Gli orrori della Siberia/Capitolo XXIII – La galleria di ghiaccio

Capitolo XXIII – La galleria di ghiaccio

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Capitolo XXIII – La galleria di ghiaccio
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Capitolo XXIII – La galleria di ghiaccio


I cosacchi, che giungevano a galoppo sfrenato, avevano appena avuto il tempo di frenare i loro destrieri, anzi il capo-fila per poco non era piombato in quel baratro che aveva inghiottito i fuggiaschi.

Il caporale, che comandava il piccolo plotone, era subito balzato a terra e si era avanzato verso il margine di quella fenditura, tenendo in mano il moschetto. Un tiratore scelto lo aveva seguito, pronto ad aiutarlo nel caso che i fuggiaschi avessero aperto il fuoco, supposto che fossero sfuggiti alla morte.

Quella spaccatura misurava dieci metri di larghezza, su una lunghezza di dodici o quindici. Probabilmente le acque del fiume assai alte durante i primi freddi, dopo essersi coperte d’uno strato di ghiaccio, a poco a poco erano scemate, lasciando un vuoto.

La crosta, rimasta sospesa, aveva ceduto sotto il peso della slitta e dei cavalli, e s’era bruscamente spezzata, inghiottendo i poveri fuggiaschi.

Si trattava ora di sapere se quei disgraziati si erano uccisi in quel capitombolo, o se erano rimasti illesi, cosa non improbabile, essendovi al di sotto della neve accumulatasi durante i primi freddi.

Il caporale ed il suo compagno si curvarono su quella specie di pozzo e guardarono giù.

La slitta si trovava presso la riva del torrente, rovesciata su di un fianco.

Le casse e le pellicce erano sparse all’intorno, essendosi spezzate le funi e le cinghie che le trattenevano, ma né i cavalli né le persone si scorgevano.

Si vedevano bensì orme umane sulla neve e anche orme di zoccoli, ma niente di più.

I due cosacchi, al colmo dello stupore, si guardarono in viso l’un l’altro.

– Che giuoco è questo? – chiese il caporale, che cominciava a perdere la sua flemma.

– Che siamo stati corbellati? – disse il soldato.

– È impossibile, Olao. Io credo invece che siano caduti nel fiume e che si siano annegati.

– L’acqua veramente pare assai profonda, caporale. Però vorrei vederci chiaro in questa sparizione.

– E credi tu, Olao, che io abbia intenzione di andarmene senza vedere almeno qualche cadavere? Mai più, mio caro. Noi scenderemo in questa spaccatura ed esploreremo il fiume.

– Caporale!...

– Olao!...

– Ho osservato una cosa.

– E quale?...

– Che fra gli oggetti sparsi al suolo non vedo nemmeno un fucile.

– Mentre quella donna e quei due uomini erano armati. È vero?

– Sì, caporale.

– E vuoi concludere che se i fucili mancano devono essere ancora nelle mani dei fuggiaschi.

– Precisamente, caporale.

– Sei furbo, giovanotto, ma anch’io non sono uno sciocco. Sì, quei furfanti non devono essersi annegati, ora ne sono convinto, – disse il caporale, schioccando le dita.

– La cosa si spiega. Essi hanno staccati subito i cavalli e li hanno fatti fuggire lungo le rive del fiume, poi si sono nascosti.

– Guarda, Olao: l’arcata di ghiaccio si prolunga da una parte e anche dall’altra e lascia sotto di sé tanto posto da permettere il passaggio anche ad un uomo a cavallo. Ah!... Piccini miei, non la si fa al caporale Askoff!... Olà, presto, una buona corda!...

I cosacchi, che erano già scesi da cavallo, s’affrettarono ad obbedire.

Unirono quattro briglie, annodandole solidamente e le diedero ad Olao.

– Chi vuole scendere pel primo? – chiese il caporale. – Pago un bicchiere di vodka alla prima tappa.

La ricompensa veramente non era molto generosa, ma per quei poveri diavoli sembrava splendida, tale anzi da arrischiare la pelle.

Olao, che ci teneva all’acquavite, forse più di tutti, s’affrettò a rispondere:

– Io, caporale!...

– Bravo giovanotto, – disse il comandante. – Tu farai molta strada col tuo coraggio; te lo dice Askoff.

La correggia fu calata nell’abisso e trattenuta, all’estremità superiore, da quattro uomini.

Olao si mise fra i denti la cordicella del suo revolver poi si aggrappò risolutamente alla correggia, agitando le gambe nel vuoto.

– Sii prudente, – gli disse il caporale.

– Non temete.

– E se li vedi, brucia pure le tue cartucce.

– Non farò economia.

