Gli amori/L'Indovinello

L’Indovinello

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Un'intenzione della Duffredi Fino a morirne

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L’INDOVINELLO



D
unque noi dobbiamo proprio tornare, amica mia, sopra un punto che

credevo d’avere — senza presunzione! — assodato? Torniamoci pure, se così le piace; e si prepari a sdegnarsi ancora di più ed aguzzi i suoi fulmini, perchè io sono più che mai fermo nella mia opinione.

Io le ho detto e le ripeto, e niente mi persuaderà dei contrario, che le donne sono, in amore, se non proprio false — la parola le sembrerà ed è veramente poco parlamentare — certamente doppie. Esse non ne avranno colpa, come ella dice, perchè la natura le ha volute così, dando loro due istinti l’un contro l’altro cozzante: l’istinto della resistenza e quello della dedizione; e noi uomini saremo anche ingiusti prendendocela con esse; ma questa nostra ingiustizia è, se non altro, scusabile. Io sarò ingiusto, senza dubbio, se me la prenderò con una vipera che m’avvelena mordendomi, perchè la natura ha voluto che questo rettile avvelenasse col morso; ma la filosofia della quale bisogna essere provveduti per giudicare in tal modo non è troppo comune, e le vipere sono giudicate velenose e le donne... non sincere. [p. 60 modifica]

Addurre esempi di questa loro doppiezza? Glie ne potrei riferire tanti da formarne un volume; ne scelgo uno che mi pare molto significante.

In villa, presso un amico, il signor Tale incontra una lontana parente del padrone di casa. Prima di tutto per rispetto all’ospite, questo Tale non pone mente alla dama; in secondo luogo perchè non gli piace molto. Ha costei un viso bellissimo, con una carnagione soave; ma una corporatura piccola, asciutta, poco aggraziata. I denti sono irregolari, brutte le mani, bruttissime le unghie. Questa minuzia d’osservazione critica mi pare un buon segno della calma del nostro personaggio; perchè, quando una creatura ha la virtù d’infiammarci, noi troviamo in lei tutto bello, anche ciò che è destituito di qualunque bellezza. Dunque per queste due ragioni, una migliore dell’altra: che la dama non gli piace molto, e che egli è in casa d’un parente di lei, il nostro personaggio se ne resta tranquillo.

Se non che s’accorge ben presto, con stupore ed imbarazzo, che la dama è troppo complimentosa a suo riguardo. Una sera, passeggiando con lui, gli dice che è stata molto fortunata d’incontrarlo in fondo a quella campagna; glie lo dice a bassa voce, guardando per terra, in un certo modo che dà a quelle parole un significato recondito. Un’altra sera, come egli esprime un’opinione, ella afferma vivacemente:

— Stavo per dire la stessa cosa!... — poi soggiunge: — Vi sono certi incontri che il destino sembra avere voluti...

Il signor Tale, sempre più imbarazzato, lascia cadere il discorso; ma la dama riprende:

— Lei non crede al destino?...

Egli risponde borbottando alcune parole che non significano niente.

E’ venuto per pochi giorni, e si dispone a partire. Ella gli dice di non andar via così presto, di restare ancora un poco a tenerle compagnia. Egli è invece più che mai risoluto ad andarsene, anche perchè ha da fare. Evita frattanto di trovarsi solo con la dama, [p. 61 modifica]parendogli una goffaggine lasciare che ella gli dica cose troppo amabili senza risponderne alcuna.

Non potrebbe costui, osserverà ella, prendere lo stesso tono di costei? No, contessa mia. Come uomo egli è logico, è conseguente. Quella donna non gli piace; dirle cose galanti sarebbe un’ipocrisia. Poi, sempre in virtù della logica, egli pensa anche che, quantunque quella donna non gli piaccia, la via delle galanterie è pericolosa: il maschio che sonnecchia in lui come in ogni uomo potrebbe alfine destarsi.

Ma egli ha fatto i conti senza la dama. Costei, il cui marito è lontano, trova modo di dire, parlando della musica che il Tale adora e che un tempo ella stessa coltivava:

— Mio marito non capisce mai niente...

Un giorno, oltre una siepe fiorita, passeggiando insieme, vedono una coppia di rustici amanti baciarsi.

— Il peccato!... — ella esclama; poi soggiunge: — Ma questa natura, quest’aria, quest’ora!... Quasi peccherebbe ognuno...

