Gli orrori della Siberia/Capitolo XXIV – L'assalto dei cosacchi

Capitolo XXIV – L’assalto dei cosacchi

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Capitolo XXIV – L’assalto dei cosacchi
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Capitolo XXIV – L’assalto dei cosacchi


Dimitri le fece cenno di vegliare attentamente, poi si allontanò, strisciando lungo la barriera di neve, finché giunse presso la parete di ghiaccio che sosteneva le vôlte.

Colà esisteva uno stretto passaggio, sufficiente a permettere ad un corpo umano di attraversarlo, senza esporsi troppo alle palle dei cosacchi.

Dimitri osservò dapprima attentamente dove si trovavano i nemici, poi con rapida mossa attraversò la barriera gettandosi subito dietro a un hummok. I cosacchi avevano salutato quell’audace salto con tre colpi di fucile, ma le palle non avevano colpito nel segno.

– Che pessimi bersaglieri, – mormorò il polacco, ridendo. – Sprecano inutilmente le munizioni del governo.

Alzò prudentemente la testa e gettò una rapida occhiata all’intorno. Il caporale si dibatteva sempre in mezzo alla neve, lamentandosi ad alta voce e cercando, ma invano, di raggiungere, se non i compagni, almeno il moschetto onde potersi difendere. I suoi soldati, spaventati dalla precisione dei colpi del polacco, non avevano abbandonato il loro nascondiglio per accorrere in aiuto del disgraziato. Ne avevano bensì il desiderio, però non osavano nemmeno mostrare i loro villosi berrettoni.

Dimitri, soddisfatto da quella ispezione che favoriva i suoi progetti, abbandonò l’hummok e passò dietro al cumulo di neve.

Un cosacco che forse lo spiava da qualche altura, fece nuovamente fuoco su di lui, ma la giovane che vegliava attentamente, rispose subito con una fucilata, snidandolo dal suo nascondiglio ed obbligandolo a raggiungere in fretta i compagni.

– Benissimo, – mormorò Dimitri. – La padroncina tiene gli occhi aperti. Ancora pochi passi ed il caporale sarà mio. Per Bacco!... Un ostaggio prezioso, in fede mia!...

Dinanzi a lui si estendevano altri cumuli di neve e di ghiaccio. Tenendosi riparato dietro a questi od a quelli, giunse ben presto là dove si dibatteva il disgraziato caporale.

– Ehi, amico mio, – gli disse, puntando su di lui il fucile. – Se ti preme di salvare la pelle, non muoverti.

Il caporale, vedendolo comparire a soli pochi passi, mandò un urlo di spavento, credendo che volesse finirlo.

– Aiuto, camerati!... – gridò.

– Sta zitto, vecchio lupo del Don, o ti mando all’altro mondo, – gli disse Dimitri, con voce minacciosa.

– Non uccidete un uomo che non può difendersi.

– Non ne ho l’intenzione, quantunque sia certo che tu non mi avresti risparmiato se mi fossi trovato al tuo posto.

– Cosa volete adunque da me?

– Che ti lasci prendere e caricare sulle mie spalle.

– Per farmi uccidere dai vostri compagni.

– Taci vecchio lupo e...

Due nuovi spari echeggiarono e Dimitri si sentì le palle fischiare agli orecchi. Maria subito rispose.

– Spicciamoci, – disse Dimitri. – O lasciati portare via o ti fracasso il cranio.

– Non mi ucciderete?...

– No.

– Ma io non posso alzarmi.

– Ho abbastanza forza per levarti.

Si gettò il fucile ad armacollo, si curvò e, preso il cosacco, se lo caricò sulle spalle, procurando però di coprirsi tutta la persona.

I cosacchi non avrebbero certo fatto fuoco sul loro superiore, quindi il furbo Dimitri contava di tornarsene alla barriera senza correre alcun pericolo.

Appena abbandonato l’hummok, si diresse tranquillamente verso il luogo dove si trovava la giovane, tenendo però bene stretto il caporale onde non si lasciasse cadere.

I cosacchi, appena lo videro comparire allo scoperto, balzarono fuori dai loro nascondigli mandando urla di rabbia, nondimeno nessuno osò puntare il moschetto, ben comprendendo che colla medesima palla avrebbero ucciso anche il caporale.

– Fermati!... Voltati, furfante!... – urlavano.

– Che il diavolo vi porti, – rispose Dimitri.

– Bada che facciamo fuoco!...

– Accomodatevi...

– Non sparate, per tutti i lupi del Don!... – gridò il caporale. – Volete uccidermi?...

– Non aver questo timore, mio vecchio lupo, – disse Dimitri.

– Fermati!...

– Sei pazzo!...

– Allora prendi!...

Il caporale, così dicendo, aveva afferrato pel collo Dimitri, stringendo con quanta forza aveva.

