Guida della Val di Bisenzio/Parte seconda/5/a
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Itinerario. Via a. Da Prato ore 3,30. — Usciti per la Porta a Serraglio si può prendere una delle due vie descritte nell’Itin. N. 3 e si va a Figline (1 ora). Passata di poco la Croce di Pacciana, dove a sinistra è la strada pel Monteferrato, la casa che si vede là dinanzi sopra un collicello, e che serba anche al presente qualche cosa di palazzotto baronale, si crede fosse la Villa di Messer Ottaviano Castellani, ricordata di sopra; è luogo delizioso e ricco d’acque limpide e fresche, che discendono dalle vicine pinete di Carbonaglia. Dirimpetto a questo castello che dicono il Poggio, sulle falde del M. delle Coste è Natreta, amena villetta dei Fancelli, un dì del Bastogi, agronomo appassionato ed intelligente.
Fatti pochi passi eccoci a Figline.
= Chi ne volesse andare a investigare l’origine, si perderebbe in ricerche inutili: si crede che il villaggio sia di remotissimo tempo. Coloro che sanno l’arte di trarre dai nomi delle città e dei paesi, notizie più o meno peregrine sulle condizioni dei luoghi, sull’origine degli abitanti, sull’arte da essi esercitata, dicono che Figline o Felline, derivi da figulina, parola latina che vuol dire vaso di terra cotta, perchè, è fama vi si lavorasse, come ora, il vasellame d’argilla refrattaria, della quale abbandono i dintorni.
Oggi Figline continua l’antica industria del vasaio1 e del cavatore, avendo vicine le cave del granitone per le macine e del serpentino, conosciuto più col nome di Marmo Verde di Prato (V. Itin. 4).
Mancano notizie intorno alla storia di questo industrioso villaggio, e il più antico documento scritto che si abbia è un frammento di Statuti dell’opera di Figline, che è del 1401. Nella parete esterna della chiesa è un marmo che porta scritto in caratteri gotici i nomi del Pievano e degli operai della Chiesa dell’Opera di Figline ed ha la data del 13342.
La chiesa possiede alcuni pregevoli dipinti: nella lunetta della porta di fianco vedesi una pittura che si crede del secolo XV; e dello stesso tempo alcuni affreschi delle pareti, le quali sembra fossero tutte dipinte e imbiancate di poi, nel secolo XVII. L’altar maggiore ha una tela che il Repetti3 dice arieggiare la scuola di Fra Bartolommeo della Porta; altri pensa, e non senza ragione, che sia da attribuirsi al pittore Leonardo Mascagni pratese del sec. XVI. Ma quello che merita d’esser veduto è il tabernacolo a buon fresco che si vede sul muro d’una casa, passato poco la chiesa seguendo l’antica via che uscendo dal borgo conduce alla collina di Schignano ed a Cerreto; è lavoro di Angiolo Gaddi, l’autore dei dipinti nella Cappella della Cintola in Duomo di Prato. Le ingiurie del tempo che non perdona, la divozione della gente ignorante che non crede di far male a scalcinare pareti che han pitture pregevoli, o affumicarle con ammassarvi candele accese in occasione di feste, hanno in parte guastato quel lavoro d’arte antica che ci ricorda le opere più belle della Scuola Giottesca. Finalmente si è chiuso con imposte di legno ed a chiave il tabernacolo, e coloro che desiderassero vedere il dipinto potranno rivolgersi al proprietario della casa Sig. Agostino Fraschi.
Figline nel 1866 aveva 708 ab.4; ha due scuole pubbliche una per i maschi, l’altra per le femmine.
Oltrepassato il borgo, laddove si trova il cimitero, si passa il torrente Bardena, e pochi passi più in su, verso il monte, in un terreno di proprietà del Sig. Ermanno Benini, si fecero nel 1879 alcuni saggi per trovare una miniera di rame; ma i resultati non soddisfecero, e i lavori non furono continuati. Dopo il Cimitero si trova a sinistra la via per le cave (V. pag. 69) e poi passato il fiumicello ecco le Fornaci, e qui la strada si divide in tre, quella a destra guadando il torrente Bardena sale ripida a Cerreto (Itin. 7); l’altra a sinistra dopo le Fornaci varcato un ponte va alle case coloniche sparse per il poggio ed alla Villa Mazzoni5. Si lasci l’una e l’altra per seguire quella che sale fra mezzo a campicelli ben coltivati e piantati di olivi.
