Gli invisibili/Da Voltaire a Mazzini
Questo testo è completo. |
◄ | I due casi dell'Abate Vaggioli | Postfazione | ► |
Dopo aver sì a lungo parlato di sperimenti, di scienziati, quasi mantenendoci nei limiti angusti del positivismo, sarà pure permesso in ultimo spalancare le porte agli eroi del pensiero umano, i quali, senza essere né chimici, né fisici, né antropologi, né psicologi patentati, hanno pur ben diritto, mi pare, d’essere almeno pareggiati a un qualunque professore d’università.
Facile mi sarebbe, senza il concorso di nessuna Palladino, evocare una schiera infinita di sublimi ingegni, i quali hanno fermamente creduto nell’esistenza degli invisibili e nella possibilità loro di comunicar coi viventi: ma non risalirò a epoche involute di misticismo acuto, né a quelle irraggiate dall’umanesimo rinascente: non disturberò né Dante, né Marsilio Ficino, né Guglielmo Shakespeare.
Evocherò solamente quattro nomi assai vicini a noi: quattro nomi che presentano un miscuglio ben bizzarro di atteggiamenti, di funzioni mentali, d’idealità.
Chiamerò cioè a deporre in giudizio i signori Arouet di Voltaire e Giuseppe Mazzini, Victorien Sardou e Victor Hugo.
Non c’è libero pensatore (titolo che conferisce spesso la libertà di non pensare a nulla) non c’è ateo prosuntuosetto che non s’inchini profondamente a Voltaire, come a maestro, ignorando certo che il signor di Voltaire era... un credente.
Il libero pensatore s’è limitato a leggicchiare qualche libello volterriano contro le pratiche superstiziose, contro le crudeli intolleranze ortodosse, contro mercimoni abbietti o simonie scandalose, ma ignora i pensieri profondi sgorgati dalla mente di Voltaire, intorno ai grandi misteri dell’inconoscibile.
L’ateo, fervente e cieco ammiratore di Voltaire, sarà ben sorpreso a sua volta nell’apprendere che il suo idolo, nel Mélange de philosophie, ha scritto queste brevi, ma eloquenti parole:
- Coeli enarrant gloriam Dei. Io sarò sempre convinto che un orologio prova l’esistenza d’un orologiaio e che l’universo prova l’esistenza di Dio.
E nei Mélanges de littérature ha rincalzato l’argomento:
- I fisici sono diventati gli araldi della Provvidenza: un catechista annuncia Dio a dei fanciulli e un Newton lo dimostra agli uomini saggi.
E appunto nei suoi Elementi di filosofia newtoniana, ritorna sul tema, con argomenti mirabili di logica.
- Voi giudicate che io possiedo un’anima intelligente, perché constatate un ordine regolare nelle mie parole e nelle mie azioni: giudicate dunque, nell’osservare l’ordine dell’universo, che c’è uno Spirito di sovrana intelligenza.
Cari atei, carissimi liberi pensatori a scartamento ridotto, vediamo infine che cosa pensi il vostro venerato maestro intorno alla vita spirituale. Nel frammento De l’âme, egli ha scritto precisamente così:
- Viviamo in pace: adoriamo il nostro Padre comune: voi con le vostre anime ardite e sapienti: noi con le anime nostre ignoranti e timide. Noi abbiamo soltanto un giorno da vivere, trascorriamolo dolcemente, senza leticare sopra difficoltà, che saranno schiarite nella vita immortale, che comincerà domani!
E ora che il grande filosofo razionalista s’è pronunciato, passiamo a un parallelo curioso, ma significante, tra un vivente e un morto, tra Victor Hugo e Sardou.
Ho voluto apposta mettere di fianco questi due nomi, perché rappresentano un vigoroso contrapposto. Uno è un poeta, l’altro un prosatore: uno con volo d’aquila, quale non si vide mai più poderoso, si slancia nelle sfere più inaccessibili e sfida tutti gli abissi del mistero: l’altro invece, arguto e semplice, malizioso e geniale, rimane sempre terra terra, analizzatore fecondo di tutte le vanità, di tutte le brillanti e piccole miserie sociali: uno fa parlare terribilmente i Quattro venti dello Spirito; l’altro fa chiacchierare I nostri buoni villici.