Il nostro eroe — per modo di dire! — rivolge allora a sè stesso poche ma sentite parole: «Caro mio, tu sei geloso della fama di Giuseppe il casto!» E allora, non solo per non emulare il casto Giuseppe, ma anche perchè egli soffre realmente dell’innaturale invertimento delle parti, vedendo fare alla donna tante spese di seduzione; allora, ripeto, egli comincia a dire qualche parola galante. Le dice, a proposito della propria partenza contro la quale ella protesta continuamente:

— Decida ella stessa che cosa debbo fare. Sento che restare qui è rischioso, che io corro il pericolo di innamorarmi di lei. Pensi che io obbedirò senza discutere.

Ella tace.

— Ci pensi, — continua il nostro personaggio; — me lo dirà domani.

Il domani, quando le domanda che cosa deve fare, ella esita un poco; poi dice, con gli occhi chini, e a bassa voce:

— Non me lo chieda!... [p. 62 modifica]

Questo scambio di parole avviene in mezzo a tutta la compagnia ospitata alla villa. Egli pertanto le mormora:

— Senta, qui non possiamo parlare. Abbiamo bisogno d’essere soli. Mi permette di venire un momento, oggi, quando tutti riposano, in camera sua?

Dapprima ella dice:

— No.

Ma di lì a poco, mentre gli altri ospiti fanno per ritirarsi, gli propone:

— Venga con me a fare una partita al cerchio.

Invece di andare in giardino, entra in una sala, e ne chiude la finestra.

Ora io non posso chiederle, mia cara amica, che cosa ella avrebbe fatto in una situazione simile, perchè ella è donna; ma se rivolgessi una simile domanda a cento uomini uno dopo l’altro, tutti e cento risponderebbero che, nonostante il dovere dell’ospitalità, se pure quella donna fosse stata, non già lontana padrona dell’ospite, ma sua moglie o sorella, essi difficilmente avrebbero potuto soffocare la voce del dovere sessuale che, per il maschio, è di non lasciar cadere inascoltati gl’incitamenti della femmina. Qualcuno di questi cento uomini, i più ardenti o i meno scrupolosi, avrebbero forse spinto le cose al punto estremo; ma anche i più delicati avrebbero pur dimostrato, e forse loro malgrado, il tormento al quale quella donna li metteva.

E il mio protagonista afferrò per le braccia la dama e le disse che non poteva più partire, che il suo destino dipendeva oramai da lei, anzi che era già segnato.

— Voi non m’avete voluto dire ciò che debbo fare, perchè volete che resti: è vero?

— È vero....

Allora egli le baciò la mano, le baciò il viso, la strinse al cuore: perchè, quantunque da principio non gli piacesse, le parole di lei, la voluttà di tenere stretto al suo quel corpo di donna, l’idea che quella donna voleva essere e sarebbe stata sua, avevano naturalmente prodotto l’immancabile effetto: ora egli la desiderava, la voleva, quasi l’amava... Ella tentava resistere, diceva: [p. 63 modifica]

— Lasciatemi! Che cosa vi ho fatto? Nessun uomo mi ha mai trattata così!...

Era naturale che ella dicesse queste cose; ma era ancora più naturale che, uscendo da quel luogo e accompagnandola su, egli la seguisse nella camera di lei.

Stia adesso bene attenta, cara contessa; perchè qui abbiamo la scène à faire della commedia.

Entrato, senza aver dovuto vincere una troppo grande resistenza, in camera di lei, quell’uomo ricomincia ad abbracciarla strettamente dicendo parole infiammate, che sono adesso tutte sincere, perchè egli arde tutto quanto. Ella continua a resistere: si scioglie dall’abbraccio, si lascia andare sopra una poltrona; e come egli le cade in ginocchio dinanzi, si rialza. Egli l’afferra ancora una volta, la bacia sulla bocca, in un certo modo che non ho bisogno di descrivere. Ella si nasconde la faccia tra le mani, lo scongiura di lasciarla.

— Ora me lo dite? — esclama egli; — dopo avermi detto tutto il contrario? Dopo avermi tolto alla mia pace?...

Ella risponde:

— È vero, son stata io: dimenticate tutto ciò che vi ho detto...