Strinse la correggia e cominciò a discendere, appoggiando i piedi alla parete di ghiaccio che scendeva quasi a picco.

Il caporale, col moschetto armato, pronto a fuoco, lo seguiva cogli sguardi, non senza una viva ansietà, temendo di vederlo, da un momento all’altro capitombolare nel vuoto con una palla nel cranio o nel petto.

Olao era sceso tre o quattro metri, quando ad un tratto fu veduto arrestarsi, poi una imprecazione gli sfuggì dalle labbra.

A quaranta passi, nascosto sotto la vôlta di ghiaccio che si prolungava sopra il fiume, aveva scorto un uomo, il quale lo prendeva di mira col fucile.

Quell’avversario che si preparava a fucilarlo, come se fosse un capo di selvaggina, era Dimitri.

– Bada!... – gli gridò il polacco.

Poi una detonazione rimbombò, propagandosi rumorosamente sotto le vôlte di ghiaccio.

Il cosacco mandò un urlo feroce, ma non abbandonò fortunatamente la correggia.

I suoi compagni, vedendolo aggrapparsi disperatamente alla corda e puntare i piedi nei crepacci della parete di ghiaccio, s’affrettarono a issarlo.

Era appena giunto sopra che le forze lo abbandonarono. Si portò una mano al petto dove si vedeva allargarsi rapidamente una macchia di sangue e cadde pesantemente fra le braccia del caporale, borbottando con un filo di voce:

– Sono... là... in... agguato!...

Poi chiuse gli occhi e s’irrigidì. La palla del polacco gli aveva attraversato un polmone, uscendo dietro il dorso. La detonazione era appena echeggiata, quando da un crepaccio del ghiaccio uscirono l’jemskik e Maria Federowna.

Entrambi erano armati di fucile e pareva che nulla avessero sofferto in quell’improvviso capitombolo.

Infatti quella caduta, che poteva costare la vita a tutti e tre, era stata senza conseguenze.

Lanciati innanzi per la violenza della corsa, erano andati a cadere in mezzo alla neve, la quale aveva ammorzato il colpo.

I cavalli invece, più pesanti, erano caduti presso la riva del fiume, quasi a piombo ed era stata una vera fortuna, poiché diversamente avrebbero schiacciato i loro padroni ed il cocchiere.

Dimitri non aveva perduta la bussola e temendo che i cosacchi giungessero da un istante all’altro sul margine della fenditura ed aprissero senz’altro il fuoco, aveva subito pensato a porre in salvo Maria Federowna.

Afferrata fra le robuste braccia la giovane padrona, l’aveva portata sotto la vôlta di ghiaccio, riparandola entro un crepaccio della parete, poi aveva liberati i cavalli che si dibattevano fra le corregge della slitta, facendoli fuggire lungo le rive del fiume. Non voleva perdere quei preziosi trottatori dai quali sperava di ricavare ancora dei buoni servigi, tanto più che nella caduta non s’erano fatti gran male essendo precipitati nella neve, assai alta in quel luogo.

L’jemskik, che se l’era cavata con poche contusioni di nessuna entità, appena rimesso in gambe si era affrettato a raccogliere le armi ed a raggiungere i padroni.

Tutti avevano agito così rapidamente che, quando i cosacchi erano giunti sul margine della spaccatura, non avevano potuto trovare che la slitta, troppo pesante per venire trascinata via.

Dimitri, dopo essersi accertato che anche Maria non aveva riportate ferite, si era subito messo in agguato ed abbiamo veduto come aveva conciato quel povero Olao.

– Colpito? – aveva chiesto Maria avvicinandosi al polacco col fucile in mano.

– Quel furfante non scenderà più di certo, – aveva risposto Dimitri, con voce tranquilla. – Doveva starsene coi suoi compagni.

– Dovevi accontentarti di ferirlo, Dimitri. Mi rincresce vederti uccidere degli uomini.

– E credete che quei furfanti ci avrebbero risparmiati, se ci avessero scorti ancora distesi fra la neve? Voi non conoscete i cosacchi, padrona.

– Ora vorranno vendicare il loro compagno.

– Certamente.

– E sono dodici.

– Undici, – corresse Dimitri. – Uno ormai, se non è morto, deve essere fuori di combattimento per non poco tempo.

– Sono egualmente troppi.

– Non li aspetteremo, padrona. La vôlta di ghiaccio si estende forse su tutto il corso del fiume. Fuggiamo dunque.

– E la slitta? – chiese l’jemskik.

– Penseremo più tardi a ricuperarla.

– Seguiamo i cavalli, – disse Maria. – Non dobbiamo abbandonarli.