– Vecchio lupo!... Lascia andare!... – rantolò il polacco, scuotendolo vigorosamente.

– Muori, furfante!...

– Lascia... mi... Aiuto!...

– Abbassa la testa, Dimitri!... – gridò in quel momento Maria, che si era alzata dietro la barriera di ghiaccio.

Il polacco, facendo uno sforzo disperato, si chinò innanzi. Quasi subito si udì uno sparo seguito da un urlo.

La stretta si allentò bruscamente, poi il corpo del caporale s’abbandonò sulle spalle di Dimitri.

– Presto!... I cosacchi vengono!... – gridò Maria, che teneva in mano l’arma ancora fumante.

Dimitri balzò sopra la barriera e lasciò andare il cadavere, il quale rotolò pesantemente in mezzo alla neve.

– Grazie, padrona!... – disse, passandosi le mani attorno al collo di già coperto di lividure.

– Fuggiamo, Dimitri!... – rispose Maria. – I cosacchi si avvicinano!...

– Ed anch’io mi avvicino, – rispose una voce dietro di loro.

Si volsero e videro apparire, alla svolta del fiume, l’jemskik. Dietro di lui, solidamente trattenuti, venivano i tre cavalli.

– Siamo salvi! – esclamarono Dimitri e Maria.

– Presto, a cavallo, signora, – disse l’jemskik. – Vedo i cosacchi avvicinarsi di corsa.

Dimitri afferrò fra le robuste braccia Maria e la pose sul cavallo più vigoroso, dicendo:

– Badate di non cadere, padrona.

– Non temere, – rispose ella.

Dimitri e l’jemskik d’un colpo si trovarono in arcione.

– Di carriera!... – gridò il primo.

I tre cavalli, sentendo allentare le briglie, si slanciarono innanzi, galoppando furiosamente.

I cosacchi, vedendoli fuggire, scaricarono a casaccio le loro armi, senza alcun risultato, poiché ormai i cavalli avevano superata la curva del fiume.

– Correte pure ora. – disse Dimitri che galoppava a fianco di Maria, pronto a sostenerla. – Ora vi sfido.

– Credi che continueranno la caccia? – chiese la giovane.

– Oh!... Di questo non possiamo dubitare. I cosacchi sono più ostinati delle mule di Spagna, e poi vorranno vendicare i loro compagni.

– Vi è però una cosa che m’inquieta, Dimitri.

– Quale?

– Dove finiremo noi? Questo fiume in qualche luogo terminerà.

– Ebbene?...

– E noi resteremo imprigionati sotto queste vôlte.

– Uhm!... Chi c’impedirà di spezzare il ghiaccio e di aprire un varco?...

– E come faremo a far uscire i cavalli?

– Scaveremo una via. Colla pazienza si arriva a tutto.

Mentre chiacchieravano, i tre cavalli proseguivano la loro corsa vertiginosa, galoppando ora sul ghiaccio del fiume ed ora fra la neve delle rive. Pareva che avessero compreso che i loro padroni correvano un grave pericolo e che la loro salvezza dipendeva dalla velocità. Disgraziatamente quel corso d’acqua pareva che non dovesse continuare a lungo. La sua larghezza scemava a vista d’occhio e anche le vôlte di ghiaccio si abbassavano rapidamente.

Già l’jemskik, che era il più alto di tutti, era stato costretto a curvarsi.

Potevano aver percorse quattro verste, quando Dimitri scorse dinanzi a sé una massa enorme di ghiaccio, come una parete che tagliava nettamente il fiume. Rattenne violentemente il cavallo, mandando una sorda imprecazione.

– Cos’hai, Dimitri? – chiese Maria.

– La via è ostruita, – rispose il polacco, coi denti stretti.

– Da che cosa?...

– Da una cateratta. Non vedete laggiù quelle colonne di ghiaccio incrostate sulla parete?...

– Non si può scenderla?...

– Scenderla!... Bisognerebbe salirla, padrona.

– Cosa fare?

– Non lo so.

– Che i cosacchi siano tornati indietro?

– Ho i miei dubbi.

– Allora li avremo ancora addosso.

– Sì, se non troveremo il mezzo per uscire.

– Coi cavalli?...

– Diavolo!... Non voglio abbandonarli, e...

– Zitto!... – esclamò in quel momento l’jemskik, che da qualche istante pareva che ascoltasse qualche lontano rumore.

– Vengono forse? – chiese la giovane con ansietà.

– No... ma... odo delle voci umane.

– Da quale parte? – chiese Dimitri.

– Vengono dalla cascata.

– Mille demoni!... Che i compagni dei cosacchi si siano spinti fino qui per prenderci fra due fuochi?...