Orbene: tanto la mente più vasta e profonda che abbia illuminato il decimonono secolo, sprigionando turbini d’idee, quanto il cervello acuto e tranquillo del commediografo abilissimo, che ha commosso e ha fatto ridere tutte le platee del mondo, credettero pienamente nei fenomeni medianici, e si professarono spiritisti convinti.
Due allucinati, dunque?
Allucinato un sommo poeta che ha riscaldato de’ suoi pensieri michelangioleschi tutti i popoli civili, tutte le classi sociali; dagli umili, i quali han palpitato su Esmeralda, sui Miserabili, ai pensatori che hanno provato fremiti indescrivibili, imparando a mente le Orientali e la Leggenda dei secoli...
Oh, quanto è bello, a ogni modo, essere allucinati e chiamarsi Victor Hugo!
Capisco, però, quel che pensa il mio buon Scipione, incorreggibile:
- Che cos’è poi un grande poeta, se non un gran fanciullo?
E sia: ma Victorien Sardou, il più furbo tra i manipolatori di drammi e commedie, non è, ne vorrete convenire, né potrebbe essere un fanciullone.
Orbene: che cosa scrive egli, nel novembre dell’anno scorso, a Jules Bois? Sentite:
Caro collega!
- Fui dei primi a studiare lo spiritismo, e sono trascorsi ben cinquant’anni, per passare dall’incredulità alla sorpresa e dalla sorpresa alla convinzione. I fenomeni materiali, osservati nelle condizioni di esame più rigorose, e attestate dai dotti, non si possono più contestare. Impossibile di negare l’intervento di un’intelligenza estranea a quella degli sperimentatori, intelligenza che non è né la proiezione, né la risultante dei loro pensieri; è impossibile negare, in certi fenomeni, l’azione di esseri occulti, de’ quali è difficile precisare la vera natura.
Ma come ammettere, senza coprirsi di ridicolo, che tali esseri non siano chimerici e che la nostra bella umanità non rappresenti l’ultima parola della creazione? Per evitare le satire della scienza ufficiale, e i sarcasmi delle persone di spirito, che sono spesso tanto imbecilli, si fanno sforzi inauditi con ipotesi pseudo scientifiche, che divertono assai colui che sa quel ch’io so, che ha visto quel che ho veduto, che ha fatto quel che ho fatto io.
Mi domandate se credo alle materializzazioni? Ma certo, perché ne ho ottenuto io, quand’ero medium, e aspetto ancora che mi si spieghi per quale forza psichica - o per quale frode curiosissima di cui sarei, a un tempo, l’autore, il testimone e la vittima - la mano d’un invisibile ha potuto dal soffitto, sotto i miei occhi lanciare sopra la mia scrivania un mazzo di rose bianche, che ho conservato mesi ed anni, finché non lo vidi ridursi in polvere.
Infine, la testimonianza di Giuseppe Mazzini è più che mai significante, poiché l’uomo eccelso il quale, con la forza del pensiero pratico e magico nel tempo stesso, ha tratto, da una terra di morti, una nazione giovane e viva di trenta milioni di esseri, scriveva in un’epoca nella quale nessuno ancora parlava di fenomeni spiritici.
Vero è che i due bellissimi volumi di Cesare Baudi di Vesme, tutti materiati di citazioni storiche, vi dimostrano che i fenomeni medianici, male adoperati o peggio interpretati, risalgono fino alla più remota antichità; ma è pure certo che l’attenzione del pubblico, e l’esame scientifico di essi, risale appena al 1846, quando, cioè, negli Stati Uniti d’America, a Hydesville, si manifestarono, con intensità straordinaria, nella famiglia di Davide Fox.