La via serpeggia un poco per il poggio che separa le due vailette così belle ed amene, di Solano a destra e di Capraia a sinistra.
Quanto più uno s’innalza per l’ombrosa strada, tanto più, volgendosi alla pianura, il panorama si fa bello e incantevole: quell’insieme di campi, di oliveti, di vigne, di boschi, di radure, di poggiarelli sassosi e nudi, racchiuso tra i fianchi del Monteferrato e delle Coste, fa sull’animo incancellabile impressione.
Intanto la via giunge a due case situate a destra l’una poco discosta dall’altra, vi dicono al Leccio; (da Figline 40 min.). Sulla sinistra scorre un torrente; passata di poco la seconda casa si stacca una mulattiera, e guadato il rio sopra un lastrico sale su a sinistra; si piglia questa via e dal guado ai Termini d’Albiano si mettono 15 min. La strada qui si biforca; una volge a manca e va alla chiesa d’Albiano ed alla Fattoria di Iavello (V. Itin. 5, via b) che si mostra là in alto; l’altra che è quella per i Faggi continua a salire.
Fan capo ai Termini d’Albiano altre due strade o meglio sentieri, (V. Itin. 6), uno va alla Collina e resta a diritta di chi sale ai Faggi; l’altro è a sinistra di chi va ad Albiano, e segue per molto tratto la crina di M. Lopi.
Giunti ad un piccolo rigagnolo, detto il Rio a Trecchio, (8 min.) la via lo passa sopra un ponticello facendo una voltata a sinistra, e continua a salire, sinchè non si trova sulla destra in un punto che dicono i Vergai, un sentiero ripido e sassoso pel quale salgono, quando è avvenuto il taglio degli scopeti, i piccoli carri per caricare le fastella: si lasci allora la strada che va alle cave d’Albiano e si pigli questo sentiero che dopo poco si muterà in un solco di un torrentaccio; è il cammino più corto per arrivare alle Treggiaie, assai faticoso, e per chi non è assuefatto alla montagna, faticosissimo, d’inverno vi si trova anche il ghiaccio e allora si fa pericoloso (Dal Rio a Trecchio alle Treggiaie per i Vergai, 25 min.).
È da preferirsi il seguente Itinerario, pochi minuti più lungo del primo. Giunti dopo i Termini d’Albiano, al ponticello del Rio a Trecchio si può pigliare una stradicciuola a destra che mena comodamente (10 min.) alla sommità d’un colle seminativo, da cui si vede la valle del Bisenzio; oppure lasciata la via al ponte del Rio a Trecchio, si risale questo torrente per un viottolo, dapprima sulla sinistra poi sulla diritta, sinchè si trova la Fonte dell’acqua buona, sorgente freschissima. Di qui seguitando si giunge al colle soprannominato e raggiungendo l’antenna posta a sinistra, su cui è il cartello Bandita Banti, si piglia la strada che volge su verso i Faggi, costeggiando il lato settentrionale di Poggiotondo tutto scopeti, e si arriva alla spianata che resta a piè dei Faggi detta le Treggiaie. (Dal Ponte del Rio a Trecchio alle Treggiaie, per questa via 35 min.). Bella veduta.
Dalle Treggiaie si sale ai primi Faggi, dov’è il Piano ai Massi; la via è un po’ faticosa; ma chi si tiene piuttosto a destra trova in vicinanza dell’antenna della Bandita un viottolo che guida con lieve salita al Piano ai Massi.
È questa una piccola spianata, cosparsa di fragole, quando n’è la stagione, riparata a tramontana da una folta macchia di faggi e sorretta verso levante da macigni sovrapposti come tavole di pietra, e sporgenti sul fianco del monte, che da quel lato è ripidissimo: e chi può sostenere impavido la vista dell’abisso e sa vincere le vertigini, gode ritto su quella rupe, una vista stupenda. Lo dica chi, seduto sull’orlo di quei massi, stette d’estate aspettando che il sole sorgesse dietro le vette dell’Appennino mugellano a vestir giocondamente di luce poggi e vallate.
Dal Piano ai Massi tenendosi un po’ a sinistra si trova la via che va su per la crina, dapprima fiancheggiata da piante di faggio, di poi per praterie: di qui l’occhio domina l’una e l’altra vallata e salendo un altro poco si giunge ai Faggi del Vai o alla Serra, (932 m). (Dal Piano ai Massi alla Serra 30 minuti).