– È un po’ difficile ammetterlo, Dimitri, – disse Maria Federowna. – La vôlta di ghiaccio deve essere coperta da un alto strato di neve quasi uniforme. Come vuoi tu adunque che possano avere indovinata la direzione del corso d’acqua?...

– Quei bricconi sono così astuti!...

– Cosa decidi di fare?

– Non possiamo fermarci qui, dunque andiamo innanzi.

Stavano per allentare le briglie, quando dalla parete di ghiaccio della cascata, videro scendere una massa oscura che non si poteva ancora ben discernere in causa della semi-oscurità che regnava sotto le vôlte di ghiaccio.

– Un orso od un uomo? – si chiese Dimitri, armando precipitosamente il fucile.

– Mi sembra più un uomo che un animale, – disse l’jemskik.

– Ed a me non pare un cosacco, – aggiunse Maria.

– Uomo o bestia, teniamoci pronti, – disse Dimitri. – Presto, scendiamo e teniamoci dietro ai cavalli.

Quell’uomo, poiché non si trattava d’un animale, scendeva lungo la parete di ghiaccio con una certa precauzione. Doveva avere scavati dei gradini per eseguire quella manovra, poiché la cascata scendeva proprio a picco.

Toccato il fondo, si fermò mandando un acuto fischio. Subito un altro uomo, poi un altro ancora, quindi un quarto, si calarono, poi tutti uniti mossero verso i cavalieri con passo risoluto.

Erano quattro vigorosi individui, di alta statura, con spalle larghissime, muscolature potenti, e folte barbe ispide e lunghi capelli incolti. Erano tutti vestiti di pelle d’orso e di lupo, ed armati di fucili e di scuri. Il primo che era disceso, un vero gigante, peloso come una bestia e dai lineamenti duri, angolosi, s’avanzò fino a quindici passi dai cavalieri, poi, tenendo il fucile alzato, come si tenesse pronto a far fuoco, chiese in lingua russa:

– Cosa fate voi qui?... Chi siete e da dove venite?

– O m’inganno assai, o noi abbiamo da fare con dei forzati evasi, — disse Dimitri, curvandosi verso Maria.

Questa trasalì, poi impallidì.

– Orsù, rispondete, – disse quell’uomo, con un accento da non ammettere la replica.

– Noi siamo dei viaggiatori, – rispose Dimitri.

– Dove andate?

– A Irkutsk.

– Come vi trovate qui?...

– La vôlta di ghiaccio si è spezzata e siamo precipitati nel fiume.

– E quegli spari, cosa significavano? Noi abbiamo contate dodici detonazioni.

– Abbiamo fatto fuoco su un drappello di cosacchi.

– Di cosacchi!... – esclamò quell’uomo, turbandosi. – Dove sono i soldati dello czar?...

– Si avanzano lungo il fiume.

Il gigante pronunziò una bestemmia, poi, guardando con diffidenza Dimitri, Maria e l’jemskik, disse:

– Non sarete delle spie?...

– Olà!... Per chi ci prendete?...

– Chi è quella bella ragazza? – chiese il gigante, dardeggiando uno sguardo di fuoco su Maria Federowna.

– Una signora francese che noi accompagniamo a Irkutsk.

– E perché v’inseguivano i cosacchi?

– Perché si sono cacciati nel cervello il sospetto che noi siamo degli evasi dalle miniere.

– Sempre eguali, quei cialtroni, – mormorò il gigante.

Poi si avvicinò ai suoi uomini e scambiò con loro alcune parole.

Certamente quei banditi si consigliavano.

– Badate! – gridò Dimitri. – I cosacchi non devono essere lontani e noi non abbiamo alcuna intenzione di lasciarci prendere. Sgombrate il passo o noi vi daremo battaglia.

– Non c’è bisogno di darci battaglia, – disse il gigante. – Se volete, uniamo le nostre forze per respingere il nemico comune. Voi non volete lasciarvi prendere dai cosacchi, e tanto meno noi. Volete essere nostri alleati?...

– Pel momento, sia pure, – rispose Dimitri.

– Allora seguiteci.

– Passeranno i cavalli?... Noi non vogliamo abbandonarli.

– Vi sarà spazio sufficiente anche per loro. Orsù spicciatevi!...

– Siamo pronti a seguirvi.

– Una sola parola ancora.

– Parlate.

– Sono molti i cosacchi?

– Una diecina, ma soli quattro o cinque c’inseguono. Gli altri devono essere rimasti sopra.

– Ci daranno poco fastidio, – rispose il gigante, con un sorriso ironico.

Si mise alla testa del drappello e si diresse verso una estremità della parete di ghiaccio e precisamente là dove formava un angolo colla cascata.

In quel luogo s’apriva una larga spaccatura la quale metteva entro una spaziosa caverna di ghiaccio, dalle vôlte superbe e adorne d’un numero infinito di candele che parevano vere stalattiti.