Ora, Mazzini esponeva le proprie convinzioni spirituali quasi dieci anni prima, cioè nel 1838, quando non esisteva nessuna nozione delle moderne comunicazioni col mondo invisibile.
Notate ancora: non si tratta già di scritti destinati alla pubblicità, ma di certe sue lettere di carattere intimissimo, quindi sgorgate dalle più riposte fibre, quindi riboccanti di sentimento individuale e di passione intensa e folgoreggianti di amor puro, santissimo, perché dirette a quella magnanima donna, che fu la marchesa Eleonora Curlo, madre dei fratelli Ruffini. In quella epoca, 1838, Giuseppe Mazzini, minacciato di morte, gemeva in esilio a Londra, vivendo insieme con Giovanni e Agostino Ruffini, dopo che Jacopo, nella torre di Genova, con grandezza di eroe shakespeariano, con un suicidio elevato all’altezza eroica di martirio, aveva suggellato col nobil sangue l’amor di patria e di libertà.
Orbene, vi riferirò pochi brani di queste lettere: ma meditateli parola per parola, e balzerà viva alla coscienza la sintesi più esatta di quelle dottrine che scaturiscono, splendide verità morali, dalle nostre affannose ricerche. Udite quanto scriveva colui che può ben dirsi l'uomo unico di Seneca.
- Noi non siamo che un pensiero religioso incarnato. Abbiamo una missione. Che importa se riesca o no? La vita non finisce quaggiù. E per una vita umana, che qui deve rompersi, vi è felicità possibile? La vita umana non è la felicità: la vita umana è il dovere. Il caso ci ha posto in un’epoca di disfacimento morale e di nessuna credenza: un’epoca uguale a quella in che Cristo moriva - e la corruttela e l’individualismo erano come oggi al colmo - e i primi cristiani morivano martiri e derisi. Ma trecento anni dopo, il Cristianesimo regnava ed emancipava gli schiavi.
In altra successiva lettera ha questo pensiero significantissimo:
- Questa nostra vita non è che l’infanzia di un’altra.
E ancora in altra lettera così mi rammenta le parole di Hugo: Les morts sont des invisibles, pas des absents:
- Questa nostra non è se non una frazione impercettibile dell’Esistenza: chi ne parte, si avvicina d’un passo al nostro miglioramento. La morte è un’assenza come il nostro esilio. Forse noi non ci vedremo più sulla terra; ma non ci rivedremo più mai? Se potessi ammettere un sol momento questo pensiero, non potrei vivere. Ma né io, né voi lo ammettiamo. La verità della nostra fede mi è balzata agli occhi nei momenti più solenni, i più terribili della vita; io so che ci rivedremo.
- Sapete che io ho creduto sempre che l’amore di quaggiù, quando dura fino al sepolcro, sia un preludio, un cominciamento, una preparazione.
- Voi, d’antico, guardate, come io guardo, la vita come una cosa divina, come una missione, non altro. Noi siamo esseri messi sulla terra, non per subirvi un’espiazione d’una colpa non nostra, ma forse l’espiazione di colpe commesse in un grado di vita anteriore, che or non ricordiamo, ma che un giorno ricorderemo.
Ecco infine ancora un brano di lettera in cui Mazzini precisa le sue convinzioni irremovibili:
- Tra i dogmi eterni, che riposano più o meno adombrati al fondo di tutte le religioni, quello della solidarietà del genere umano sta primo; quindi, se la catena che conduce tutte cose create a Dio, oggi interrotta ai nostri occhi, esiste, esiste pure, annodata per una serie d’anelli invisibili, la solidarietà degli esseri terrestri con gli esseri appartenenti ad altri stadi di vita, esseri che furono certo un giorno anch’essi terrestri!
Con queste elevate e singolari testimonianze, mi piace chiudere questo mio primo ciclo di studi, destinati, se non altro, a richiamare le menti illuminate e amanti della verità sopra quel complesso di sentimenti, di ricerche, di problemi, che a ragione il De Sismondi definiva: - il primo fra gli interessi dell’umanità.