– Sarebbe la nostra perdita, – rispose Dimitri. – Sono tre insuperabili trottatori, che daranno molto da fare ai ronzini dei cosacchi.

– Se i nemici ci daranno la caccia anche sotto questa vôlta diventeremo cavalieri.

– Orsù, padrona: in ritirata!...

– Un momento, – disse l’jemskik.

– Cosa vuoi?... – chiese Dimitri.

– I viveri sono rimasti attorno alla slitta.

– Se vuoi farti fucilare va a prenderli. Non vedi che i cosacchi si sono schierati presso l’orlo della spaccatura? Penseremo poi a procurarci qualche cosa. La selvaggina non è rara in Siberia.

– Andiamo, – disse la giovane donna.

Vedendo scendere altre due corregge, il polacco, Maria e l’jemskik partirono di corsa, seguendo la riva destra del fiume.

La vôlta di ghiaccio si prolungava indefinitamente, formando una superba galleria. Le acque del fiume avevano rôse le nevi, poi, abbassandosi, avevano lasciato un vuoto considerevole.

Il freddo intenso, trasformando le nevi in ghiaccio, aveva solidificate le vôlte, impedendo agli strati superiori di sfondarle.

In alcuni punti però si erano abbassate, ma restava sempre uno spazio sufficiente da permettere ai fuggiaschi d’inoltrarsi.

I tre trottatori non si vedevano più, però le loro orme erano impresse sulla neve. Spaventati dallo sparo che s’era ripercosso sotto le vôlte come un colpo di cannone, avevano continuata la loro corsa. Ad ogni modo non potevano fuggire e presto o tardi dovevano venire raggiunti. Procedendo rapidamente, Maria ed i suoi compagni, giunsero, dopo un dieci minuti, dinanzi ad una caverna di ghiaccio che s’apriva sulla riva destra del fiume.

L’entrata era stretta, però si vedeva più oltre allargarsi smisuratamente.

Maria s’era arrestata dicendo:

– Ecco un rifugio che potrebbe servire.

– Per farci assediare? – chiese Dimitri. – Pensate padrona che non abbiamo nemmeno un biscotto da porre sotto i denti.

– E poi non possiamo abbandonare i cavalli, – disse l’jemskik. – Se cadono nelle mani dei cosacchi, come faremo noi a recarci a Irkutsk?

– Riprendiamo la corsa? – chiese Maria.

– Vediamo prima se i cosacchi ci inseguono, – disse Dimitri. – Non si ode alcun rumore finora.

Descrivendo in quel luogo, il fiume, una curva assai accentuata che impediva di vedere ciò che succedeva in direzione del crepaccio, Dimitri tornò indietro e, giunto presso l’angolo, scorse quattro o cinque persone che s’avanzavano lungo la riva opposta, strisciando dietro i cumuli di neve.

– I cosacchi! – esclamò. – Quei furfanti son peggiori delle mignatte; spero però di farli correre assai.

Tornò rapidamente presso Maria, dicendole:

– È necessario ripartire e di corsa.

– Vengono adunque? – chiese la giovane, con voce tranquilla.

– Ci sono poco lontani, padrona.

– Cosa facciamo?

– Cerchiamo di raggiungere i cavalli, poi via di carriera.

– E fin dove?

– Lo si vedrà poi. Suvvia, di corsa.

Essendovi sulla riva opposta dei grandi cumuli di neve, che potevano servire di riparo contro le palle degli inseguitori, attraversarono il fiume, la cui crosta di ghiaccio era solidissima, indi ripartirono correndo.

Avevano percorsi cinque o seicento metri, quando scorsero i tre cavalli.

Essi eransi arrestati dinanzi ad una barriera di neve che si estendeva da una sponda all’altra del fiume.

– Ecco una fortuna che non credevo tanto vicina, – disse Dimitri.

– Si lasceranno prendere? – chiese Maria.

– Non dubitate, signora, – disse l’jemskik. – Non sono animali diffidenti.

Si mise una mano dinanzi alla bocca e mandò un fischio stridente.

I tre animali alzarono le teste e scorgendo l’jemskik si misero a caracollare, dirigendosi verso di lui.

– Avanti, mie colombelle! – disse il cocchiere.

I cavalli non distavano ormai che pochi passi, quando uno sparo rintronò sotto le vôlte di ghiaccio con un fracasso assordante.

I tre cavalli, spaventati da quella detonazione assordante, si volsero di colpo, fuggendo a precipizio verso la barriera di neve. Con un gran salto la varcarono e proseguirono la loro corsa sfrenata lungo il fiume.

– Maledizione!... – aveva gridato Dimitri, voltandosi bruscamente, col fucile in mano.

