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42 | i marmi - parte prima |
famiglio son messi in buon essere delle loro imprese, e par che i servitori d’oggi ne sappino piú che i padroni.
Nicolò. O come ha egli accordato cotesta cornamusa?
Visino. Fa che due fuorusciti, nobili e letterati, in parte strane s’acconcino per servidori e alla fine si scuoprono chi e’ sono; e fanno parentadi mirabili, cose rare per la fede mia, con gran giudizio e fondamento, tanto piú che c’è lavate di capo a’ nostri, che furon giá battilani, che ne va la spalla. So che a chi la tocca, si può dir: «San Pietro la benedica». Vedete fil filo va la cosa; chi legge quella comedia impara tutti i motti e tutti i garbetti fiorentini, impara a vivere e a lasciar vivere. Volete voi altro, che s’è cavata la maschera? Le stampe non mufferanno giá quella.
Nicolò. È possibil che non si possi saper l’autore o comprendere, agli andamenti che vi son dentro, chi la può aver fatta? E’ si conosce pur gli stili e la lingua.
Visino. Fiorentino è egli un tratto, e si falla di poco a dar nel segno; ma nessuno non ardisce a dire: — Egli è il tale — perché hanno paura di non toccar del raccheto. Se noi vogliáno andare a udirne uno strambello, fate voi.
Nicolò. Non io; tutta la vo’ lèggere a un fiato; e’ non mi piace udir le cose in tanti pezzi.
Visino. Voi che leggevi?
Nicolò. Belle cose certamente; non men belle che la comedia.
Visino. Vadia manco; fate che io oda e poi vi saprò dire se l’è di bue, se la si cocerá o no.
Stradino. Trovagli quella di Licaone, che sarebbe buona per lui, quando e’ dá la baia in bottega alle persone.
Nicolò. Messer no, padre Stradino, io ne vo’ lègger una a suo proposito.
Visino. Or cosí, Coccheri, trattami bene.
Nicolò. «Gli uomini rari e donne che sono state scritte in questo libro chiamato Romuleon, son queste: Nebrot, primo tiranno; Semiramis, che peccò con il figlio; Antenore, che vendè Troia; Medea, che amazzò i suoi figliuoli; Tarquinio, che