Gli invisibili/Fantasmi tangibili

Fantasmi tangibili

../Della terza categoria ../Al di là IncludiIntestazione 12 settembre 2008 75% saggi

Della terza categoria Al di là


Il terzo fenomeno, come chiaramente dimostrerò, non può avere spiegazioni di sorta, se non si accetta l’ipotesi spiritica. Parlo dell’intervento reale, tangibile e visibile, di entità che dicono essere spiriti di persone defunte, e che si presentano con forme e forze fisiche del tutto simili a quelle di esseri viventi e parlano anche, col timbro di voce loro, e lasciano tracce materiali della comparsa temporanea.

Non occorre ripetere le ragioni ben logiche e nitide davanti a cui non regge il preconcetto della frode, né quello dell’allucinazione. I fenomeni che abbiamo presenziato si sono svolti in condizioni tali da escludere affatto l’uno e l’altro sospetto. Ma vi è ancora un altro argomento fortissimo.

Quello che dal nostro gruppo fu inteso, visto e toccato con mano, corrisponde esattamente a quel che hanno inteso, visto e toccato centinaia d’altri gruppi, composti di persone sane, fredde, dotate di penetrazioni scientifiche, in cento sale diverse, in cento diverse regioni, e sotto mille diverse predisposizioni d’animo. Come è lecito supporre che allucinazioni compagne si ripetano, per lungo ordine d’anni, in forme identiche, a Napoli e a Genova, a Roma e a Milano, a Londra e a Berlino, a Parigi e a Pietroburgo, a Madrid e a Boston?

Sono quindi in una logica perfetta, quando penso e dico:

- Se il Wallace, se l’Aksakoff, se il professor Brofferio, se il dottor Visani Scozzi, in vario tempo, in condizioni diverse, in località disparate, come apprendo dalle minuziose relazioni loro, hanno visto e verificato fenomeni identici ai miei, sono esatte le percezioni loro e le mie.

E a questo punto, non posso far di meglio che ripetere il lucido ragionamento del professore Angelo Brofferio:

- Escludo l’impostura, anche per l’apparizione dei fantasmi. Non l’escludo solo perché ho visto io; giacché, se credessi aver assistito io solo a una materializzazione, andrei subito a consegnarmi al manicomio. E non l’escludo solo perché han visto gli altri; giacché, finché non ho visto, sono sempre stato inclinato a credere che fossero stati corbellati. Ma se hanno visto anche gli altri, vuol dire che io non sono matto: e se ho visto anch’io, vuol dire che gli altri non sono stati corbellati. Il lettore, se non ha assistito a materializzazioni, ha perfettamente il diritto di fare con me come io facevo con gli altri, e di sospettare che sia stato corbellato anch’io per il primo, o piuttosto per l’ultimo. Ma, se ha giudizio, sperimenterà anche lui. Né fantocci dell’Holden, né compari dell’Hermann possono imitare esseri che sono vivi come noi, ma non fatti come noi, di una sostanza che può avere la robustezza della nostra mano, eppure evanescente, sino a non produrre che una sensazione cutanea come quella d’una tela di ragno o d’una densa nebbia; sensazione però che vi fa dir subito: Qui c’è qualcuno!

Noi tutti dunque del gruppo, nella penombra, e in piena luce, prendendo le precauzioni necessarie per escludere l’allucinazione suggestiva, abbiamo visto e toccato qualcuno, che non era la medium, visibile e tenuta ferma con le nostre mani: e questo qualcuno si mostrava, si muoveva e agiva, stando in piedi, distante quasi due metri dalla medium seduta.

Più ancora: questo qualcuno ha compiuto degli atti fisici, come sarebbe cavare delle carte da un portafogli, togliere una spilla da una cravatta, le cui conseguenze sono rimaste ben visibili, lungo tempo, dopo la sua scomparsa: poiché le carte erano nelle nostre mani, e la spilla, non più infilata nella cravatta, ma sopra la tavola...