Un cosacco era comparso dietro ad un cumulo di neve. Il suo moschetto fumava ancora. Il polacco, furioso, stava per far fuoco, quando Maria gli trattenne violentemente il braccio, dicendogli:

– Fuggi!... Presto, tutti dietro la barriera di neve!...

Dietro ad altri cumuli aveva scorti altri villosi berrettoni ed altri moschetti.

Una scarica generale stava per partire. Maria Federowna, Dimitri e l’jemskik girarono lestamente sui talloni e andarono a nascondersi dietro alla barriera, la quale, essendo in parte formata da enormi blocchi di ghiaccio, poteva servire loro da bastione.

Avevano appena varcata la barriera che un secondo colpo di fucile rimbombava. La palla, ben diretta, forò il cappellaccio di pelle di lupo del cocchiere, levandoglielo dalla testa.

– Due centimetri più sotto ed il mio cranio scoppiava come una zucca, – disse l’jemskik.

– Mi pare che non abbiano alcuna intenzione di risparmiarci, – disse Dimitri a Maria Federowna. – Bisognerà dare battaglia in piena regola.

– Riusciremo a tener testa a tutti?

– Non intendo farvi fermar qui, padrona.

– Che cosa vuoi fare adunque?...

– Resisterete fino al ritorno dell’jemskik.

– Dove vuoi mandarlo?

– A cercare i cavalli. La nostra salvezza sta nelle loro gambe. Ehi, Fedor!...

– Che cosa vuoi?

– Parti subito.

– E devo lasciarvi soli?

– Dietro questo bastione noi potremo tenere lontani i cosacchi. Spicciati, poiché vedo quei birboni tornare a mostrarsi.

– Addio, signora. Cercherò di far presto.

Il cocchiere era appena scomparso dietro un gomito del fiume, quando si vide apparire, dietro ad un masso di ghiaccio, ad un piccolo hummok, il caporale dei cosacchi.

Esaminò per alcuni istanti il bastione che difendeva i fuggiaschi, poi gridò:

– In nome dello czar nostro padre, v’intimo di arrendervi.

– Vattene all’inferno, – gli rispose Dimitri.

– M’avete udito?...

– Perfettamente, caporale.

– E che cosa rispondete? ...

– Che se non ti affretti ad andartene, ti mando a tener compagnia al tuo soldato.

– Siamo in undici.

– E noi in venti.

– Tu menti, furfante.

– Prova ad avvicinarti, cagnaccio dello czar.

– Per tutti i diavoli dell’inferno!... – urlò il cosacco. – Chi sei tu per parlare in tal modo?

– Un uomo libero.

– Che io manderò a lavorare nelle miniere.

– Sì, ma bisogna prima prendermi, – disse Dimitri, con ironia.

– L’hai finita? – vociò il cosacco.

– Io sì, ma il mio fucile continuerà la conversazione.

Il polacco, con un’agilità che non si sarebbe mai supposto in un uomo della sua età, era balzato rapidamente sopra la barriera di neve ed aveva puntato lestamente il fucile.

Uno sparo rintronò sotto le vôlte di ghiaccio, ed il caporale, che si teneva ritto sul masso di ghiaccio, cadde innanzi a capofitto, mandando un urlo di dolore.

Punito l’insolente, il polacco era subito balzato a terra, mentre una scarica partiva di dietro ad alcuni ammassi di neve che si vedevano a circa cento passi dal caporale.

– Troppo tardi, miei cari lupi, – disse. – Bisogna mandarvi al bersaglio per qualche mese.

Intanto il povero caporale si rotolava fra la neve, urlando come se lo scotennassero. La palla del polacco gli aveva fracassata una coscia, sicché si vedeva alla mercè del suo nemico, non potendo raggiungere i suoi compagni e nemmeno difendersi, avendo lasciato cadere il moschetto dall’altra parte dell’hummok.

Se Dimitri avesse voluto finirlo con un secondo colpo, non si sarebbe trovato imbarazzato, ma non era la morte di quel povero diavolo che voleva, poiché, invece di puntare nuovamente il fucile, s’avvicinò a Maria, dicendole:

– Potete tenere indietro gli altri cinque o sei cosacchi che sono nascosti laggiù?...

– Se si mostrano aprirò contro di loro un vero fuoco di fila, – rispose la giovane.

– Benissimo!... Mi bastano due minuti.

– Cosa vuoi fare Dimitri?

– Ora lo saprete. Tenete lontani quei cagnacci e lasciate ch’io compia il mio progetto. Per Bacco!... Se vorranno riprenderselo, avranno da fare con noi.

– Di chi parli, Dimitri?

– Silenzio, padrona; lasciatemi agire.