandasti sí beati comandamenti! oh che glorioso nome è il tuo! Leggete un poco quel titolo a maiuscole che è in questa altra faccia.

Nicolò. «Il re de’ Parti e d’Asia ai padri conscritti in Roma e all’aventurato popolo della cittá e d’Italia e a tutti coloro che hanno realitá di cuore, che tengano il nome di romani clementi e pietosi, salute, pace e tranquillitá sia data loro da gli dei».

Stradino. Guardate quel che fa esser pietoso! oh che bel titolo al nome romano! Vedete come, al tempo de’ buoni, gli [p. 40 modifica] uomini s’affaticano a esser pietosi per esser amati? Vadia per oggi che i giúdici cercono d’esser temuti per forza e non per amore. So che questo tempo di Romolo è il contrario di quel di Licaone. Se i padri di molti cattivi uomini rinascessero, non crederebbon mai, vedendo, d’aver lasciato si cattivo seme in terra.

Nicolò. «In questo tempo fu ritrovato un sepulcro in una isola sopra quattro colonne di marmo antichissimo, che a pena, dell’epitaffio a lettere grece che v’era scritto dentro, si potefon cavar queste parole: ‛Tutto il tempo che gli immortali dei diedero vita a questo re, egli accettò tutti i fatti degli uomini per bene né mai volle male ad alcuna persona; e quando sapeva uno che per cattiva strada caminasse, con pietá e aiuto lo ritirava da tal sentiero. Mai volle la sua corona vincer per guerra, ma con pace, amore e premio, e reggere i suoi sudditi con amorevolezza come proprii figliuoli, faccendo conto che la cittá fosse la casa e tutti gli abitatori di quella la famiglia. Con minaccie non volle mai ottener cosa alcuna, ma con prieghi. Tutto quello che secretamente mal fatto potette rimediare e amonire il mal fattore mai si seppe o vedde in publico. Ogni persona che egli potette corregger con avvisi da se medesimo mai corrèsse o fece gastigare in publico. Se fu mai punito publicamente alcuno, rendetevi certissimi, lettori, che colui fosse incorrigibile e che infinite volte dal signore fosse stato inanzi ripreso con caritá e amonito con amore’».

Stradino. Alla barba di molti de’ nostri che ci tengano per nimici capitali e ci gastigano a torto prima che ci amonischino a ragione. Costui fu un santo re e un divino spirito.

Nicolò. «‛Non usci mai della bocca di questo principe bugia alcuna né promessa senza osservanza né parola che nocesse ad alcuno; né ascoltò mai alcuno che lo lodasse; mai desiderò roba d’altri, ma sempre si contentò di quello che aveva giuridicamente, né cercò occupare stato d’alcuno che trovasse nascendo in possesso; dove sapeva che suscitasse nimicizie, immediate acconciava ogni differenza, e a questo aveva molti, secretamente, che l’avisavano’». [p. 41 modifica]

Stradino. Vadia per gli altri tempi passati, che si teneva conto per altra via de’ poveri sudditi.

Nicolò. «‘Nessuno nel regno suo mori di fame mai o di stento, anzi tutti tenne sempre proveduti, con giusto e ragionevol modo da vivere. Non fu prodigo nel donare né ingordo nel ricevere né ingrato di benefizio che gli fosse fatto’».

Stradino. Molti de’ nostri tempi pigliano sempre e non lasciano in sempiterno e d’il loro non dánno; e se d́anno, dánno a fata per boria, per superbia e per grandezza, e non mai per virtú, per merito o per ricompensa.

Nicolò. «‘Aveva grandissimo dolore quando gli bisognava, tirato dalla giustizia e dalla forza, gastigare uno; e aveva grande allegrezza, venendogli occasione di onorare e premiare un altro’».

Stradino. Io piango per allegrezza. Oh se si trovasse tutti i principi oggi si fatti, come sarebbe felice la vita nostra!

Nicolò. «‘Fu, questo nostro re, virtuoso e amò e premiò di tutte le sorte virtú. Nel suo morire, per dolore, infiniti buoni morirono in breve tempo; e fece una morte felicissima; onde, per la vita e per la morte, siamo certi che lo spirito suo andò agli dei: e noi il corpo onoraremo quanto potremo e sempre chi di lui avrá ricordo gli sará affezionato servo e schiavo’».

Stradino. Ecco Visino galoppando; e’ m’ha ingannato, ché io credetti che non tornassi altrimenti. — Che c’è, Visino? dov’è la comedia? —

Visino. E’ non me l’hanno voluta render un monte di gentiluomini che son lá in bottega. Carlo Lenzoni la legge, e bene, e la considera, e n’hanno un gran piacere. Fra l’altre cose dicono che l’autore ha avuto una grande avvertenza in quei servitori che fanno tutti i fatti e che cavano i lor padroni di tutti gli intrighi; e dice che anticamente gli schiavi eran sapienti, conciosiacosa che furon molti grandi uomini, ma per disgrazia, fatti prigioni, poi, quando avevan tratto i lor padroni de’ pericoli, de’ viluppi o fatto ottenere con il loro ingegno cosa che fosse grata al signore, che per questo eran fatti liberi. Egli adunque non ha fatto come i moderni, che per via d’un semplice [p. 42 modifica] famiglio son messi in buon essere delle loro imprese, e par che i servitori d’oggi ne sappino piú che i padroni.

Nicolò. O come ha egli accordato cotesta cornamusa?