Su tal proposito, una parentesi. Certi spiriti forti vanno mettendo in circolazione questa ben debole diceria:

- Non vedete come già sono predisposti all’allucinazione? Portano apposta con sé oggetti appartenenti ai pretesi spiriti, per suggestionarsi di più.

Non è vero. Chi ha letto le relazioni delle sedute, avrà potuto notare che tali ricordi furono sempre portati nella seduta successiva all’apparizione, quindi non già a scopo suggestivo, ma a quello contrario di controllo e d’indagine d’identità. Fu solamente nella quarta seduta ch’io mutai la spilla nella cravatta. Ugual procedimento tennero i miei compagni.

E ora, tranquillamente, esaminiamo l’essenza del fenomeno di fronte alle ipotesi scientifiche.

Fino a che mi sono trovato davanti a medium i quali, coi colpi alfabetici di un tavolino, oppure con l’azione automatica d’una matita sopra un foglio di carta, o con la voce loro, sia pure alterata, mi trasmettevano, per tali vie, comunicazioni spiritiche, io rimasi dubbioso, perplesso, negativo, appunto perché avevo studiato ampiamente i fenomeni della suggestione ipnotica.

Anche se i presunti spiriti mi dicevano cose assai singolari, ignote ai presenti, anche se parlavano una lingua sconosciuta al medium, anche se offrivano prove straordinarie d’identità, non diminuiva la mia diffidenza, solamente scossa da fenomeni inferiori d’ordine puramente meccanico, come sarebbe vedere una massiccia tavola da pranzo, per otto persone, appena tocca dalle dita, sollevarsi, girare, ondeggiare lieve, come una piuma, come un tappo di sughero, galleggiante su l’acqua. Oggi, invece, tal sorta di spettacoli, che fanno esclamare ah! oh! eh! a ignoranti dotti e ignoranti asini, non provoca in me neppure un senso di curiosità.

Ben altra è la profondità degli studi medianici.

L’ingresso meraviglioso di tali studi è costituito dal fenomeno che s’è sviluppato con la presenza della Palladino e che va precisato così.

- Noi siamo sette individui chiusi in un ambiente dove di certo, né prima, né dopo, nessuno può essere penetrato. Viene un momento in cui, senza dubbio, è presente un ottavo individuo. Segue un altro momento, in cui sono presenti e operanti un nono, un decimo, un undecimo individuo.

La scienza degli scettici a ogni costo, non potendo più sostenere la facile ipotesi della allucinazione, appunto perché tali nuovi individui hanno cura di lasciare prove materiali della propria comparsa, ricorre alla suggestione dei presenti.

Accettiamo pure tal suggestione e procediamo con essa.

Il mio cervello dunque suggerisce al cervello di Eusapia lo spirito di Naldino? Benissimo.

Il cervello d’Eusapia accoglie tale suggestione e mediante un processo ideoplastico, del quale nessuno sa darmi conto né ragione, esce da quel cervello, come Minerva armata da quello di Giove, non già una parola, una frase, ma un individuo solido, completamente formato, autonomo, che vive improvvisamente da sé, lontano un metro e mezzo dalla medium, che mi alza dalla sedia, mi carezza, mi abbraccia, mi dà le sue mani a stringere, mi offre il contatto del suo busto, del suo viso, e finalmente, col suo dialetto, col proprio accento speciale, mi parla, e mi parla così forte da essere inteso, oltreché da me, anche dai vicini miei. Poi, rientra nel cervello d’Eusapia e felicissima notte.

Ammessa tale teoria che, diciamolo francamente, è assai più trascendentale e miracolosa della semplice ipotesi spiritica, vuol dire che sarebbe possibilissimo, e naturalissimo, il seguente esperimento.

