Giustizia/In vigilia nativitatis Domini

In vigilia nativatis Domini

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In vigilia nativatis Domini
XXXI Marzo Desiderio colpevole
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In vigilia nativitatis Domini

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ESSI son là, seduti in giro al verde
    Tappeto; in man le carte
Ha Crispo, il baro gentiluom che perde
    4Il primo giorno ad arte.

Di contro a lui Mena sbuffante e rosso
    Squadra la faccia arcigna;
L’audace seduttor Celio a ridosso
    8Fuma l’avana, e ghigna.

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Fonde Miron la facultà sua nova,
    E con gentil contegno
I baffi arriccia, e dà publica prova
    12Che del suo stato è degno.

La nuova sposa intanto a un nuovo damo
    Uccella, e cauta il piglia
Al cubàttolo, e aggiunge qualche ramo
    16A l’alber di famiglia.

Sgrana Clodio il cisposo occhio, ed ammicca
    Al sozio, chè con frasche
Accorte fra di lor Livio si ficca
    20Visitator di tasche.

Nè Fulvio manca il nobile bardassa
    Dal medicato crine,
Che l’oro vinto rastellando ammassa
    24Con le rosee manine;

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Mentre il rubesto Lio, mèsso a le strette
    Per angustia del loco,
Gli si cuce a le groppe ritondette,
    28Pensando a un altro gioco.

Qui il baronetto da l’ambigua razza
    Pallido ride e scocca
Arguzie, ed a supplir quel che biscazza
    32Altr’oro a Taide scrocca.

Bieco troneggia a canto a lui maestro
    Sosia, l’ingentilito
Sensal, che perde men, benchè mal destro,
    36Di quanto ha il dì rapito.

Là il vecchio Grifio da la spelacchiata
    Zucca ritinta e da la
Barba verdastra la sua posta guata,
    40E se perde s’ammala.

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E intorno intorno, sporgendo il sembiante
    Ebete, la moneta
Trepido gitta e mormora il galante
    44Armento analfabeta.

Nè perchè per le folte sale prave
    Stagnino l’aure, e i lumi
Rossi usurpino l’aria ultima, grave
    48Di rei flati e di fumi,

O per la notte in nero agguato a l’uscio
    Sotto il nevoso azzurro
Li abbranchi, ad onta del velloso guscio,
    52Il frigido cimurro,

Men protraggono il ludo arduo. Non vide
    La Patria, è ver, nei suoi
Trionfi e ne le sue fortune infide
    56Questa matta d’eroi;

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Non però de la Patria essa è men degna,
    Men generosa e forte,
Se in altri campi e sotto ad altra insegna
    60Sa dispregiar la morte.

Oh viva! E tu fra tanto a la gentile
    Ammassa oro, e con epa
Digiuna su’l piccone e su’l badile,
    64Sozza canaglia, crepa.

O, se l’ora notturna ozio concede
    A le tue membra fiacche,
Corri a mugghiar del vecchio nume al piede
    68Le tue preci vigliacche.

Ma non più, ma non più nascer vedrai
    Su’l consueto strame
Il novo Dio: troppo ha sofferto omai
    72Dal freddo e da la fame;

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Troppo del Fariseo tristo il flagello
    Esercitò le prone
Spalle. Ei rinasce: il mansueto agnello
    76Tramutasi in leone;

E rugge e lascia il nero antro. I palagi
    Tremano a’ suoi ruggiti,
E quei che nuotan fra delizie ed agi
    80Guatansi inorriditi;

Guatansi. Da le rie mani a costoro
    Cadono le segnate
Carte; le granfie gittano su l’oro...
    84Qui, qui da le sudate

Officine, da’ campi a voi fecondi
    Di triboli e di fame,
Larghi d’ozj e d’amori inverecondi
    88A l’aureo vulgo infame;

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Dal famelico mar, da’ covi in cui
    Co’ figli e la consorte
Marcite, da le grotte ove ad altrui
    92Scavate oro, a voi morte,

Qui, qui irrompete, o tristi greggie umane,
    O vecchi, o spose, o madri,
O bimbi senza vesti e senza pane,
    96Ai ladri, ai ladri, ai ladri!