E a un tratto si rovescia bocconi sul letto, coi piedi a terra, piegata in due, la faccia nascosta contro le coperte.

A questo punto l’uomo ha l’esatta percezione di quel che avrebbero fatto molti altri — e che ella indovina senza che io lo dica. Ma perchè costui crede sinceri gli ultimi conati di resistenza, perchè non vuole essere brutale in un primo incontro, perchè è in fondo molto riguardoso e quasi timido, il nostro personaggio si china su lei, la solleva castamente, le dice che ella non ha nulla da temere, che egli vuole soltanto sapere se le è proprio indifferente, se deve proprio andar via senza più rivederla.

— Sì, mi dimentichi, mi lasci... — ma, come egli la tiene stretta al cuore, anch’ella gli stringe le braccia alla vita e nasconde la faccia contro la spalla di lui. [p. 64 modifica]

Allora egli riprende:

— Vedete che non è possibile? Che le vostre parole non sono sincere? Dopo che io vi ho tenuta così tra le braccia non possiamo separarci come i due primi venuti!

Ella si scioglie dalla stretta esclamando:

— Andatevene! Lasciatemi!

Ed egli:

— Sì, me ne vado; ma debbo rivedervi. Stasera permettete che ritorni un istante?

Ella risponde:

— No.

— Perchè? Che cosa temete? Non vedete che faccio la vostra volontà?

— Andatevene! — e schiude l’uscio.

— Me ne vado, ecco: a stasera?...

La sera ella si chiude in camera e non gli apre. Stabilito di partire il domani, egli le scrive una malinconica lettera di saluto — malinconica, quasi triste, perchè naturalmente, logicamente, egli non può dimenticare quel che è accaduto fra loro. Il domani, all’aria aperta, incontrandola, fa per dirle la sua malinconia, per darle la lettera; ella non gli consente neppure di cominciare:

— Lasciatemi, o faccio uno scandalo! — E fugge.

Naturalmente, logicamente, egli si sdegna di questo voltafaccia improvviso, e invece di darle la lettera, sul punto di partire, vedendo aperto l’uscio di lei entra un momento per dirle:

— Vi avevo scritto due parole d’addio; guardate che cosa ne faccio!... — E straccia il foglio. E se ne parte.

Ora, contessa mia, se ha già risolto la sciarada del suo giornale e se le avanza ancora un poco di tempo da perdere, mi spieghi un poco questo indovinello.

Che cosa era la dama di cui le ho narrata la condotta? Si trovava veramente la prima volta dinanzi alla possibilità del peccato? Le parole e gli atti con i quali eccitò quell’uomo erano le parole e gli atti di un’ingenua che non sapeva a qual rischio si metteva [p. 65 modifica]allettando un uomo, un maschio? La sua ingenuità e la sua inesperienza furono stupite e sdegnate dalla troppo naturale conseguenza della sua condotta? Oppure aveva ella l’abitudine di queste cose, e mutò improvvisamente atteggiamento per paura del parente, degli ospiti, essendosi forse accorta che avevano scoperto quel che avveniva? Gli scrupoli di delicatezza di quell’uomo che non volle essere brutale nel primo convegno — e nell’unico! — furono fuori di luogo e la offesero? Aspettava ella che tutto si fosse compito in quell’unico convegno e fu poi così severa con lui perchè, avendogli perdonato la freddezza dei primi giorni, non gli perdonò che restasse con le mani in mano quando si trovarono soli l’una dinanzi all’altro? Se egli non fosse restato con le mani in mano, sarebbe stato felice? Oppure l’avrebbe vista risollevarsi, sonare il campanello e chiamar gente e metterlo alla porta? Doveva egli dunque lasciar sempre cadere inascoltate, come aveva fatto sul principio, le provocazioni della dama? Se costei si sdegnò contro di lui dopo quel che accadde, non si sarebbe sdegnata di più, anzi non avrebbe riso di lui, vedendolo impassibile agli iterati inviti? O con tutte quelle parole e quegli atti non credeva di invitarlo a niente, tale e quale come se gli avesse parlato della pioggia e del bel tempo?...

Ella vede, cara amica mia, che questo indovinello appartiene al genere dei logogrifi: la serie delle combinazioni che io potrei proporre al suo acume è molto lunga. Tralascio tutte le altre, e sarà già un bel fatto se ella riescirà a risolvere quelle che le ho già sottoposte.