Io mi siedo presso l’Eusapia e penso fortemente a un elefante. Il cervello compiacente della medium alloggia subito quest’idea dell’elefante e la sviluppa in realtà obiettiva, col suo processo ideoplastico. In mezzo alla sala, o presso la tenda, o in essa ravvolto, come vi piace meglio, noi vediamo sorgere il pachiderma, nelle sue proporzioni sesquipedali: il testone mostruoso, con le zanne avorine, si proietta in mezzo a noi: la sua fumida proboscide ci carezza, ci fa degli scherzi, ci piglia i soldi dai taschini della sottoveste e gioca magari a tastarmi sopra la tavola.

Ma non basta. Un compagno pensa fortemente a una giraffa, e il cervello creatore onnipotente dell’Eusapia partorisce tosto una giraffa che si rompe la testa nel soffitto: non senza pregiudizio d’un coccodrillo che, pensato da un terzo, e riflesso tosto e procreato dalla medio, viene a serpeggiare poco piacevolmente intorno alle nostre gambe.

Ma che cosa è dunque mai il cervello della medium?

Sarebbe mai una vera arca di Noè?

E non vedete che, per paura del soprannaturale, o vogliam dire del sovrumano, voi regalate a una povera creatura attributi assai più sorprendenti e poteri addirittura divini?

Francamente, preferisco coloro i quali, come me un tempo, crollano la testa cocciuta, ripetendo:

- Non credo un’acca: e non crederei neanche se vedessi.

Almeno, essi sono in buona fede, come in buona fede era, nel 1792, l’insigne presidente dell’ Accademia delle scienze di Parigi, il quale, mentre già il piroscafo Jouffroy navigava trionfalmente lungo le acque della Saône, scriveva:

- In verità, quest’idea di maritare l’acqua col fuoco, è una delle più burlesche idee di questo secolo.

La serena coscienza mi dice che non passeranno molti anni, e gli accademici i quali oggi credono, bontà loro, nei piroscafi, crederanno pure nella realtà dei fenomeni medianici. E ne ho già una prova in quanto scrive uno dei più acuti cervelli del giornalismo, Eugenio Checchi, il quale, preludiando, sul Giornale d’Italia, a narrazione di fenomeni ben sinceri, così si esprime:

- Ne parlavo qualche anno fa con Cesare Lombroso. M’era accaduto di assistere a esperimenti per me inesplicabili, e con una esposizione, credo abbastanza lucida, riassumevo le cose vedute. A traverso gli occhiali d’oro, l’illustre scienziato fissava nei miei i suoi occhi piccoli e penetranti: e a un tratto m’interruppe così:

- E un vero peccato! non l’avrei creduto mai!

- Che cosa, professore?

- Che lei stia per diventare matto! - E mi lasciò bruscamente.

- Non provai - prosegue il Checchi - alcun turbamento: e in un accesso di orgoglio immodesto, mi consolai nel pensiero, che a prestar fede alle celebri dottrine del Lombroso, io mi sarei trovato, come matto, in compagnia di tanti uomini illustri magnificati nei secoli. Passarono gli anni: e, grazie a Dio, non ci fu bisogno che mi si schiudessero le porte della Lungara, o di qualche altro manicomio. Accadde invece quest’altra cosa: che Cesare Lombroso, e l’insigne astronomo Schiaparelli dell’Osservatorio di Brera e il Brofferio, e altri valorosi scienziati italiani e stranieri chiamarono nei loro laboratorii la donna che tanto faceva parlare di sé: quell’Eusapia Palladino che ha corso oramai per quasi tutte le capitali di Europa. Dopo una serie di esperimenti, dai quali ogni ombra di soverchieria e di frode era esclusa per le scrupolose precauzioni dei convenuti, dopo prove e controprove, dopo reiterate ripetizioni dei medesimi esperimenti, il Lombroso, lo Schiaparelli e i loro colleghi convennero trattarsi di fenomeni, inesplicabili sì, ma veramente meravigliosi: e conclusero che chi si ostinasse a metterne in dubbio la sincerità o la possibilità, meriterebbe d’esser qualificato per matto. E io provai, nel mio intimo, la soddisfazione d’una bella rivincita. Il matto non ero io.