Visino. Fa che due fuorusciti, nobili e letterati, in parte strane s’acconcino per servidori e alla fine si scuoprono chi e’ sono; e fanno parentadi mirabili, cose rare per la fede mia, con gran giudizio e fondamento, tanto piú che c’è lavate di capo a’ nostri, che furon giá battilani, che ne va la spalla. So che a chi la tocca, si può dir: «San Pietro la benedica». Vedete fil filo va la cosa; chi legge quella comedia impara tutti i motti e tutti i garbetti fiorentini, impara a vivere e a lasciar vivere. Volete voi altro, che s’è cavata la maschera? Le stampe non mufferanno giá quella.

Nicolò. È possibil che non si possi saper l’autore o comprendere, agli andamenti che vi son dentro, chi la può aver fatta? E’ si conosce pur gli stili e la lingua.

Visino. Fiorentino è egli un tratto, e si falla di poco a dar nel segno; ma nessuno non ardisce a dire: — Egli è il tale — perché hanno paura di non toccar del raccheto. Se noi vogliáno andare a udirne uno strambello, fate voi.

Nicolò. Non io; tutta la vo’ lèggere a un fiato; e’ non mi piace udir le cose in tanti pezzi.

Visino. Voi che leggevi?

Nicolò. Belle cose certamente; non men belle che la comedia.

Visino. Vadia manco; fate che io oda e poi vi saprò dire se l’è di bue, se la si cocerá o no.

Stradino. Trovagli quella di Licaone, che sarebbe buona per lui, quando e’ dá la baia in bottega alle persone.

Nicolò. Messer no, padre Stradino, io ne vo’ lègger una a suo proposito.

Visino. Or cosí, Coccheri, trattami bene.

Nicolò. «Gli uomini rari e donne che sono state scritte in questo libro chiamato Romuleon, son queste: Nebrot, primo tiranno; Semiramis, che peccò con il figlio; Antenore, che vendè Troia; Medea, che amazzò i suoi figliuoli; Tarquinio, che [p. 43 modifica] sforzò Lucrezia; Bruto, che amazzò Cesare; Siila, che sparse tanto sangue; Catellina, che tiraneggiò la patria; Iugurta, che amazzò suoi fratelli; Calligula sforzò le sorelle; Nerone amazzò sua madre; Eliogabalo rubò i templi; Ligurgo diede la legge a’ Lacedemoni; Numa Pompilio onorò i templi; Giulio Cesare perdonò l’ingiurie; Ottaviano fu amato da’ suoi popoli; Alessandro fu liberale a tutti; Ettor troiano fu animoso in guerra; Ulisse si pose a gran pericoli; Pirro, re de’ Piroti, trovò molti ingegni; Catulo Regulo sopportò infiniti tormenti; Tito fu padre degli orfani; Traiano fece grandi edificii; e Marco Aurelio seppe piú di tutti».

Visino. Egli non seppe giá fare i carnieri come me. Oh che tanie son coteste? a che proposito avete trovato da lègger voi costi, dite, messer Niccolò?

Nicolò. Per mostrarti uomini rari e poi dire che tu sei rarissimo sí a far carnieri come dire a comedie. E quando io scriverò le cronache di Firenze, io ti ci metterò su per uomo raro, sí come ha messo questo antico scrittore i grandi uomini del suo tempo e che egli ha trovati scritti ne’ passati.

Visino. A bel patto: come voi fate le cronache, dipignetemivi capo di sotto. Che ne credete, padre Stradino?

Stradino. Ogni cosa può essere; ma io ho paura che in manco di quattro o cinque anni noi andremo tutti e tre al Pino: tu sei carico di pancia, io d’anni e lui è maturo: se le cronache non dican questo de’ fatti nostri, credo che ci sará poco altro da dire.

Visino. Pur che noi siamo nominati, basta.

Nicolò. Io non ci verrò forse un’altra sera, che io porterò un capitolo in lode del carnieri, perché ho pregna la fantasia delle sue lodi; e come ho finito quel della fornaia, súbito l’arreco.

Visino. Saracci egli altro per istasera?

Stradino. E’ mi par ora di ritirarsi: le notte son piccole, io son vecchio, Nicolò è ammalato; e tu va, vedi se’ tuoi colombi son diventati di gesso.

Visino. Voi dite il vero. Mi raccomando.

Stradino. Son vostro. [p. 44 modifica]

Nicolò. Buona notte.

Stradino. Visino, ricordati che la comedia non vadia in Badia: e’ vi sará qualche svogliato e tu non saprai dir di no, perché tu fai a fidanza col Martello; ma s’egli non ti ciurlasse poi nel manico, del capitolo del carneri, dirò ben che sia un barbagianni.

Nicolò. Io lo farò ancor cassar dalla Cicilia, e, secondo che vuol esser governatore, gli farò nevicar le fave bianche.

Visino. Ancor questa si può legare al dito: al nome di Dio, voi dicicilierete forse prima che me.

Stradino. E basta; andianne.

Visino. Sí sí, che noi saremo poi tutti amici. Qui verremo di questo gioco al fine.

  1. Giovanni Mazzuoli, soprannominato anche, da un suo intercalare, il Consacrata, e anche il Pagamorta, un de’ fondatori dell’accademia degli Umidi [Ed.]
  2. «Appresso il magistrato degli Otto teneva un cancelliere chiamato ser Maurizio da Milano, uomo crudele e bestiale». Cosí B. Segni, Istorie fiorentine, Firenze, Barbèra, 1857, p. 271. E piú distesamente il Varchi nella Storia fiorentina [Ed.].