È questo uno dei luoghi più deliziosi: oltre le piante dell’alto fusto vi sono cespugli e boschetti intramezzati da praticelli, talchè sembra d’essere in un bosco di giardino inglese. Di qui volgendo lo sguardo verso la pianura dell’Arno sul cadere d’una giornata serena, l’occhio abbraccia una veduta delle più mirabili, poichè sul fondo turchiniccio de’ monti a sud-est si mostra Firenze, dalla quale si parte un luccichio tremolante e continuo, essendo i vetri delle finestre e delle lanterne saettati dal sole che scende al tramonto.
Da questi Faggi del Vai ha principio un viale, coperto di finissima erba in mezzo ad un bosco di faggi, che fanno di quello amenissimo sito un ricovero fresco e grato nei caldi della state; e d’inverno, raffrenando i venti aquilonari e le bufere, ne diminuiscono la violenza, così che ritrovandosi là dentro sembra d’essere in luogo riparato, mentre le orecchie sono intronate dall’urlo sinistro dell’uragano, che scuote terribilmente i rami delle piante poderose.
Il viale è lungo un chilometro e mezzo circa e percorre sempre la crina ora salendo ora scendendo, ora allargandosi in praticelli, ora restringendosi nella boscaglia che lo fiancheggia. Ogni tanto dal lato settentrionale la macchia si apre e lascia vedere le cime dell’Appennino di Montepiano e della Futa e più basso i poggi e i casali dell’alta Valle del Bisenzio. Quando il viale comincia a discendere ripidamente, il monte raggiunge la sua massima altezza in 984 m. in vicinanza d’un pratello un po’ in declivio dalla parte meridionale, detto il Prato delle Vergini, chiuso all’intorno da belle piante di faggi, dal quale si presenta una veduta incantevole. La strada scende per Monte Vecchio ad una spianata, Le Cavallaie, dove finisce la bella ed ombrosa foresta. (Dai Faggi del Vai alle Cavallaie, 25 min.).
Lungo il viale, quasi presso la cima più alta, a sinistra, nascosta fra le piante suole trovarsi una conserva di neve: a chi sale ad Iavello d’estate può riuscire opportuna, poichè sorgenti d’acqua lì sulla cima non ve ne sono; la più prossima sorgente è la Fonte al prete, otto minuti distante dal crine sul declivio del Bisenzio a nord-est. Volendola trovare si parta dal 1° piuolo di pietra quadrato, segnale di confine, che si trova al principio della foresta dei Faggi del Vai; quando siamo giunti al 3° piuolo, che è sul lato destro del viale, dove si apre una piazzetta, ci si volga verso la Valle del Bisenzio, fra levante e settentrione, e fatti pochi passi verso il declivio, si vedrà subito dinanzi a sè una traccia di sentiero che scende giù per la macchia, si vada avanti per di là e si volti subito a diritta entrando nel bosco, laddove pare che le piante siano discoste per una apertura fattavi: allora volgendo in basso e facendo attenzione si trova un viottolo che si fa sempre più segnato e battuto, e si continuerà a scendere, sinchè giunti presso alla fonte, il rumore della sua caduta la farà trovare: due panchine di pietra sono ai due lati della fontana; è un luogo adatto ad una refezione boschereccia. La fonte scaturisce da un canaletto sotto un macigno sorretto da un muro; sopra vi fu murata una lapide nella quale si legge questa iscrizione:
a. d. 1878 a durevole ricordanza |
Si ritorna in cima ai faggi in 17 minuti.
Note
- ↑ All’arte del vasaio si è sostituita quella del fornaciaio; vi sono infatti diverse fornaci per calce e materiale laterizio assai rinomate. Iacopo Felici fabbrica stufe bellissime e solide a prezzi mitissimi.
- ↑ Vedi Pel nuovo Calendario pratese del 1861, Prato, Guasti 1860.
- ↑ Diz. geog. ecc. della Toscana. Art. Figline.
- ↑ Oggi ne conta 1020.
- ↑ In questa villa soleva passare molti giorni dell’anno, godendosi la pace serena del quieto e saluberrimo luogo, l’avv. Giuseppe Mazzoni, che fece parte del triumvirato toscano con F. D. Guerrazzi e G. Montanelli nel 1849, deputato del Collegio di Prato al Parlamento Nazionale e poi Senatore del Regno; morì nella sua città natia l’11 maggio 1880. La Società Massonica, della quale il Senatore Mazzoni era Grand’Oriente, volle che avesse la tomba nella Capitale del Regno al Campo Varano, e le ceneri del vecchio ed onesto repubblicano vi furono trasportale il dì 23 febbraio 1881.