Essendo lo spessore delle vôlte poco rimarchevole, una luce diafana e uniforme illuminava quello splendido rifugio, facendo scintillare vivamente tutti quei festoni di punte aguzze. Pareva che una lampada elettrica, un po’ velata, brillasse al di fuori.

In un angolo di quella caverna, Dimitri vide delle pellicce d’orso e di lupo che dovevano probabilmente servire da letto a quei forzati, poi una pentola di ferro, dei rami di pino, e sospeso ad una punta di ghiaccio un mezzo orsacchiotto ancora sanguinante.

Il gigante prese la più bella pelliccia e la stese dinanzi a Maria, dicendole con una certa cortesia:

– Accomodatevi, bella fanciulla, ed attendeteci. Noi intanto andremo a ostruire l’ingresso della caverna per impedire ai cosacchi di sorprenderci.

– Grazie, – rispose semplicemente la giovane.

Il gigante stette un momento a contemplarla, ammirando forse gli splendidi occhi e la corporatura superba di quella creatura, poi, impugnata una scure, si diresse verso la fenditura, dicendo ai suoi uomini ed a Dimitri:

– Seguitemi.

Colà si trovavano degli enormi massi di ghiaccio che parevano tagliati appositamente. Il gigante cominciò a rotolarne alcuni verso la spaccatura e ad ammonticchiarli. Tutti lo imitarono in silenzio, avendo ormai compresa l’idea del capo.

Bastarono dieci o dodici minuti per otturare completamente quello squarcio. Il freddo, che era intenso, non doveva tardare a cementare quei massi, trasformandoli in un blocco solo.

– Ora sfido i cosacchi a trovare l’entrata della caverna, – disse il gigante, quando il lavoro fu terminato.

Poi volgendosi verso Dimitri, chiese:

– Avete fame?...

– Sono sei ore che digiuniamo, – rispose il cosacco.

– Viaggiate senza viveri, voi?...

– Ne avevamo in abbondanza, ma siamo stati costretti ad abbandonare la slitta.

– Con molti rubli, probabilmente, – disse il gigante, mentre in lampo d’ardente cupidigia brillava nei suoi occhi.

– Bah!... Poca roba.

– Non siete ricchi, voi? Mi pare che quella fanciulla sia una persona molto distinta.

– Non vi siete ingannato.

– Ah!... – fece il gigante, guardando i suoi uomini.

Poi soggiunse bruscamente:

– Andiamo a far colazione. Ai cosacchi penseremo più tardi.

– Uhm!... – brontolò Dimitri, guardando sospettosamente quei banditi. – Temo che siamo caduti in mezzo ad una compagnia di furfanti di prima qualità. Bah!... Terremo gli occhi aperti.

I banditi, ad un cenno del loro capo, accesero il fuoco e fatto a pezzi il mezzo orsacchiotto, lo misero sui tizzoni.

Mentre preparavano la colazione, Dimitri e l’jemskik si occupavano dei cavalli. Le povere bestie erano sfinite da quelle continue corse ed anche affamate, essendo l’avena rimasta sulla slitta.

Bisognava assolutamente dare loro qualche cosa da porre sotto i denti, onde non diventassero poi così deboli da non poter più uscire da quella caverna.

Il capo dei forzati, che si era accostato agli animali ammirandone le forme, s’accorse dell’imbarazzo dei due uomini e s’avvicinò loro dicendo:

– Posso offrirvi del pane siberiano. I cavalli s’accontenteranno.

– Sono abituati a mangiarlo, – rispose Dimitri. – Grazie.

Il gigante sorrise in modo strano e andò a prendere un sacchetto contenente del pane quasi ammuffito, vuotandolo dinanzi agli animali.

– Belle bestie, – disse poi, rivolgendosi a Dimitri.

– Sono corridori insuperabili, – rispose il polacco.

– Che avrete pagati ben cari.

– Mille rubli ciascuno.

– Diavolo!... La vostra padrona deve essere molto ricca.

– Io non lo so.

– Con simili animali si potrebbe tornarsene in Russia in dieci o dodici giorni, – continuò il gigante.

– È probabile.

– A tavola!... – gridò in quel momento uno dei forzati.

Tornarono tutti verso il fuoco e si sedettero attorno all’arrosto. Il gigante offrì il pezzo migliore alla giovane, poi divise il resto cogli altri.

Oltre l’arrosto, i banditi avevano portato del pane siberiano, del formaggio salato e una bottiglia di acquavite, cose probabilmente rubate in qualche isba o prese colla forza a qualche povero contadino o cacciatore.

Avevano appena terminata la colazione, quando in direzione del crepaccio si udirono alcune voci.

– I cosacchi, – disse il gigante, alzandosi rapidamente. – Ora rideremo!...